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Cosa si intende per pianificazione strategica: i caratteri essenziali e le criticità.

LA PIANIFICAZIONE STRATEGICA PER LA CITTÀ METROPOLITANA.

3.1 Cosa si intende per pianificazione strategica: i caratteri essenziali e le criticità.

L’origine del termine strategia, insieme a quello di tattica, va ricercato nella scienza militare. La nozione di strategia è stata poi adottata in ambito aziendale. Le imprese elaborano strategie di lungo periodo finalizzate a raggiungere precisi obiettivi aziendali, che perseguono attraverso misure ed azioni a breve periodo. Dall’economia aziendale il concetto è stato infine traslato alla pianificazione territoriale (Martinelli, 2003).

Nel corso degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso si era evoluta, in alcuni paesi occidentali, verso un sistema di pianificazione integrata ai diversi livelli amministrativi. In numerose città europee, a partire dagli anni ’80 e soprattutto negli anni ’90, spinte da un’accresciuta complessità, da un’accelerazione dello sviluppo, dai problemi della frammentazione e dell’esclusione, dalla preoccupazione crescente per le questioni ambientali, dall’enfasi sulla necessità di ragionare sul lungo periodo (Newman e Thornely, 1996), sono state sperimentate nuove procedure di pianificazione urbana che vengono designate con il termine di pianificazione strategica. Con il nuovo millennio, il piano

strategico territoriale ha fatto la sua comparsa pure in Italia, anche per l’impulso della programmazione comunitaria.

La pianificazione strategica può essere definita come un processo guidato dal settore pubblico, attraverso il quale una visione, delle azioni e dei mezzi di attuazione sono formulati, dando forma e cornice a quello che un luogo è e può diventare (Albrechts 2004).

La pianificazione strategica riguarda tanto i processi, la mobilitazione, l’ingegneria istituzionale, quanto lo sviluppo di teorie. I suoi contenuti sono collegati alle questioni strategiche selezionate nel processo.

I Piani strategici nascono dalla consapevolezza della crisi del vecchio modello di industrializzazione o comunque della necessità di sostenere l’economia locale e l’occupazione nelle condizioni di crescente competizione internazionale.

“I piani strategici agiscono attraverso la costruzione ampia di un impegno collettivo che incorpora la molteplicità dei centri decisionali a partire dal basso e la fa convergere su una visione socio-politica della città e del suo territorio proiettata in un futuro anche lontano, ma realizzabile sulla base di partenariati, di risorse, di tempi individuati, di interessi convergenti, del monitoraggio dell’efficienza dei tempi di attuazione” (Spaziante, 2003).

Una differenza tra la pianificazione strategica territoriale e quella militare o aziendale è che, a differenza di queste ultime due, nella pianificazione territoriale non vi è centralizzazione dell’autorità e le decisioni non possono essere imposte (Martinelli, 2003).

La pianificazione strategica territoriale si iscrive a tutti gli effetti in quel filone28, della pianificazione collaborativa e partecipativa (Healey, 1997).

Le principali caratteristiche che connotano la pianificazione strategica in ambito territoriale, distinguendola dagli strumenti urbanistici tradizionali, alcune delle quali strettamente interconnesse tra loro, sono (Fera, 2002):

1. l’operatività: cioè è orientata alla promozione di azioni e progetti; 2. la flessibilità: cioè è suscettibile di aggiornamenti e revisioni;

3. la dimensione territoriale di area vasta: cioè sovracomunale, che lancia la necessaria concertazione tra livelli di governo diversi;

4. l’approccio integrativo: cioè il superamento del tradizionale approccio settoriale della pianificazione attraverso la messa in relazione di diverse scale di governo;

5. la consensualità: cioè non si tratta di un documento prescrittivo, ma costruisce una visione del futuro condivisa attraverso un processo partecipato;

6. la funzione di quadro strategico di lungo periodo;

7. la contestualità: cioè la forte connotazione alle specificità locali.

A queste caratteristiche fondamentali si aggiunge la selettività, cioè la capacità di individuare le decisioni e le azioni che sono considerate più importanti di altre. La maggior parte del processo, infatti, sta proprio nel prendere difficili decisioni su cosa è più importante per conseguire giuste risposte strutturali a problemi, sfide, aspirazioni, differenze.

