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L’intervento della Corte costituzionale sui “fratelli minori di Scoppola” e i riflessi sul giudicato.

2. L’orientamento tradizionale della giurisprudenza costituzionale.

2.4. L’intervento della Corte costituzionale sui “fratelli minori di Scoppola” e i riflessi sul giudicato.

L’incidenza delle fonti sovranazionali sul nostro sistema punitivo non si esaurisce nella diversa delimitazione della materia penale e nell’estensione dei principi propri di tale settore a fattispecie che formalmente non vi rientrano. L’influsso della Corte EDU si è difatti manifestato anche sotto un diverso profilo, ovvero quello relativo agli interventi sui giudicati penali nazionali ritenuti in concreto lesivi dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione.

Nel nostro ordinamento, il problema si è posto all’indomani della sentenza Scoppola, allorquando ci si è chiesti quali conseguenze tale sentenza potesse avere sui soggetti condannati che si trovavano in una situazione giuridica analoga a quella oggetto della pronuncia della Grande camera. Il problema, in particolare, si è posto con riguardo a

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quei soggetti che non avevano presentato ricorso individuale contro la sentenza definitiva (nel termine di sei mesi previsto ex art. 34 CEDU) e, pertanto, risultava dubbia la possibilità che questi potessero beneficiare degli effetti della sentenza citata.

Ciò che occorreva stabilire era se la decisione della Corte di Strasburgo potesse direttamente spiegare i suoi effetti di travolgimento (o modificazione) del giudicato di condanna anche rispetto ad analoghe vicende giudiziarie, o se, viceversa, fosse necessario che la singola persona coinvolta avesse esperito vittoriosamente un ricorso contro lo Stato italiano.

Lo studio delle suddette vicende si rivela particolarmente interessante perché ci offre una panoramica sui rapporti tra il principio di retroattività della norma penale più favorevole, l’obbligo di conformarsi alle sentenze della Corte europea158 e la revoca (o

comunque la modifica) dei giudicati di condanna interni. Sullo sfondo si staglia dunque l’eterno conflitto tra certezza del diritto e giustizia sostanziale, che nel caso di specie si declina nell’assai arduo

158 Si impone sul punto una precisazione terminologica: nel contesto della presente trattazione, l’espressione “Corte europea” senza ulteriori specificazioni deve intendersi riferita alla Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo, e non, dunque, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, con sede a Lussemburgo.

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bilanciamento tra il rispetto della categorie tradizionali ed il rafforzamento della tutela della libertà individuale159.

Già prima della pronuncia della Corte EDU sul caso Scoppola, risultava particolarmente controversa l’individuazione dello strumento giuridico da utilizzare per rimuovere il giudicato illegittimo. A fronte dell’inerzia del legislatore, sono state diverse le soluzioni ermeneutiche escogitate dalla giurisprudenza di legittimità160, fino arrivare ad una

pronuncia additiva della Corte costituzionale, intervenuta sull’art. 630 c.p.p., che ha introdotto un nuovo caso di revisione nelle ipotesi di contrasto tra il giudicato nazionale e le sentenze della Corte di Strasburgo che hanno accertato una violazione di un diritto fondamentale161.

159 Sul punto si rinvia a M. GAMBARDELLA, Overruling favorevole della Corte europea e revoca del giudicato di condanna: a proposito dei casi analoghi alla sentenza “Scoppola”, in Cass. pen., 2012, pp. 3981 ss.; C. MUSIO, Di nuovo alla

Corte costituzionale il compito di trovare il confine tra tutela dei diritti fondamentali e limite del giudicato nazionale, in Cass. pen., 2012, pp. 4003 ss.; F. VIGANÒ, Figli di un Dio minore? Sulla sorte dei condannati all'ergastolo in casi

analoghi a quello della Corte edu in Scoppola c. Italia, in Dir. pen. cont., 10 aprile 2012.

