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L’approccio strategico di tipo comunitario (III generazione)

La situazione è profondamente cambiata nella seconda metà degli anni ’90 con il diffondersi dello sviluppo sostenibile e la promozione di programmi ad esso ispirati quali, a livello europeo, i progetti Urban e l’Agenda 21 locale. Nasce così la terza generazione di piani strategici, che conserva dell’approccio aziendalista il carattere “performativo” e “flessibile”, ma presenta alcune caratteristiche nuove: 1. Il processo deve essere costruito per cogliere istanze e progettualità provenienti “dal basso”: gli attori non sono soltanto portatori di interessi forti, ma anche portatori di interessi “deboli” o “diffusi”, la comunità rappresenta il cuore di questa pianificazione strategica (Fera, 2002); 2. Enfasi non solo sulla crescita e la rigenerazione economica ma anche sulla

coesione sociale e la qualità della vita;

3. La maggiore attenzione alla sostenibilità ambientale ed alle esigenze di riequilibrio delle funzioni urbane (area vasta o metropolitana).

La pianificazione strategica comunitaria è dunque la forma di pianificazione strategica che si è affermata in questo secolo.

• Le opportunità, ovvero le occasioni favorevoli, esterne al contesto, che possono favorire lo sviluppo della comunità;

• Le minacce, ovvero tutto ciò che, esterno al contesto, al pari delle opportunità, ma in maniera negativa, può influenzare lo sviluppo della comunità.

Tra i più noti esempi di pianificazione strategica di terza generazione vi sono i casi di città che hanno esteso la pianificazione strategica alla dimensione metropolitana:

• Torino (1998) per preparare la città al grande evento delle Olimpiadi e trasformarla da città industriale a città del turismo e dei servizi;

• Barcellona (2000), per gestire la transizione economica e organizzare i servizi alla scala metropolitana;

I temi chiave sono:

Economia della conoscenza e sostegno ai settori dei servizi avanzati, salvaguardia dei valori ambientali e qualità della vita, innovazione nella governance locale.

La situazione è cambiata profondamente nella seconda metà degli anni ‘90 con il diffondersi dei temi legati allo sviluppo sostenibile e la promozione di programmi ad esso ispirati quali, a livello europeo, i progetti Urban e soprattutto Agenda 21 locale. Nasce così la terza generazione di piani strategici caratterizzata, a livello degli obiettivi, da una maggiore attenzione ai temi della qualità della vita e dei bisogni sociali, dall’emergere della “piccola scala”, dall’affermarsi delle tematiche legate alla complessità, ecc. A livello metodologico ciò ha significato una maggiore attenzione verso processi decisionali allargati e all’emergere di forme di vera e propria partecipazione dei cittadini, accanto ai metodi più tradizionali della concertazione pubblico-privata. La comunità rappresenta il cuore di questa emergente pianificazione strategica (community planning), legata soprattutto all’attivazione di politiche di sostenibilità (Agenda 21 locale) (Fera 2005, p. 306)32

32 Fera G. (2005), “Il processo di pianificazione strategica”, in Martinelli F. (a cura di), La pianificazione strategica in Italia ed in Europa, F. Angeli, Milano.

3.3 La governance urbana: verso nuovi modelli.

Le Gales (1998) definisce la governance urbana come la «capacità di integrare e di dare forma agli interessi locali, alle organizzazioni, ai gruppi sociali e, d’altra parte, in termini di capacità di rappresentarli all’esterno, di sviluppare strategie più o meno unificate di relazione al mercato, allo stato, alle altre città e agli altri livelli di government››.

Partendo dalla definizione di Le Gales, la capacità di rappresentare gli interessi locali all’esterno, sviluppando strategie più o meno unificate di relazione al mercato riguarda la mobilitazione dei diversi attori locali in una prospettiva di marketing urbano e territoriale. A seguito dei processi di globalizzazione e della crescente competizione fra territori, le città vengono sempre più viste come attori competitivi nell’economia globalizzata. Il territorio locale diviene, in altre parole, una sorta di “prodotto” da commercializzare.

Ancora, sempre riprendendo Le Gales, la capacità di sviluppare strategie di relazione alle altre città e agli altri livelli di government› introduce la questione delle aree metropolitane. La questione della creazione delle “aree metropolitane” riguarda la necessità di una “istituzione metropolitana” in grado di governare efficacemente la crescente complessità.

I governi metropolitani, negli anni Novanta, hanno visto una ripresa dell’idea dell’istituzione dell’area metropolitana, in chiave però non di “government”, cioè di creazione di un super governo metropolitano, come era stato tentato in passato, bensì di governance (metropolitana), ossia di sviluppo di capacità di governo senza istituzioni forti, attraverso la diffusione di pratiche di interazione, messa in rete delle risorse e condivisione delle responsabilità, proprio al fine di superare le resistenze degli altri livelli di governo locale ed evitare i conflitti già sperimentati in passato.

