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Prima di entrare nel dettaglio della disciplina dell'art. 92 c.p. è opportuno effettuare una breve introduzione.

Innanzitutto, bisogna sottolineare che i fenomeni dell'ubriachezza e dell'intossicazione da sostanze stupefacenti sono presi in considerazione dal legislatore penale poiché spesso sono all'origine della vicenda criminosa.

In particolare, si deve rammentare che il nostro codice penale, sia allo scopo di combattere la piaga dell'alcolismo o l'uso di stupefacenti, sia nell'intenzione di proteggere il decoro della nazione da comportamenti dei cittadini contrastanti con l'ideologia dell'epoca, ha finito con l'accentuare le preoccupazioni preventivo-repressive sollevate da detti fenomeni197.

Tale atteggiamento, pertanto, si è tradotto in una disciplina non soltato particolarmente rigorosa e complessa, ma anche, al giorno d'oggi, di dubbia legittimità sia sotto l'aspetto costituzionale198, sia

sotto l'aspetto delle premesse scientifiche accolte199.

Esaurita questa premessa, precisiamo che d'ora in avanti faremo riferimento soltanto alla disciplina dell'ubriachezza, dando per implicito il richiamo anche alla stupefazione, in virtù del rinvio di cui all'art. 93 c.p.

Giunti a questo punto, quindi, si tratta di capire, in primo luogo, che cosa si intende con il termine ubriachezza.

Quando si parla di ubriachezza ci si riferisce ad «uno stato di alcolismo acuto e cioè di intossicazione che, annebbiando la coscienza, 197Cfr.: DE FRANCESCO, Op. cit., p. 389; FIANDACA, MUSCO, Op. cit., p. 355.

198V. infra, cap 3 par. 6.

199In particolare, oggi risulta problematica la distinzione tra ubriachezza abituale e cronica intossicazione. Cfr.: FIANDACA, MUSCO, Op. cit., p. 355.

spezzando il meccanismo psichico dei freni inibitori, infiacchendo la volontà ed il potere critico, crea un vero e proprio stato di incapacità di intendere e di volere per cui in tal caso l'ubriachezza è praticamente assimilabile ad un'infermità mentale sia pure transitoria»200.

In altre parole, con il termine ubriachezza si fa riferimento ad uno stato di alterazione psicofisica che inevitabilmente si riflette sulla capacità di intendere e di volere, provocata dall'assunzione di alcolici. Tale descrizione, peraltro, trova conferma anche nella definizione medica del fenomeno, secondo la quale l'ubriachezza è l'intossicazione acuta e transitoria prodotta dall'alcol ed i cui effetti possono consistere in un lieve eccitamento fino ad arrivare ad uno stato di paralisi o coma201.

Dunque, dal momento che l'ubriachezza influisce sulle capacità psichiche e mentali dell'individuo, si capiscono le ragioni per cui il legislatore degli anni '30 ha collocato questo fenomento tra le cause che escludono o diminuiscono l'imputabilità.

Per quanto concerne l'ubriachezza, invero, il codice Rocco prevede un trattamento articolato e distingue diverse ipotesi: 1) ubriachezza accidentale; 2) ubriachezza volontaria o colposa; 3) ubriachezza preordinata; 4) ubriachezza abituale; 5) ubriachezza cronica. Queste ultime due, peraltro, sono assimilate, quanto al trattamento, rispettivamente all'ubriachezza preordinata e al vizio di mente.

200Così: INGRASCI, Fondamento giuridico della responsabilità nei reati commessi in

stato di ubriachezza piena e non accidentale, in Giustizia penale, 1955, col. 305. Bisogna anticipare che, ai fini della nostra indagine, è fondamentale tenere ben separato il concetto di ubriachezza da quello di ebbrezza. Troppo spesso, infatti, anche nella letteratura specialistica, questi termini vengono erroneamente utilizzati indistintamente quasi come fossero sinonimi.