160 Tra i casi più noti vanno menzionati la sentenza delle Sez. un., 1° dicembre 2006, n. 2800, in Cass. pen., 2007, pp. 1441 ss. nel “caso Dorigo”, in cui la Corte ha ritenuto di dover dichiarare ineseguibile la pena applicata al termine di un processo svoltosi in violazione della Convenzione, in virtù dell'art. 5, § 4 CEDU, che avrebbe effetti diretti e impedirebbe la illegittima restrizione della libertà personale. Si segnala, altresì, Cass., 12 novembre 2008, n. 45807, in Cass. pen., 2009, pp. 1457 ss. nel “caso Drassich” che ha applicato in via analogica lo strumento per la correzione dell'errore materiale o di fatto previsto dall'art. 625-bis c.p.p.

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Sul fronte della giurisprudenza di legittimità, significative le conclusioni cui sono giunte le Sezioni unite nel “caso Ercolano”, ove i giudici di legittimità, pur premettendo che in questi casi l’esecuzione della pena dell’ergastolo produce in via permanente la lesione del diritto fondamentale del condannato all’applicazione retroattiva della legge penale più favorevole ex art. 7 CEDU, hanno osservato tuttavia che non può essere la sentenza della Corte di Strasburgo relativa ad un’altra vicenda a permettere al giudice dell’esecuzione il superamento del giudicato di condanna attraverso la rimodulazione della pena inflitta agli autori dei reati162. Le Sezioni unite, pertanto, sollevano questione

di legittimità costituzionale della norma penale divenuta illegittima a seguito della pronuncia della Corte EDU (si trattava dell’art. 7 del d.l. n. 341 del 2000, ritenuto confliggente – attraverso il parametro dell’art. 117 Cost. – con il principio di legalità convenzionale di cui all’art. 7 CEDU)163.

Si è arrivati così nuovamente alla Consulta, che con la sentenza n. 210 del 2013164 ha affermato che, nonostante la sentenza Scoppola

162 V. Cass., Sez. un., 19 aprile 2012, n. 34472, cit., p. 3969.

163 Mostrano perplessità sull’investitura della Corte costituzionale promossa dalle Sezioni unite Ercolano A. GAITO – C. SANTORIELLO, Giudizio abbreviato ed ergastolo: un rapporto ancora difficile, in Dir. pen. proc., 2012, pp. 1208 ss. 164 V. Corte cost., 18 luglio 2013, n. 210, cit. Per un commento sulla decisione si rinvia a M. GAMBARDELLA, L’intervento della Corte costituzionale sui “casi

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non possa ritenersi una sentenza “pilota”, essa ha nondimeno messo in evidenza una violazione di carattere “strutturale” della Convenzione da parte della nostra legge, pertanto, lo Stato italiano è obbligato sia a porre rimedio alla situazione di illegittimità convenzionale, sia a rimuovere le conseguenze nei riguardi di tutti i condannati che versano nelle medesime condizioni di Scoppola. La Corte quindi conclude ritenendo fondata nel merito la questione e dichiarando così l’illegittimità costituzionale dell’art. 7 del d.l. n. 341 del 2000.

Alla luce di questo intervento, la Cassazione a sezioni unite – sempre nell’ambito del caso Ercolano165 – si è adeguata al dictum della

Consulta affermando che il giudice dell’esecuzione, in ragione dei principi stabiliti nel precedente Scoppola c. Italia, può sostituire la pena inflitta, modificando il giudicato con l’applicazione della legge più favorevole. Orbene, sulla base dell’iter ermeneutico seguito, tutte quelle richieste di rideterminazione di pena, fondate sui medesimi presupposti, che in precedenza erano state rigettate per la mancanza di un previo ricorso a Strasburgo, devono pertanto essere accolte. Nell’occasione, le Sezioni unite hanno individuato nell’art. 30, co. 4, l.

del rango di diritto fondamentale del principio di retroattività della lex mitior, in Legisl. pen., 2013, pp. 1097 ss.

165V. Cass., Sez. un., 24 ottobre 2013, n. 18821, in Ced., rv. 258694, con nota di M. BIGNAMI, Il giudicato e le libertà fondamentali: le Sezioni unite concludono la

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87 del 1953 lo strumento per adeguare la pena al dictum di Strasburgo166.

