• Non ci sono risultati.

Tesi contrarie alla configurabilità dell'actio libera in causa

8. La problematica di altre forme di actiones liberae in causa In

8.1. Tesi contrarie alla configurabilità dell'actio libera in causa

La parte di dottrina contraria alla configurabilità dell'actio libera in causa colposa prende le mosse dall'analisi dell'art. 90 del Progetto definitivo del codice in materia di actiones liberae in causa128.

Nonostante i dubbi sollevati da alcuni esponenti dottrinali dell'epoca129,

infatti, la disposizione del Progetto definitivo mantenne inalterata l'impostazione dell'art. 83 del Progetto preliminare del 1927; dunque, inizialmente, venne prevista espressamente anche la forma colposa dell'actio libera in causa. L'art. 90 del progetto, invero, statuiva: «La disposizione della prima parte dell'art. 88 (oggi art. 85 c.p.) non si applica a colui che si sia messo, anche colposamente, in istato d'incapacità di intendere o di volere. Se lo stato di incapacità sia procurato al fine di commettere il reato, o di procacciarsi una scusa, la pena è aumentata».

Dalla lettura di questo articolo, quindi, si ricava che la nozione 128Cfr.: MENGHINI, Op. cit., pp. 25-27 e 71 e ss.

129Le posizioni sulla disposizione richiamata furono le più varie. In particolare: Di Blasio contestò la scelta di parificare completamente il caso di colui che si fosse posto in stato di incapacità colposamente e quello di colui che fosse capace di intendere e di volere. Da parte sua, Paoli, invece, mise in evidenza come la norma fosse troppo severa nel punire nella stessa maniera colui che avesse voluto il reato e colui che invece non lo voleva, parificando la causazione colposa a quella volontaria. Cfr.: Osservazioni e proposte sul progetto preliminare di un nuovo codice penale, in Lavori del codice penale e codice di procedura penale, Roma, 1929, vol. III, parte II, pp. 34 e ss..

originaria di actio libera in causa era quella estensiva in grado di ricomprendere anche la forma colposa e che la norma sull'intossicazione acuta non accidentale non era altro che una mera specificazione della regola generale, pertanto, di per sé superflua. In questo contesto, dunque, affinché il fatto realizzato in stato di incapacità fosse punibile occorrevano tre requisiti: 1) una volontà iniziale, anche soltanto colposa; 2) una condotta, determinata da tale volontà che procurasse al soggetto uno stato di incapacità di intendere e di volere; 3) infine, la realizzazione dell'evento criminoso in detto stato di incapacità.

Ben presto, però, a fronte delle critiche sollevate130, la

Commissione parlamentare ritornò sui propri passi e il riferimento all'actio libera in causa colposa venne eliminato dalla disposizione poiché si ritenne che avrebbe comportato conseguenze pratiche gravi e ingiuste.

Nel codice Rocco, quindi, la lettera dell'art. 87 c.p. venne modificata attraverso la soppressione della forma colposa e limitando la punibilità della fattispecie alla sola ipotesi in cui la condotta iniziale fosse preordinata alla commissione di un illecito penale. Viceversa, la disposizione rimase immutata con riguardo all'ubriachezza e intossicazione da stupefacenti, non derivante da caso fortuito o forza maggiore, in virtù di una valutazione di ordine politico-criminale131.

Secondo questa parte di dottrina, quindi, il legislatore ha previsto: da una parte, una norma generale in tema di actio libera in causa che è l'art. 87 c.p. e che richiede come requisito determinante la preordinazione, nonché la correlativa ipotesi speciale, ricavata dagli artt. 92, 2° comma e 93 c.p., che presuppone come requisito l'incapacità preordinata derivante da ubriachezza o intossicazione da 130V. retro, nota n. 129.

sostanze stupefacenti e per la quale ha sancito l'applicazione di un'aggravante; mentre, dall'altra parte, una norma in tema di incapacità volontaria o colposa derivante da intossicazione da alcol o stupefacenti, ma non preordinata alla commissione di un reato, che è l'art. 92, 1° comma c.p..

In base a quanto esposto, dunque, occorre impostare correttamente il ragionamento. A prescindere dal dato normativo, infatti, sembrerebbe che il discrimine sia dato dal modo di intendere il concetto di preordinazione e sul punto, a ben vedere, si registrano due alternative opinioni in dottrina: da un lato, coloro che ritengono che la preordinazione rispetto alla commissione del reato, nonché la volizione dell'illecito nel momento di lucidità proprio della c.d. actio praecedens, siano elementi essenziali e consustanziali all'actio libera in causa; dall'altro lato, viceversa, coloro che dilatano i confini dell'actio libera in causa, facendovi così rientrare anche la mera previsione o prevedibilità del reato, al fine di legittimare anche le altre forme di actiones liberae, in particolare l'actio libera colposa132.

Quest'ultima soluzione, evidentemente, non è condivisa dalla dottrina contraria alla configurabilità della forma colposa dell'actio libera in causa. Parte di essa, infatti, ritiene che, mettendo semplicemente a confronto la struttura del reato colposo con quella dell'actio libera in causa, si possa capire appieno l'elemento fondamentale che contraddistingue la sola actio libera in causa, vale a dire la presenza di uno stato di incapacità in cui viene posto in essere l'illecito133. In particolare, è interessante rammentare il pensiero del

Vannini che nei suoi studi è arrivato a sostenere l'incompatibilità tra la struttura dell'actio libera in causa e i reati colposi.

132Cfr.: MENGHINI, Op. cit., p. 74.

133Così: BATTAGLINI, Diritto penale, Padova, 1942, p. 199; CORSONELLO, Actiones

Secondo detta dottrina, in effetti, la struttura dell'actio libera in causa e quella dei reati colposi sarebbero incompatibili poiché l'actio libera in causa presuppone una rigida separazione tra il fatto e la precedente attività causale e colpevole (c.d causa remota), la quale ancora non integra il fatto in senso tecnico, ma da cui la successiva attività (c.d. causa proxima) ricava i caratteri dell'imputabilità e della colpevolezza. Ad avviso di detto autore, quindi, nell'actio libera in causa vi sarebbe una netta separazione cronologica tra fase cosciente e fase incosciente, la quale, invece, mancherebbe nell'illecito colposo. In altri termini, secondo questa impostazione, rispetto al reato colposo la realizzazione del fatto sarebbe una semplice condizione obiettiva di punibilità e il procurarsi l'incapacità viene valutata come condotta colposa in senso proprio. Riprendendo l'esempio, proposto per la prima volta dal criminalista pratico Farinacio134, della madre epilettica che

non curante della sua patogia si corica col proprio figlio causandone la morte, il Vannini, invero, ritiene che la regola cautelare in detta ipotesi non viene violata dalla madre nel momento in cui con la propria condotta cagiona direttamente la morte del figlio, bensì nel fatto stesso di coricarsi, pur consapevole della possibilità di una conseguenza tragica135.

8.2. Tesi favorevoli alla configurabilità dell'actio