Infine, nella prima parte della definizione, la capacità di integrare e di dare forma agli interessi locali, alle organizzazioni, ai gruppi sociali, si evidenzia il ruolo delle élites urbane e la nuova modalità di azione dell’amministrazione locale. In Europa lo sviluppo economico è stato tradizionalmente incentivato e guidato dall’alto e l’autonomia delle élites politiche locali era piuttosto scarsa. La carica locale si configurava in effetti per lo più come la tappa di una carriera politica finalizzata al raggiungimento di un ruolo di prestigio in ambito nazionale. Gli ambiti locali europei però hanno visto crescere progressivamente la propria rilevanza come

livello strategico dello sviluppo. Parallelamente anche il ruolo delle élites locali, sia politiche che economiche, è cambiato in modo considerevole. Per quanto riguarda le élites politiche, e in particolare per il caso italiano, risulta evidente come processi strutturali, uniti ai cambiamenti nella legge elettorale (l’elezione diretta del Sindaco) e alla crisi dell’appartenenza politica e partitica abbiano contribuito ad autonomizzare e sganciare, seppur parzialmente, la carriera politica locale da quella nazionale. Rispetto alle élites economiche si evidenzia come alcuni gruppi mostrino un crescente coinvolgimento nell’ambito locale. A mobilitarsi è il “tradizionale” blocco immobiliare ed edilizio, ma non solo: anche alcuni settori innovativi, che dipendono in maggior misura dalle risorse (umane e infrastrutturali) del territorio, mostrano un crescente coinvolgimento a livello locale.

L’analisi del concetto di governance mette in evidenza come, per quel che concerne l’azione delle pubbliche amministrazioni e dei governi locali, la gestione della crescente complessità sociale ha indotto profonde trasformazioni nelle varie fasi dell’azione pubblica (Borlini, 2004). In particolare:

A. nella fase della produzione e implementazione delle politiche, con la crisi della pianificazione tradizionale e il tentativo di passaggio da un approccio verticistico e settoriale ad una modalità “di rete”, caratterizzata dalle collaborazioni inter-istituzionali e intersettoriali fra i vari uffici;

B. nella fase della gestione dei servizi, con riferimento alla tendenza alla sostituzione di forme tradizionali di gestione diretta con svariate modalità di affidamento a terzi, nel quadro di una amministrazione più snella;

C. nella fase del rapporto con i cittadini che, considerati tradizionalmente destinatari dei servizi pubblici e delle politiche, vengono ora “attivati” sia in chiave di crescente responsabilizzazione sia con riferimento al coinvolgimento in esperienze di progettazione partecipata.

In questo quadro, le amministrazioni locali si configurano sempre più come un attore fra gli altri, il cui ruolo risiede principalmente nella capacità di attivazione, mediazione ed indirizzo dei diversi attori coinvolti nell’azione di governo, e di garante del rispetto delle procedure e dei principi democratici.

È evidente come l’istituzione delle città metropolitane si incrocia da un lato con l’individuazione delle funzioni fondamentali degli enti locali e dall’altro con la disciplina del governo di area vasta.

Infatti, le funzioni fondamentali devono tener conto della “differente” identità delle istituzioni locali e allo stesso tempo garantire una semplificazione del governo locale; è pertanto doveroso operare una razionalizzazione del sistema, evitando per quanto possibile, sovrapposizioni e duplicazioni di ruoli e compiti. Con l’istituzione delle città metropolitana in Italia viene scelto un governo del territorio di secondo livello senza elezione diretta, la Legge 56/2014, che istituisce le stesse, da disposizioni sulla “governance metropolitana” che dovrà essere il mezzo attraverso il quale sarà possibile dare vita ad una pianificazione integrata e partecipata coinvolgendo attori pubblici e privati e tenendo conto dei “desideri/bisogni” degli enti locali, definita per tale ragione “governance multilivello”. L’obiettivo è quello di far sì che livelli di governo diversi lavorino in sinergia per avere processi decisionali condivisi. Per facilitare questo processo la Legge 56/2014 da la possibilità alle CM di organizzare il proprio territorio in Zone omogenee.

Il processo di governance è stato messo in atto dalla maggioranza delle città metropolitane attraverso l’organizzazione di focus tematici, incontri con i cittadini, questionari online, tavoli di lavoro con i rappresentanti delle zone omogenee, seguendo le linee guida dettate dalla Legge.

Le disposizioni della Legge in materia, per quanto chiare, non tengono sempre conto delle diversità che vi sono tra le diverse città metropolitane, così da rendere necessario in alcuni casi lo studio di nuove forme di governance che tengano conto delle diversità strutturali ed economiche che vi sono in uno stesso territorio di dimensione vasta, che avranno bisogno quindi di politiche territoriali differenziate se pur sinergiche.

CAPITOLO 4

LE ESPERIENZE DI PIANIFICAZIONE STRATEGICA IN EUROPA