201Per quanto concerne l'assunzione di sostanze alcoliche, in effetti, si possono classificare diversi stadi. In questo senso, cfr.: MANZINI, Trattato di diritto penale

italiano, quinta ed. aggiornata, (a cura di) PISAPIA, Torino, 1981, vol. II. pp. 160 e

Rammentiamo che l'ubriachezza venne distinta in accidentale e volontaria già sotto la vigenza del codice Zanardelli del 1889202, ove

per ubriachezza accidentale si intendeva «quella cioè che ha colpito chi interamente ignorava gli effetti della bevanda, o che per un certo calcolo sulla quantità di essa o per altro caso fortuito, ovvero per malizia o scherzo altrui, vi sia incorso senza avvedersene»203.

Dunque, quando si parla di ubriachezza accidentale si fa riferimento ad uno stato di intossicazione alcolica derivante da causa non voluta né prevista o prevedibile in alcun modo dal soggetto agente e del tutto avulsa dalla sua volontà.

Nel nostro ordinamento, l'ubriachezza accidentale è disciplinata all'art. 91 c.p., ove si prevede che qualora l'ubriachezza derivi da caso fortuito o da forza maggiore, essa esclude o diminuisce l'imputabilità, a seconda della sua incidenza sulla capacità di intendere e di volere. Si pensi, ad esempio, all'operaio di una distilleria che si ubriaca in un ambiente saturo di vapori alcolici a causa di un guasto dell'impianto di raffinazione (forza maggiore) oppure al soggetto che abbia ingerito una bevanda, in cui a sua insaputa era stata in precedenza introdotta una sostanza alcolica (caso fortuito). In queste ipotesi, dunque, il fenomeno disciplinato nell'art. 91 c.p. non solleva nessun particolare problema; infatti, qui, il legislatore prevede un'assimilazione tra il piano naturalistico ed il piano giuridico, nel senso che ad una capacità ridotta o esclusa corrisponde, a seconda delle circostanze da valutare caso per caso, la semi-imputabilità ovvero la non imputabilità.

Le ipotesi di ubriachezza volontaria o colposa, viceversa, sono espressamente disciplinate congiuntamente al 1° comma dell'art. 92 c.p., il quale dispone: «L'ubriachezza non derivata da caso fortuito o da 202V. retro, cap. 1 par. 2.5.

203Così: MAZZANTI, (voce) Ubriachezza (Diritto penale), in Novissimo Digesto

forza maggiore non esclude né diminuisce l'imputabilità».

Per quanto concerne l'ubriachezza volontaria o colposa, quindi, a giudizio della dottrina al giorno d'oggi prevalente e che avremo modo di vedere meglio più avanti, il legislatore ha sancito una c.d. fictio di imputabilità, in virtù della quale, il soggetto agente, anche se naturalisticamente non imputabile o semimputabile, viene reputato giuridicamente capace di intendere e di volere. Si capisce, pertanto, che risulta fondamentale distinguere i casi di ubriachezza accidentale da quelli di ubriachezza volontaria o colposa poiché le due situazioni sono soggette a discipline distinte.

Prendendo le mosse dal disposto del codice Rocco, il Manzini definisce l'ubriachezza colposa, quindi, distinguendola da quella accidentale, sostenendo che nella nozione di ubriachezza colposa rientra «l'ubriachezza non intenzionale ma non accidentale, quella, cioè, che dipende da negligenza o imprudenza, perché in tal caso è bensì involontario l'effetto (non volle ubriacarsi), ma non la causa (si volle bere eccessivamente): questa è ubriachezza colposa e non accidentale, qual è quella imputabile al solo fortuito»204.

Dunque, si ha a che fare con un'ipotesi di ubriachezza colposa quando l'individuo abbia previsto oppure abbia potuto prevedere che, adottando una certa condotta, avrebbe potuto ubriacarsi. Al contrario, si ha a che fare con un'ipotesi di ubriachezza volontaria quando il soggetto agente abbia voluto ubriacarsi.

Completa lo scenario, infine, la disciplina del 2° comma dell'art. 92 c.p. che, come sappiamo, prevede un'aggravante per l'ipotesi di ubriachezza preordinata, intendendosi per tale quella provocata dall'uso di alcolici «al fine di commettere il reato, o di prepararsi una scusa» e su cui non occorre insistere ulteriormente. 204Cfr.: MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, Torino, 1933, vol. II, p. 131.

3. L'ubriachezza volontaria o colposa: art. 92, 1°