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L’affermazione del principio nella giurisprudenza della Corte di Giustizia.

2. L’orientamento tradizionale della giurisprudenza costituzionale.

2.1. L’affermazione del principio nella giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Tale stato di cose è rimasto sostanzialmente invariato sino alle sentenze nn. 393 e 394 del 2006 della Corte Costituzionale, maturate anche (e soprattutto) in conseguenza delle pronunce sul tema della Corte di Giustizia, fatte assurgere dalla Consulta quali criteri-guida dell'interpretazione del principio della retroattività favorevole

orientamenti espressi nel tempo dalla dottrina penalista e delle applicazioni più significative del principio di uguaglianza nella giurisprudenza costituzionale si rinviene in G. DODARO, Uguaglianza e diritto penale. Uno studio sulla giurisprudenza costituzionale, Milano, 2012, passim.

120 Cfr. Corte cost., 20 maggio 1980, n. 74. Nello stesso senso l’ordinanza della Corte cost., 10 luglio 1995, n. 330.

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nell'ordinamento interno. Occorre pertanto procedere preliminarmente ad una breve disamina delle pronunce più significative della giurisprudenza sovranazionale intervenute in argomento.

Il riferimento principale va alla nota decisione del 3 maggio 2005, emessa sul rinvio pregiudiziale operato dai giudici italiani in merito ai profili di “legittimità comunitaria” – specie sotto il profilo della adeguatezza delle sanzioni – della normativa riformata in materia di falso in bilancio121.

In tale occasione, la Corte di Giustizia negò l’efficacia immediata della disciplina sovranazionale e, di conseguenza, confermò l’applicabilità delle norme nazionali di nuovo conio, in ragione degli effetti in malam partem che viceversa sarebbero conseguiti per i soggetti resisi responsabili di tali delitti nel vigore delle norme nazionali impugnate.

121 V. CGCE, 3 maggio 2005, cause riunite 387/02, 391/02, 403/02, Berlusconi, in Cass. pen., 2005, pp. 2764 ss., con nota di G. INSOLERA - V. MANES, La sentenza

della Corte di giustizia sul falso in bilancio: un epilogo deludente?, ivi, pp. 2768 ss. Sulla pronuncia e i suoi numerosi risvolti, si vedano i contributi raccolti in AA.Vv., Ai confini del favor rei. Il falso in bilancio davanti alle Corti costituzionale

e di Giustizia, R. Bin-G. Brunelli-A. Pugiotto-P. Veronesi (a cura di), Torino, 2005. Come è noto, il d.lgs. n. 61 del 2002 era intervenuto in materia introducendo un regime giuridico più favorevole per i soggetti resisi responsabili del reato di false comunicazioni sociali, sdoppiando l’originaria ipotesi criminosa disciplinata dal previgente art. 2621 c.c. in due distinti reati: l’uno, di mera condotta, a carattere convenzionale, l’altro di danno e procedibile a querela. Per un’analisi più dettagliata della vicenda si rinvia a G. PANEBIANCO, La giurisprudenza della Corte di

Lussemburgo, in G. de Vero-G. Panebianco, Delitti e pene nella giurisprudenza delle Corti europee, Torino, 2007, pp. 79 ss.

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A sostegno delle proprie argomentazioni, i giudici lussemburghesi ebbero premura di rilevare che il principio di retroattività della lex mitior facesse parte delle “tradizioni costituzionali comuni” degli Stati membri e, dunque, dovesse essere considerato «come parte integrante dei principi generali del diritto comunitario che il giudice nazionale deve osservare quando applica il diritto nazionale adottato per attuare l'ordinamento comunitario»122.

La Corte di Giustizia, in detta sentenza, ha dunque delineato il volto “comunitario” del vincolo, riconoscendone l’esistenza nell'ordinamento dell'Unione. Tali conclusioni hanno portato senza dubbio ad un rafforzamento della portata garantistica del principio in questione che, sin da subito, si è mostrata più solida rispetto alle configurazioni ermeneutiche precedenti. Se la “comunitarizzazione” del principio di retroattività in mitius può salutarsi con indubbio

122 Cfr. CGCE, 3 maggio 2005, Berlusconi, cit., punto 69.La riconduzione del canone della lex mitior all’interno delle tradizioni costituzionali comuni è stata successivamente confermata dalla sentenza El Dridi del 2011 (v. CGUE, 28 aprile 2011, C-61/11, El Dridi, in part. § 61) che ha dichiarato l’incompatibilità della nostra disciplina penale in materia d’immigrazione con la c.d. direttiva “rimpatri”.

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favore123, maggiore perplessità ha tuttavia suscitato l’iter logico-

argomentativo seguito dai giudici lussemburghesi124.