I Piani strategici si basano su un processo di cooperazione volontaria tra i diversi soggetti pubblici e privati, che mettono insieme un percorso di sviluppo condiviso, individuando alcuni obiettivi strategici e si impegnano a realizzare una serie di azioni ben scadenzate nel tempo. La platea dei soggetti privati è molto ampia: include non solo le organizzazioni di rappresentanza delle principali categorie economiche e quelle sindacali, ma si estende a un più vasto insieme di soggetti legati all’associazionismo sociale, culturale, ambientalista ecc..

Con questo strumento si cerca di affrontare non solo il problema del coordinamento tra le diverse istituzioni pubbliche, che è impossibile ottenere solo per via gerarchica, ma anche di associare le organizzazioni di rappresentanza degli interessi economici, sociali e culturali.

In sostanza, con l’ingresso di una pluralità di attori, amministrativi e sociali, nella programmazione locale si segna il passaggio a una nuova generazione della pianificazione: quella che si rappresenta nella transizione dal government alla governance.

Gli obiettivi dei piani strategici possono essere analizzati secondo una duplice ottica: come “prodotto” e come “processo”. Da una parte infatti vanno

considerati i contenuti del piano, cioè gli obiettivi, le strategie e le azioni, da un altro punto di vista deve essere inteso come processo, non solo tecnico, ma anche e soprattutto sociale (Fera, 2002).

Tra gli obiettivi più ambiziosi della pianificazione strategica vanno menzionati la costruzione e/o il rafforzamento del capitale sociale locale attraverso processi di interazione e apprendimento collettivo.

Nei piani strategici, si sperimenta il superamento del modulo amministrativo di tipo verticale e autoritativo e il passaggio ad uno orizzontale, di aperto coinvolgimento delle soggettività agenti sul territorio.

In sintesi, nella pianificazione strategica in genere sono presenti tre elementi: 1. la mobilitazione dei soggetti locali intorno ad obiettivi di sviluppo

socioeconomico del territorio, di miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti e di inclusione sociale; infatti, sono soprattutto gli obiettivi sociali che spingono la città a porsi direttamente, più che in passato, problemi di governo dello sviluppo;

2. la promozione di un coordinamento tra soggetti pubblici e privati locali attraverso accordi formalizzati (i protocolli d’intesa preliminari e i veri e propri Piani Strategici) che definiscono gli obiettivi condivisi delle politiche;

3. il perseguimento di obiettivi integrati (economici, sociali, infrastrutturali) di medio e lungo periodo, ritenuti strategici per lo sviluppo locale. Questa esigenza nasce da un’accresciuta consapevolezza dell’interdipendenza tra le varie dimensioni che caratterizzano la situazione della città: le specializzazioni produttive, la dotazione infrastrutturale, le istituzioni culturali, formative e di ricerca, i servizi sociali, la qualità ambientale. D’altra parte, non si può perseguire il rafforzamento di determinate specializzazioni produttive senza adeguati collegamenti con le politiche della ricerca, della formazione o anche dell’inclusione sociale (es. si pensi al tema dell’immigrazione).

Tuttavia, la pianificazione strategica non costituisce di per sé un elemento di novità nell’ambito degli strumenti di pianificazione urbanistica-territoriale. Infatti, l’approccio strategico attuale accomuna le diverse forme di pianificazione strategica territoriale avvicendatesi nel tempo. Infatti, tanto nei piani sistemici

