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L’approccio territorialista, la città policentrica, Biopoli.

15 Strategia Europa

1.4 Dal monocentrismo al policentrismo

1.4.2 L’approccio territorialista, la città policentrica, Biopoli.

L’approccio territorialista, sviluppato nell’ambito dell’omonima scuola19, evidenzia come i problemi della sostenibilità dello sviluppo mettano in primo piano la valorizzazione del patrimonio territoriale, nelle sue componenti ambientali, urbanistiche, culturali e sociali, come elemento fondamentale per la produzione durevole di ricchezza.

Il territorio viene concepito come prodotto storico di processi coevolutivi di lunga durata tra insediamento umano e ambiente, tra natura e cultura, ad opera di successivi e stratificati cicli di civilizzazione. Questi processi producono un insieme di luoghi dotati di profondità temporale, di identità, di caratteri tipologici, di individualità: dunque sistemi viventi ad alta complessità. Per tutta un’epoca storica della modernità, culminata con il fordismo e la produzione di massa, le teorie tradizionali dello sviluppo hanno considerato e utilizzato il territorio in termini sempre più riduttivi, negando il valore delle sue qualità intrinseche. Il territorio, da cui l’uomo si è progressivamente liberato considerandolo un insieme di vincoli negativi (ambientali, energetici, climatici, costruttivi, localizzativi, ecc.) per il compiersi della modernizzazione, è stato trattato come puro supporto tecnico di attività e funzioni economiche che sono localizzate e organizzate secondo principi sempre più indipendenti da relazioni con il luogo, con le sue qualità ambientali e culturali: qualità che derivano appunto dalla sua costruzione storica di lungo durata.

Questo processo ha determinato la destrutturazione del territorio (o deterritorializzazione) in

• luoghi usati per l’urbanizzazione delle periferie industriali e delle conurbazioni metropolitane che ha travolto toponimi, paesi, culture, paesaggi agrari; che li ha trasformati in aree edificabili, li ha sepolti in zonizzazioni e macrofunzioni dei cicli produttivi e riproduttivi della grande fabbrica;

19 La scuola territorialista è nata all’inizio degli anni ’90 in Italia per opera di alcuni docenti e ricercatori di urbanistica e di sociologia che hanno deciso di coordinare la loro attività di ricerca in ambito universitario e CNR: A. Magnaghi (Università di Firenze), G. Ferraresi (Politecnico di Milano), A. Peano (Politecnico di Torino), E. Trevisiol (IUAV), A. Tarozzi (Università di Bologna), E. Scandurra (Università di Roma ‘La Sapienza’), A. Giangrande (Università Roma Tre), D. Borri (Università di Bari) e B. Rossi Doria (Università di Palermo).

• luoghi montani e collinari rilevantissimi per estensione (l’osso apenninico e i sistemi pedemontani e collinari prealpini) e per storia (la ricca civilizzazione delle città collinari), che sono stati in gran parte ambientalmente degradati e culturalmente destrutturati vuoi dall’abbandono, vuoi da modelli insediativi decontestualizzati, vuoi ancora dalla localizzazione di funzioni periferiche e nocive del sistema produttivo;

• alcuni luoghi di pianura rasi al suolo per attrezzare la cosiddetta industria verde che ha trasformato i ricchi e diversificati paesaggi agrari in un deserto meccanico-chimico;

• luoghi costieri mono funzionalizzati al loisir del produttore/consumatore massificato, con la cementificazione continua della linea di costa e la svalorizzazione dei paesaggi collinari dell’entroterra.

Per contrastare il processo di deterritorializzazione l’approccio territorialista riferisce la sostenibilità all’attivazione di sistemi di relazione virtuose tra le tre componenti del territorio: l’ambiente naturale, l’ambiente costruito e l’ambiente antropico; la produzione di alta qualità territoriale (e non solo ambientale) è la precondizione della sostenibilità, dal momento che la produzione di territorio è assunta come base della produzione della ricchezza. Il concetto di sostenibilità dello sviluppo è riferito non solo alla riproducibilità delle risorse naturali (sostenibilità ambientale), ma a sistemi complessi e interagenti di valutazioni che riguardano l’organizzazione non gerarchica dei sistemi territoriali e urbani (sostenibilità territoriale), la coerenza dei sistemi produttivi con la valorizzazione del patrimonio territoriale e con lo sviluppo dell’imprenditorialità locale (sostenibilità economica) e la crescita di autogoverno delle società locali (sostenibilità sociale e politica).

L’approccio territorialista intende perseguire tutte queste forme di sostenibilità e assume come elemento chiave della sua azione la promozione di sviluppo locale autosostenibile, dove il termine locale vuole mettere in evidenza la valorizzazione delle risorse territoriali e l'identità di un luogo, mentre autosostenibile sta ad indicare l'importanza di una ricerca di regole insediative, economiche e politico - sociali produttrici di equilibri a lungo periodo tra ambiente naturale, ambiente costruito e ambiente antropico.

