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La fase di adozione formale del piano da parte di soggetti pubblici e privati che partecipano al processo impegnandosi pubblicamente

LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA PER LA CITTÀ METROPOLITANA.

4. La fase di adozione formale del piano da parte di soggetti pubblici e privati che partecipano al processo impegnandosi pubblicamente

all’adempimento degli obblighi che da esso derivano e in cui si riconoscono. Le risorse per l’attivazione di un processo di pianificazione strategica e per la preparazione materiale del piano debbono essere sia pubbliche che private. La necessità di una compartecipazione alle spese di una pluralità di soggetti pubblici e privati non deriva tanto dalle attuali ristrettezze di bilancio degli enti locali ma, piuttosto (o anche) dall’estensione al capitolo delle risorse del principio guida della compartecipazione al processo decisionale, che sottende tutto il processo della pianificazione strategica. Nella realtà, va da sé che le risorse fornite

possono essere costituite sia da contributi economici sia da apporti materiali o in servizi (uso di sedi per riunioni dei gruppi di lavoro, l’uso gratuito di supporti per le attività di analisi e comunicazione, ecc.) o con l’apporto di idee, studi e proposte (e il caso per esempio di università, sindacati, associazioni culturali e di volontariato). Le differenti modalità di reperimento delle risorse sono presentate in sintesi nelle seguenti 5. La fase di articolazione delle strategie in programmi e/o in piani per aree

di intervento: attuazione dei piani, monitoraggio, valutazione delle strategie e dell’intero processo di pianificazione strategica, come preliminare di una successiva pianificazione.

L’elaborazione del piano è quindi il risultato di un processo partecipativo, il cui promotore o soggetto leader è, in genere, l’Ente locale (Comune o Provincia) ma il cui esito dipende da una reale condivisione degli obiettivi e del metodo di lavoro da parte di tutte le forze economiche, sociali e culturali che hanno a cuore lo sviluppo della città. Si tratta, in sostanza, di un metodo di governance che ha dimostrato di essere efficace nella costruzione di una rinnovata coesione sociale nelle comunità locali, consentendo l’attivazione, in alcuni casi, di ingenti risorse finanziarie.

In Italia, i primi piani strategici sperimentati a livello di città vengono elaborati nel 1998, dopo l’esperienza pioniera di Torino (orientata all’appuntamento delle Olimpiadi 2006), il piano strategico è stato avviato in diverse città medio-grandi, come Pesaro, La Spezia, Trento, Perugia, Verona, Firenze, Piacenza, Venezia e Vercelli. Recentemente si sono aggiunte, Genova, Teramo, Barletta e Taranto. Ad avvicinarsi al piano strategico sono state anche alcune associazioni di Comuni, come nel caso del piano dell’area Nord di Milano, e diverse amministrazioni provinciali (ad esempio Treviso e Padova), che hanno così dimostrato di acquisire, sul campo, competenze e ruoli per la promozione e coordinamento delle iniziative finalizzate allo sviluppo, in linea con quanto previsto dalla recente normativa. Parlare di piani strategici, quindi, vuol dire riferirsi anzitutto a piani urbani e metropolitani, laddove la sperimentazione di essi ha interessato principalmente aree urbane e metropolitane e, solo in qualche caso, si è trattato di ambiti territoriali di livello provinciale.

Il Piano strategico “Torino Internazionale” costituisce indubbiamente il caso di maggiore eccellenza in Italia. Torino è stata la prima città italiana ad approvare un Piano strategico per lo sviluppo della sua area metropolitana (Febbraio 2000), coinvolgendo le istituzioni, i rappresentanti politici, il mondo economico e la società civile in un progetto di ridefinizione della propria identità.

Il contesto in cui si prepara, si approva e si avvia l’attuazione del piano strategico di Torino è molto complesso e si articola in tre componenti:

1. le ragioni che hanno fatto avviare il progetto di piano strategici;

2. il quadro del governo locale e lo stato della pianificazione urbanistica in cui il piano si è inserito;

3. il contesto culturale e storico, oltre che urbanistico ed economico della città.

A Torino il settore pubblico ha giocato un ruolo rilevante fornendo una cornice coerente che serva a coordinare le azioni dei diversi agenti. Si tratta infatti di un processo governato dall’alto, con una partecipazione da parte della società civile di tipo tendenzialmente tradizionale (Albrechts, 2003).

Rispetto ai primi anni ’90, la missione degli enti locali era cambiata. Da una funzione di controllo dello sviluppo e di gestione interna per mansioni, gli enti locali sono chiamati ad amministrare per obiettivi e a promuovere lo sviluppo. Tutto ciò in modo aggiuntivo alle tradizionali funzioni di controllo (Ave, 2003). Gli obiettivi del Piano strategico di Torino infatti erano di migliorare l’integrazione nel sistema internazionale, costruire un governo metropolitano esteso e unitario, favorire le iniziative imprenditoriali, sostenere l’occupazione, fare di Torino un centro di ricerca e di formazione, trasformarla in una città di cultura e turismo e migliorare la qualità della vita.