degli anni Sessanta, quanto in quelli di ispirazione aziendale degli anni Ottanta, ed in quelli “visionari” e “reticolari” dei giorni nostri, sono presenti aspetti che non mutano e che possono essere riportati alla nozione di approccio strategico; si pensi per esempio alla distinzione tra le decisioni strategiche (di medio-lungo periodo) e quelle tattico-operative (di breve periodo), e alla strutturazione del processo di pianificazione per fasi. In sostanza, si può dire che la pianificazione strategica urbana e territoriale sia definibile nei termini di una pratica pianificatoria, che si avvale di un approccio di tipo strategico ai problemi della città e del territorio, e che è soggetto ad un’evoluzione continua, in risposta ai cambiamenti del contesto. Infatti, al variare della situazione politica, economica e sociale la pianificazione strategica, pur mantenendo sempre le caratteristiche proprie dell’approccio strategico, si è modificata notevolmente, passando da una concezione rigida e gerarchica del processo di pianificazione (tipica degli anni Sessanta), ad una concezione procedurale ed incrementale (tipica dei giorni nostri), basata su forme partecipative e negoziali di elaborazione della strategia. A differenza dei modelli di pianificazione strategica precedenti, quello attuale cerca di porsi quale processo di pianificazione di tipo “complessivo”, in cui tutte le fasi, comprese quelle preliminari e quelle di attuazione, vengono considerati nello stesso modo. In ogni caso, l’aspetto più rilevante non è tanto quello della strutturazione quanto piuttosto il fatto che esso prevede una partecipazione attiva da parte della comunità locale, nell’individuazione dello scenario del proprio sviluppo e delle modalità attraverso cui conseguirlo. In questo modo, il processo di pianificazione diviene un processo di mutuo apprendimento, e cioè un processo che consente, da un lato, di arricchire le conoscenze dei pianificatori e, dall’altro, di mettere la comunità nella condizione di conoscere meglio se stessa e le risorse che le appartengono.

La partecipazione nelle pratiche strategiche significa, in estrema sintesi, promuovere trasparenza, informazione completa, ascolto e presa in conto delle aspettative dei cittadini, soprattutto dei gruppi più svantaggiati e deboli: tutti elementi che devono essere presenti sin dalle prime fasi del processo di pianificazione e che richiedono l’utilizzazione di un ampio ventaglio di tecniche dialogiche, di tutte le forme di comunicazioni possibili, e del supporto di un’informazione chiara, corretta ed esauriente (Brody et al., 2003).

A titolo di esempio, nel contesto francese al tema del coinvolgimento civico in materia di pianificazione urbanistica un’esperienza di frontiera di coinvolgimento

della cittadinanza metropolitana è rappresentata dalla Démarche Stratégique et Partecipative avviata nel 1997 dal governo metropolitano di Lione con il programma “Millenaire 3”, approfondito in seguito nel capitolo 4.

Un altro elemento di novità sono i numerosi nuovi strumenti utilizzabili per tali strategie, atti a favorire soprattutto la comunicazione, la negoziazione e la collaborazione inter-istituzionale, accompagnando tutti i processi di pianificazione strategica.

I piani che negli ultimi anni vengono realizzati possono essere definiti di “ultima generazione” in quanto si distinguono dagli altri strumenti urbanistici perché presentano talune caratteristiche particolarmente accentuate, vale a dire:

integrazione: sono piani integrati, in essi la riflessione circa il futuro della

città viene condotta sulla base di considerazioni insieme ambientali, economiche e sociali;

sussidiarietà: adottano tale principio, laddove si intende far riferimento,

tra i soggetti deputati ad ideare e implementare le decisioni, a coloro che meglio conoscono la realtà urbana, che sono più vicini ad essa;

partecipazione: si inseriscono nel filone della governance, rifiutando la

logica delle azioni imposte dall’alto, in favore di iniziative di tipo misto, che provengono cioè dall’alto e dal basso;

reticolarità: sono piani in grado di prefigurare e promuovere il costituirsi

di reti molteplici di relazioni di tipo sia fisico (reti infrastrutturali), sia funzionale (reti tra attori);

performatività: si tratta di piani in cui ciò che conta non è tanto il risultato

finale cui essi consentono di arrivare, quanto il processo attraverso cui si arriva a tale risultato. Si tratta dunque di piani la cui validità risiede nella capacità di produrre trasformazioni e nei livelli di performance (economica, sociale, ambientale) dimostrati;

apertura: si tratta di piani che permettono di attuare, nelle politiche e

nelle azioni previste al loro stesso interno, delle variazioni in funzione dei mutamenti che avvengono nella scena sociale, economica, culturale e ambientale.

Per sintetizzare si può affermare che il Piano Strategico è un nuovo strumento di governo del territorio, che propone la rappresentazione di lungo periodo di un sistema locale attraverso l’individuazione e la definizione di obiettivi strategici condivisi. Gli obiettivi, tradotti in azioni specifiche, sono caratterizzati da forme di partenariato che coinvolgono attori pubblici e privati.