Lo scopo della pianificazione non può essere allora solo la salvaguardia ambientale, ma la qualità complessiva del territorio e dell'abitare.

L’approccio territorialista differisce da tutti gli altri approcci allo sviluppo sostenibile per la maggiore attenzione alla scala locale e perché considera inscindibile la sostenibilità ambientale da quella culturale, sociale, politica ed economica.

In particolare in questo approccio l’efficienza tecnologica non costituisce il fattore risolutivo per contrastare il grave processo in atto di degrado ambientale.

“La sostenibilità del territorio non può infatti essere affidata a macchine tecnologiche e a economie eterodirette, ma a a una riconquistata sapienza ambientale e di produzione del territorio da parte degli abitanti” (Magnaghi 1997).

Negli ultimi due decenni, in Italia, come in molti paesi industrializzati e in via di sviluppo il tema dello sviluppo locale ha progressivamente assunto un’importanza centrale nel dibattito sullo sviluppo (Dansero, Governa, Giaccaria, 2008), non solo dal punto di vista teorico e della ricerca, ma anche dal punto di vista politico, operativo e delle pratiche.

Dall’analisi della letteratura non emerge una definizione univoca e condivisa quanto piuttosto una grande varietà di approcci e proposte che convergono nel riconoscere l’importanza delle specificità locali per il ruolo che possono giocare nei processi di sviluppo. Al di là delle differenti interpretazioni, in termini generali lo sviluppo locale può essere descritto come un processo di interazione tra soggetti locali (pubblici, privati e loro variegate partnership) che condividono in modo implicito o esplicito alcune visioni di sviluppo per la messa in valore di risorse e “ricchezze” territoriali di vario tipo (materiali e non) di cui dispongono. Questi attori, proprio per la loro prossimità spaziale e la conoscenza del territorio, per il coinvolgimento e i legami che hanno con esso, riescono ad avviare e gestire dinamiche positive di cambiamento in modo relativamente autonomo e localmente specifico. In approcci di questo tipo, la società locale e le risorse territoriali riescono ad essere messe in movimento in modo efficace e duraturo. In questa prospettiva lo sviluppo locale si salda fortemente con le tematiche del decentramento territoriale e della partecipazione.

In quanto sistema di relazioni, il territorio chiama in gioco componenti sociali e economiche (residenti, imprenditori, associazioni, industrie, istituzioni, ecc.), aspetti ambientali (infrastrutture, monumenti, disposizione dei centri, delle vie di comunicazione, del parcellare agrario, ecc.), aspetti naturali (orografia, idrografia, clima, ecosistemi locali, ecc.) e anche aspetti culturali (tradizioni locali, identità locale, ecc.). In tale visione il territorio è inteso quindi come una categoria di ricomposizione che non pone la salvaguardia degli ecosistemi in antitesi a quella della società e di un suo sviluppo (anche economico) locale, ma vede componente naturale e socio economica come due inestricabili aspetti di una dinamica che deve essere considerata nella sua interezza e che, solo all’interno di tale interezza, può arrivare a equilibri veramente sostenibili (Bagliani, Dansero, 2005).

In seguito, partendo dalla concezione di sostenibilità legata all’approccio territorialista, C. Saragosa ha cercato di definire le modalità insediative che producono la rinascita del territorio per riuscire a trovare qualche strumento che sia in grado di riequilibrare l’insediamento umano al proprio ambiente, da qui nasce il concetto di “BIOPOLI” (Saragosa 2016). Saragosa esplorando il complesso legame tra la morfologia del territorio e il benessere umano e, attraverso uno studio che va dall'urbanistica alla genetica e alle neuroscienze, arriva a dimostrare come una progettazione degli spazi che tenga conto dell'ecologia e della reazione neurologica degli individui possa migliorare la qualità della vita.

Gli esseri umani rispondono in maniera diversa alle configurazioni spaziali, alcune delle quali, se hanno determinate caratteristiche, contribuiscono più di altre al benessere emotivo. La definizione di queste caratteristiche è stata il frutto di un lungo processo di prove e correzioni degli errori, basato sulla reazione, anche cognitiva, agli spazi e alla progettazione urbana, architettonica e artistica. Quando emergono configurazioni spaziali che soddisfano tali qualità, possiamo dire che si crea un legame empatico tra il soggetto percepente e lo spazio in cui è immerso.

Biopoli è più un concetto astratto che una realtà abitativa, nell’immaginazione dell’autore si tratta di una città che si occupa di preservare le caratteristiche naturali del territorio, non si tratta di una metropoli, ma di una città policentrica, ecologica, radicata e bella in modo da riuscire a suscitare empatia.