Per ciò che rileva ai nostri fini, meritano di essere approfonditi gli argomenti critici sollevati dalla dottrina in relazione alla ritenuta appartenenza del canone della retroattività favorevole alle “tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri”125. La dottrina, difatti, non ha

tardato a mettere in rilievo l’inesattezza di tale conclusione, posto che detto principio non solo non trova esplicita menzione nella CEDU

123 Fino ad allora, pur non disconoscendo il principio di retroattività della norma penale favorevole, la Corte di Giustizia non gli aveva riconosciuto la natura di principio comunitario, limitandosi ad ammettere l’efficacia retroattiva di norme comunitarie ad effetto diretto e più miti, incidenti sull’applicazione di norme penali interne, quando tale principio fosse accolto dall’ordinamento del giudice nazionale: v. G.PANEBIANCO, La giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, cit., p. 89, anche

per gli esaustivi riferimenti giurisprudenziali.

124 Si è difatti acutamente osservato che la rilevata incompatibilità della normativa interna con le disposizioni sovrannazionali avrebbe potuto determinare la disapplicazione della prima solo laddove le norme comunitarie avessero avuto i requisiti che la stessa Corte di Giustizia ritiene essenziali alla produzione di effetti diretti degli atti normativi comunitari, vale a dire carattere incondizionato e sufficientemente preciso. Sarebbe dunque stato sufficiente negare la diretta applicabilità delle norme sovrannazionali per carenza dei suddetti requisiti, lasciando al giudice nazionale il compito di intraprendere l’unico percorso consentito dal nostro ordinamento per rimuovere il vizio di illegittimità comunitaria, cioè il ricorso in via incidentale alla Corte costituzionale: così, G. PANEBIANCO, La giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, cit., p. 81.

125 Tra i diversi commenti critici sul punto, si rinvia a R. MASTROIANNI, Vecchi principi e nuove interpretazioni nella sentenza della Corte di Giustizia sul “falso in bilancio”, in AA.VV., Ai confini del favor rei, cit., pp. 256 ss.; R. TARTAGLIA, La sentenza sul falso in bilancio: i “controlimiti” della Corte di Giustizia, ivi, pp. 351 ss. Va tuttavia segnalato che il riconoscimento dell'appartenenza del vincolo alle tradizioni costituzionali europee e, perciò, della sua rilevanza quale principio generale del diritto comunitario, è rimasto confinato, nel contesto della decisione, sul piano degli obiter. La soluzione del quesito, difatti, riguardava l'ipotizzato contrasto del riformato delitto di falso in bilancio con le direttive comunitarie in materia di diritto societario e non ha richiesto perciò l'applicazione di quel canone.

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(salvo quanto verrà affermato successivamente dai giudici di Strasburgo con riguardo all’art. 7 della Convenzione)126, ma non è

nemmeno rintracciabile nelle Costituzioni dei Paesi storicamente appartenenti alla Comunità europea, Italia inclusa127.

Ad ogni modo, pur essendo riconosciuta alla retroattività in

mitius la natura di principio comunitario vincolante, non gli è stato

comunque attribuito il carattere della inderogabilità. Nella decisione, infatti, tale principio viene ritenuto assoggettabile a “contemperamento” con altri valori e/o interessi di estrazione comunitaria. In altri termini, la Corte di Giustizia da una parte riconosce la rilevanza comunitaria del principio della retroattività della lex mitior, ma, dall’altra, ne afferma la derogabilità tramite bilanciamenti con altri principi del diritto comunitario128.

126 Il riferimento è alla già citata sentenza Scoppola c. Italia, sulla quale si ritornerà più dettagliatamente nel paragrafo successivo.

127C.S

OTIS, Il diritto senza codice. Uno studio sul sistema penale europeo vigente,

Milano, 2007, p. 127, parla significativamente di “apoditticità” e “leggerezza” con cui la Corte di Giustizia ha promosso la retroattività in mitius al rango di principio di diritto. Sul punto cfr., altresì, V.MAIELLO, Il rango della retroattività della lex

mitior nella recente giurisprudenza comunitaria e costituzionale italiana, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, pp. 1614 ss. Per una panoramica sulle Carte costituzionali europee ove non viene fatta alcuna esplicita menzione al principio in esame si rinvia ancora a G.PANEBIANCO, La giurisprudenza della Corte di Lussemburgo, cit., p. 91, in nota.

128 Sul tema, v. G. I

NSOLERA, Una sentenza a più facce, in AA.VV., Ai confini del

favor rei, cit., pp. 223 ss. Tra i costituzionalisti vi è invece chi ha ritenuto che la Corte di Giustizia sembrerebbe comunque riconoscere al principio di retroattività della legge più favorevole valore inderogabile: cfr. V. ONIDA, Retroattività e

controllo di costituzionalità della legge penale sopravvenuta più favorevole, ivi, pp. 285 ss.

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Se dunque non può negarsi un rilievo peculiare a tale pronuncia, specie in ragione della funzione propulsiva che la medesima ha assunto nel promuovere un approfondimento sui contenuti e sulla vincolatività del principio di retroattività della legge più favorevole, i suoi contenuti non possono tuttavia ritenersi pienamente appaganti.

2.2. Le sentenze costituzionali nn. 393 e 394 del 2006 ed il