Questo strumento è stato definito “visionario” poiché propone una vision, un’idea condivisa per lo sviluppo futuro di un’area territoriale. La caratteristica visionaria allude all’importanza dell’immaginazione sociale nella definizione di scenari desiderabili verso cui indirizzare le azioni del Piano.

Il Piano Strategico, inoltre, promuove un modo nuovo di gestire lo sviluppo economico, sociale ed urbanistico della città secondo un metodo “reticolare”. In proposito alcuni studiosi sostengono che, superato l’approccio top down come implementazione delle politiche «dall’alto», anche il metodo bottom up di raccolta delle istanze «dal basso» non sia in grado di affrontare quei problemi complessi la cui soluzione è perseguibile solo attraverso progetti integrati a carattere intersettoriale tipici del Piano Strategico. Il modello “reticolare”, incentivando la creazione di rapporti di tipo cooperativo e competitivo, caratterizza le nuove forme di organizzazione dei soggetti socio-economici di un territorio. Si può addirittura affermare che uno dei principali risultati in un processo di pianificazione strategica sia la capacità di creare coesione e interazione tra gli attori, coinvolgendo tutte le forze della città e del territorio. La forza di una rete di attori locali risiede, da un lato, nella capacità di individuare congiuntamente le questioni di maggior rilievo, le direttrici strategiche, eliminando o limitando futuri conflitti nella fase di implementazione. Dall’altro lato, quando si parla di “approccio reticolare” e quindi della rete di attori che si crea durante la redazione del piano e dei legami personali che si instaurano tra di essi, si intende sottolineare la forza vincolante insita in un processo decisionale inclusivo nel far rispettare gli impegni presi in assenza di precisi obblighi giuridici. Un processo partecipato è frutto di un approccio incrementale, ricorsivo e strategico in relazione al momento del processo. Conoscenza e progetto vanno in parallelo, non in sequenza.

A tal proposito Albrechts afferma che dialogo aperto, responsabilità, collaborazione e costruzione del consenso sono dunque concetti chiave nell’ambito della pianificazione strategica.

Lo stile di pianificazione territoriale strategica proposto da Albrechts si allontana dall’idea di governo come mobilizzatore di risorse pubbliche e come fornitore di risorse ai problemi, e si avvicina piuttosto a un idea di governance, intesa come la capacità di attivare una ricerca di soluzioni creative e territorialmente differenziate ai problemi e alle sfide che si pongono, in altre parole la ricerca di un futuro desiderabile, attraverso la mobilitazione di una pluralità di attori, con interessi, obiettivi e strategie diversi e anche conflittuali. Questo implica un certo grado di selettività e una dipendenza reciproca tra attori.

Un processo di pianificazione strategica fattibile ed efficace deve essere caratterizzato da un approccio dal basso e da un intervento politico multiscalare dall’alto. Un mero approccio centralizzato dall’alto corre il rischio di trascurare il sapere locale, storicamente evoluto e accumulato, e il suo potenziale di qualificazione; dall’altro lato, un’enfasi unidimensionale e un approccio unicamente dal basso tendono a negare l’importanza di collegare le differenze locali alle macrotendenze strutturali (Albrechts, 2003).

Al centro del modello di pianificazione strategica proposto da Albrechts vi è una battaglia per l’inclusione degli “esclusi” nelle procedure democratiche, per la trasparenza delle transazioni di governo, per la responsabilizzazione dello stato e dei pianificatori nei confronti della cittadinanza, per il diritto dei cittadini ad essere ascoltati e a fornire input creativi in tutte le questioni che li riguardano, alle diverse scale di governo, e per la riduzione o eliminazione delle disuguaglianze tra gruppi sociali e classi nelle strutture di potere (Friedman e Douglas, 1998). (combattere le disparità è un obiettivo comune allo Schema di Sviluppo dello Spazio Europeo)

Se guardiamo in dettaglio a quella che dovrebbe essere l’impostazione del progetto di Piano strategico, si può affermare che il processo di pianificazione strategica è in genere impostato sulla base di alcune fasi fondamentali, che si possono sintetizzate in questo modo:

1. La fase preliminare dove i soggetti locali, pubblici e privati, danno avvio