Gli assi strategici selezionati sono stati strumentali all’ambizione della città di diventare una vera metropoli europea, integrata con il resto dell’Europa (Albrechts, 2003).

Nel caso torinese, come avviene in ogni luogo in cui viene attuato un progetto di pianificazione strategica, sono stati coinvolti un gran numero di interessi (stakeholders), mobilitati attraverso i forum per lo sviluppo.

La metodologia seguita è diventata un punto di riferimento per molte delle successive esperienze, specie per quanto riguarda l’attenzione data alla dimensione negoziale e partecipativa. Anche i contenuti e la struttura del Piano sono canonici, con l’identificazione e l’articolazione di obiettivi, linee strategiche e azioni inter-settoriali, all’interno di una visione integrata e condivisa.

Il processo di elaborazione ha avuto inizio nel 1998, erano stati indicati in 12 mesi i tempi per lo studio e l’elaborazione del piano. I tempi reali sono stati più lunghi di 6 mesi rispetto a tale previsione, ma quella di Torino resta un’ottima prova di gestione del processo di preparazione di un piano strategico (Ave, 2003).

Le fasi del piano sono note (si veda la Fig. 5).

In sintesi il processo del piano strategico è stato articolato in 3 componenti: 1. redazione partecipata e condivisa di un’analisi diagnostica secondo il

modello Swot;

2. stesura di varie bozze del piano strategico fino alla versione definitiva; 3. sottoscrizione da parte dei principali soggetti pubblici e privati dell’area

di un documento che sancisce l’adesione alla visione proposta dal piano e l’impegno a realizzare quanto previsto, ognuno per la propria parte. Nel caso torinese, notevole importanza, con riferimento a quelli che erano gli obiettivi del piano, ha assunto certamente il richiamo ai principi della sostenibilità urbana, prevedendosi cioè iniziative volte al perseguimento di uno sviluppo sostenibile della città, nell’ambito di una visione integrata, capace di coniugare ambiente, società, economia, e di un sistema d’accesso eguale alle risorse ambientali e fondamentali quali l’occupazione, la salute, la protezione sociale, i servizi di base, l’abitazione ecc...

L’esperienza di Torino dimostra il valore della metodologia seguita, centrata su uno sforzo volontario dei principali soggetti decisori per definire insieme, nel rispetto dei ruoli di ciascuno, la direzione per il futuro della città e della sua area. Dimostra l’importanza della preparazione di un piano strategico come un processo negoziato e condiviso esteso a un’intera area metropolitana.

Quello di Torino è un piano basato su una metodologia flessibile, come ha dimostrato la capacità di riformulare il testo del piano nel giro di sei mesi a partire dall’assegnazione della sede delle olimpiadi, e averlo fatto senza perdere il carattere di piano partecipato e condiviso di livello metropolitano (Ave, 2003). La metodologia del piano strategico di Torino è stata seguita, nei suoi aspetti sostanziali, in quasi tutte le altre città italiane in cui è stato preparato un piano strategico.

Da Torino passiamo ad un altro caso di eccellenza, relativo cioè al «Piano strategico “intercomunale” Area Nord Milano» che si presenta come un’esperienza inedita di pianificazione strategica per la sua logica “intercomunale”.

Infatti, il piano è il risultato di una forma sperimentale di azione pubblica che vede, sotto il coordinamento della Provincia di Milano, il coinvolgimento di quattro

Comuni dell’hinterland milanese: Bresso, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese e Sesto San Giovanni.

Le Amministrazioni comunali di questi centri urbani hanno stipulato tra loro un accordo di cooperazione al fine di trovare un comune percorso di sviluppo, alternativo rispetto a quello (un tempo fiorente) di distretto industriale.

Più in dettaglio, il processo di pianificazione strategica del Nord Milano è stato promosso dall’Agenzia di Sviluppo Nord Milano (che ha ricoperto un ruolo di supervisione e coordinamento tecnico), su mandato dei Sindaci dei quattro Comuni dell’area (che del processo hanno avuto una funzione di regia e di indirizzo).

Attraverso il Piano Strategico del Nord Milano, gli enti locali e tutti i soggetti aderenti hanno attivato un processo partecipato, finalizzato a individuare e superare le maggiori barriere sulla via di un nuovo sviluppo locale caratterizzato dalla ripresa economica, dall’attenzione per la qualità dell’ambiente urbano, dalla coesione sociale, dall’attivazione di opportunità per tutti i cittadini.

