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Le tesi che considerano l'actio libera in causa

7. Il fondamento della responsabilità dell'actio libera in causa.

7.1. Le tesi che considerano l'actio libera in causa

secondo, viceversa, favorevole a considerare l'actio libera in causa come vera e propria eccezione all'art. 85 c.p..

7.1. Le tesi che considerano l'actio libera in causa

un'applicazione delle regole generali di

imputazione del fatto.

La dottrina tradizionale, sulla scorta delle teorie elaborate dai criminalisti pratici, sosteneva che il fondamento della responsabilità dovesse essere rinvenuto nel semplice nesso causale, secondo l'antico brocardo causa causae est causa causati111. In base a questa

110Anticipiamo che tale problematica risulta strettamente connessa con il tema del titolo di imputazione dell'actio libera in causa, che esamineremo più avanti. V. infra, par. 10 cap.2.

111V. retro, cap. 1 par. 2.4. In particolare, si prenda in considerazione il pensiero dei maestri Carmignani e Carrara. In epoca più recente si sono avvicinati a questa posizione: MAGGIORE, Diritto penale, Bologna, 1951, vol. I, p. 382; RANIERI,

impostazione, il soggetto agente viene punito, non per il fatto illecito commesso in stato di incapacità di intendere e di volere, bensì per la condotta precedente, la c.d. actio praecedens, in cui l'individuo, capace di discernimento, decide di porsi in stato di incapacità per commettere un reato ovvero per prepararsi una scusa. In altri termini, attraverso gli artt. 40 e 41 c.p.112, dall'azione non libera si risale all'indietro fino ad

arrivare all'azione libera c.d. causa causante113.

È bene sottolineare che detta teoria, ormai, è abbandonata dalla maggior parte della dottrina moderna; in particolare, come ha affermato attento autore114, ad essa possono essere sollevate

sostanzialmente due critiche: in primis, seguendo questa impostazione, penale. Parte generale, Padova, 1978, p. 413.

112Gli artt. 40 e 41 c.p. si occupano del nesso di causalità. In particolare, l'art 40 c.p. disciplina il rapporto di causalità, viceversa, l'art 41 c.p. disciplina il c.d. concorso di cause. In sintesi, in base all'art 40 c.p., affinché il soggetto agente sia punito per un fatto previsto dalla legge come reato, occorre che l'evento verificatosi si presenti come “conseguenza dell'azione o dell'omissione” compiuta dal soggetto. In questo modo il legislatore ha voluto chiarire che la verifica da effettuare in relazione a questa situazione non può prescindere dall'utilizzazione di metodi d'indagine volti a stabilire quando il risultato offensivo possa effettivamente considerarsi conseguenza di un comportamento umano. Pertanto, il giudice per poter affermare tale collegamento non può prescindere da leggi scientifiche (di carattere universale oppure statistico-probabilistico) pertinenti al settore e alla materia in cui ricade la controversia. Tuttavia, quando ci si interroga sulla portata causale di un comportamento umano, non ci si può dimenticare neppure che quanto appena detto non integra l'unico fattore causale del quale si tratta di valutare la rilevanza. La tematica della causalità, infatti, impone anche di istituire una relazione tra la condotta ed altri fattori causali e di individuare il parametro di valutazione tramite il quale, utilizzando le richiamate leggi scientifiche, si possono comprendere i rapporti tra le varie concause. Per quanto concerne quest'ultima operazione, la disposizione di riferimento è l'art. 41 c.p., il quale dispone: «1. Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall'azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l'evento»; i commi successivi, poi, stabiliscono che «2. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l'evento. (...)», e che «3. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui». Cfr.: DE FRANCESCO, Op. cit., pp. 215 e ss..

113I sostenitori di questa impostazione, peraltro, arrivano ad affermare che la norma di cui all'art. 87 c.p. sia stata introdotta ad abundantiam e, quindi, sia sostanzialmente superflua. In quest'ottica, cfr.: MAGGIORE, Diritto penale, Op. cit., vol. I, p. 382.

114Cfr.: VENDITTI, (Voce) Actio libera in causa, in Enciclopedia del Diritto, Milano,

si corre il pericolo di ridurre ad un problema di nesso causale oggettivo, un tema che riguarda, invece, altri profili, ovvero l'imputabilità e la colpevolezza; in secundis, l'accettazione di tale principio imporrebbe l'accoglimento di una nozione estensiva di soggetto agente, nel senso che l'autore del reato sarebbe non soltanto colui che ha posto materialmente in essere la condotta tipica, ma anche colui che cagiona tale condotta, anche al di là di ogni ragionevole limite posto dalla tipicità della fattispecie.