Grazie al Piano strategico sono stati individuati alcuni assi sui quali le Amministrazioni, gli operatori pubblici, gli attori economici, le forze sociali e del terzo settore sono chiamati a sviluppare le proprie azioni e i propri progetti. Il processo avviato con il Piano Strategico del Nord Milano rappresenta anche un prezioso sforzo di governo metropolitano costruito dal basso, in forma volontaria e concertata, a partire da un nuovo protagonismo delle Amministrazioni municipali e delle forze sociali presenti sul territorio.

La Provincia di Milano ha riconosciuto il valore di questa esperienza, non solo partecipando attivamente ai lavori di elaborazione del Piano, ma soprattutto avviando con le Amministrazioni Comunali del Nord Milano una collaborazione finalizzata ad accogliere all’interno del Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale i contributi provenienti dal Piano Strategico del Nord Milano.

I casi di Torino e Milano costituiscono certamente delle best practices nell’ambito della pianificazione strategica.

La costruzione di piani strategici, quindi, ha innestato un nuovo processo di governance che ha messo in rete attori e politiche, interessi e obiettivi per individuare una visione condivisa del futuro della città. Una risposta comune alle sfide del governo metropolitano può quindi risiedere proprio nel mettere insieme

le diverse esperienze che hanno approcciato alla pianificazione strategica come metodo e strumento per un disegno di crescita urbana ma porle anche in raffronto con quanto già fatto da altre città con pianificazione strategica in contesti diversi. La pianificazione strategica, applicata alle città metropolitane, potrebbe però presentare delle criticità che andrebbero risolte. Durante il processo di formazione del piano c’è il rischio che si creino conflitti nel rapporto pubblico- pubblico, l’assenza di una parte privata, lo stesso potere decisionale dato ad ogni attore, quindi la mancanza di un soggetto che possa avere l’ultima parola, non sono fattori positivi. Inoltre la mancanza di un rapporto con il piano territoriale e la difficoltà a confrontarsi con i problemi che richiedono un confine a geometria variabile, rallentano il processo di stesura e conseguentemente di approvazione del piano strategico.

3.2 I vari tipi di approcci strategici

La definizione di pianificazione strategica, trattata nel paragrafo precedente, nel tempo ha subito mutamenti concettuali e processuali, legati soprattutto al periodo storico e al contesto scientifico.

Nel suo testo dedicato alla pianificazione strategica comunitaria (Fera, 2008) l’autore, in accordo con gli autori citati precedentemente (Albrechts, 2003), definisce la pianificazione strategica nel campo delle politiche territoriali, in contrapposizione alla pianificazione tradizionale a carattere normativo– regolativo, come una pianificazione di tipo operativo, action/oriented.

Con pianificazione “operativa”, (…) si definisce una forma di pianificazione “in positivo”, ovvero che individua concrete linee d’azione, programmi e progetti da realizzare ed attuare; la definizione di tali progetti è funzione, ovviamente, degli obiettivi che il piano intende raggiungere. Il termine “operativo”, maggiormente in uso negli anni ’60 – 70, poneva l’attenzione in particolare sul carattere attivo e fattuale del piano, contrapposto a quello regolativo della pianificazione tradizionale. Negli anni più recenti al termine operativo si è nel tempo preferito il termine “strategico”, con il quale si vuole concentrare l’attenzione sul nesso obiettivo-azione. Possiamo dunque definire la pianificazione strategica come processo di decisioni

finalizzato al compimento di alcune azioni per il raggiungimento di uno scopo (Fera,

Nata in ambito militare e sviluppata nel campo aziendale la pianificazione strategica si è imposta anche nel campo delle politiche urbano territoriali durante gli Anni sessanta del secolo scorso; è in questo periodo, infatti che è possibile parlare di un “approccio strategico” che comincia ad influenzare l’operato delle organizzazioni pubbliche e degli strumenti di pianificazione, prima che si affermasse la pianificazione strategica delle città nelle forme contemporanee. In termini evolutivi, sulla base dei differenti contesti storici nei quali essa si è prodotta, è possibile distinguere tre diverse forme di pianificazione strategica, corrispondenti a tre diversi periodi temporali29:

1. L’approccio strategico di tipo sistemico-razionalista, affermatasi nel periodo fra il secondo dopoguerra e gli anni ’70, fortemente influenzata dall’applicazione della teoria dei sistemi della pianificazione territoriale (vedi il paragrafo 1.2);

2. L’approccio strategico di matrice aziendale (strategica-concertata), affermatasi durante gli anni ’80 ed i primi anni ’90, caratterizzata da un approccio a carattere negoziale/concertato fra enti pubblici ed imprese private e tende soprattutto al rilancio in termini economici ed urbanistici di alcune grandi realtà urbane;

3. L’approccio strategico di tipo comunitario (reticolare), caratteristica dell’ultimo periodo e fortemente ispirata ai temi dello sviluppo sostenibile, che privilegia la dimensione locale e partecipativa.