La teoria tradizionale, quindi, è andata incontro a un superamento per effetto della ricostruzione elaborata da altra parte della dottrina115, la quale, partendo dal presupposto che il nostro

ordinamento non sembra permettere di anticipare la soglia della rilevanza penale ad un momento precedente rispetto all'azione tipica, ha riconsiderato proprio l'impossibilità di dilatare la nozione di azione tipica e ha dato una nuova definizione del concetto di esecuzione del reato. In particolare, questi ultimi autori ritengono che il concetto di esecuzione del reato non è costituito soltanto dall'azione tipica, così come descritta dalla norma incriminatrice, bensì anche «da qualsiasi atto esterno diretto allo scopo di realizzare il fatto stesso»116. In altri

termini, detta fazione dottrinale, prendendo le mosse dal piano della tipicità del fatto, ha retrocesso l'inizio dell'azione esecutiva del reato al momento in cui il soggetto volontariamente si è posto in stato di incapacità e in cui prende avvio il meccanismo causale che porterà al concretarsi dell'azione criminosa. In questo modo, dunque, si arriva a ricomprendere nell'iter esecutivo del reato l'attività con la quale il soggetto si è posto in stato di incapacità e, quindi, dal piano del nesso di causalità ci si sposta sul più generico livello del fatto tipico.

115Cfr.: ANTOLISEI, Op. cit., pp. 617 e ss.; CRESPI, Op. cit., p. 763; MANZINI,

Trattato di diritto penale italiano, cit., vol. I, p. 728 e ss.; VENDITTI, Op. cit., p.

540.

116Così: ANTOLISEI, Op. cit., pp. 617 e ss.; FROSALI, L'errore nella teoria del diritto

I vari autori che aderiscono a questa impostazione, tuttavia, argomentano in modo differente. In particolare, possiamo distinguere tre punti di vista.

Innanzitutto, secondo una certa visione117, l'istituto dell'actio

libera in causa farebbe semplicemente applicazione delle regole generali di imputazione del fatto, con la conclusione che l'art. 87 c.p. sarebbe una norma superflua.

In base ad altra opinione118, viceversa, una simile estensione del

concetto del fatto tipico è possibile solo nella misura in cui sussista nell'ordinamento una norma – per l'appunto, l'art. 87 c.p. – che legittimi tale ricostruzione ermeneutica; in caso contrario, ancora una volta, il pericolo è di violare il principio di legalità e di estendere eccessivamente il concetto di autore del reato. Quest'ultima tesi, dunque, è favorevole a un'interpretazione dell'art. 87 c.p. come norma che, combinandosi con le singole fattispecie di parte speciale, dia luogo ad altrettante nuove e autonome fattispecie. In sostanza, secondo detto approccio, la norma in esame, opererebbe non diversamente da quanto avviene in materia di tentativo e di concorso di persone, ai sensi degli artt. 56 e 110 c.p..

In questo contesto, infine, deve essere mantenuta nettamente separata un'altra impostazione119, la quale con gli autori appena

richiamati ha in comune soltanto il fatto di ritenere che l'art. 87 c.p. non sia una norma in deroga all'art. 85 c.p.. In particolare, secondo quest'ultima teoria, l'art. 87 c.p. è una norma ad abundantiam poiché 117Così: ANTOLISEI, Op. cit., pp. 619 e ss.; MARINI, Lineamenti del sistema penale,

Torino, 1993, pp. 853 e ss.; MANZINI, Op. cit., pp. 728 e ss.; M. GALLO,

Lineamenti di una teoria sul concorso di persone nel reato, Milano, 1957, p. 133; PORTIGLIATTI BARBOS – MARINI, La capacità di intendere e di volere nel sistema penale italiano, Milano, 1964, p. 116.

118Così: VENDITTI, Op. cit., pp. 534 e ss..

119Cfr.: VANNINI, Per una vasta nozione delle “actiones liberae in causa”, in Rivista

penale, 1924, pp. 252 e ss..; ID., L'actio libera in causa nel nuovo codice penale,

applicativa del principio generale per cui il soggetto agente deve rispondere di tutti gli eventi da lui causati, anche solo mediamente, in stato di incapacità, sia essa preordinata oppure semplicemente colposa, in quanto l'imputabilità va considerata nel momento in cui il soggetto si pone nello stato di incapacità. In altri termini, in base a questa ricostruzione, la pena non viene meno se il fatto viene commesso in stato di inimputabilità, ove tale incapacità derivi da un comportamento colpevole, sia esso doloso o colposo120. Anche questa ricostruzione,

tuttavia, è andata incontro alle critiche rivolte alla dottrina tradizionale riconducibile all'antico brocardo latino causa causae est causa causati, ovvero: da un lato, si espone al pericolo di ridurre il momento realizzativo del reato allo stato di mera condizione di punibilità; dall'altro, rischia di estendere il concetto di soggetto agente, al punto di far ritenere autore del reato, non solo colui che pone in essere un'azione od un'omissione prevista dalla legge come reato, ma anche colui che semplicemente ne integra il momento causale.

7.2. Le tesi che considerano l'actio libera in causa