Senza entrare nella complessa questione relativa all’efficacia della soluzione individuata dalla Corte167, ci si limita in questa sede a

rilevare come la giurisprudenza abbia ormai riconosciuto netta prevalenza alla tutela del principio di legalità della pena rispetto al principio della stabilità giudicato, ritenendo quest’ultimo non certo un limite invalicabile ed ostativo alla riconduzione del trattamento sanzionatorio entro i limiti di legge. Va messo pertanto in rilievo come la necessità di conformare la sanzione al principio di legalità non è più limitata alla sola fase dell'irrogazione della pena, ma si è estesa alla fase esecutiva, esaurendosi soltanto con la consumazione o l’estinzione della pena medesima.

166 La Corte costituzionale, con la recente sentenza 23 marzo 2016, n. 57 ha ribadito i limiti di operatività della sentenza Scoppola affermando che i principi in essa stabiliti non si applichino alle ipotesi in cui l’imputato abbia chiesto il giudizio abbreviato non quanto era vigente l’art. 442, comma 2, c.p.p., nel testo introdotto dall’art. 30, comma 1, lett b), della legge n. 479 del 1999, ma quando era già entrata in vigore la norma meno favorevole introdotta dall’art. 7, comma 2, del d.l. n. 341 del 2000.

167 In argomento si rinvia, da ultimo, a P. DE GERONIMO, La problematica individuazione dei poteri di intervento del giudice dell'esecuzione sulla pena illegale nella recente giurisprudenza delle Sezioni unite, in Cass. pen., 2016, pp. 2514 ss. Con peculiare riguardo alle ipotesi in cui Strasburgo rinvenga una violazione attinente al diritto sostanziale, v. G. GRASSO – F. GIUFFRIDA, L’incidenza sul giudicato interno delle sentenze della Corte europea che accertano violazioni attinenti al diritto penale sostanziale, in Dir. pen. cont., 25 Maggio 2011, pp. 1 ss.

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In proposito pare tuttavia doversi affermare che le deroghe alla tradizionale irretrattabilità del giudicato, se indirizzate ad una maggior tutela dei diritti del singolo, non vanno ritenute un elemento di debolezza del sistema. Con ciò non vuole decretarsi la perdita di centralità del suddetto principio che, si ricorda, assume anche in sede convenzionale un valore primario, quanto piuttosto un rovesciamento della gerarchia delle funzioni ad esso ascrivibili: se prima era rivolto prevalentemente (se non “esclusivamente”) alla certezza dei rapporti giuridici, oggi esso deve avere come scopo prioritario la tutela del reo.

Tale ribaltamento teleologico non solo riesce a coniugarsi al meglio con le istanze sovranazionali, ma risulta pienamente funzionale anche al finalismo rieducativo di cui all'art. 27, co. 3, Cost., viceversa minacciato dall’esecuzione di un pena illegittimamente inflitta e che potrebbe essere vissuta come ingiusta dal condannato.

Si concorda allora con quella parte della dottrina che auspica l’eliminazione del limite del giudicato previsto dall'art. 2, co. 4, c.p. comunemente giustificato sulla base della ritenuta “impraticabilità” di qualunque soluzione diversa che, nei fatti, imporrebbe la riapertura di innumerevoli processi con un notevole ed intollerabile intasamento

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della macchina giudiziaria168. Tale giustificazioni furono anche addotte

dalla Corte costituzionale quando nel 1980 rigettò una questione di legittimità relativa all’attuale art. 2, co. 4, c.p., sul presupposto che l’esigenza di certezza del diritto, alla cui salvaguardia è preposto il giudicato, costituisse una ragionevole deroga al principio della retroattività in mitius169.

I tempi paiono tuttavia maturi per rimettere in discussione tale orientamento, il quale appare sempre meno in sintonia con l’evoluzione generale del diritto penale europeo. In un sistema votato alla massima estensione delle garanzie, non pare certo plausibile che il pregiudizio di un principio fondamentale (qual è la retroattività favorevole) possa giustificarsi in nome di un’esigenza meramente pratica (peraltro non insormontabile170). Si consideri poi che la nuova dimensione del

168 La proposta è stata avanzata, da ultimo, da R. BIN, La fermezza del giudicato tra dogma, pragma e principi costituzionali, in Cass. pen., 2015, pp. 2944 ss. Si veda altresì S. DEL CORSO, voce Successione di leggi penali, cit., pp. 92 ss.; R.

ZANNOTTI, Nuovi orientamenti in tema di modificazione di norme penali e sentenze passate in giudicato: tendenze evolutive della Corte di cassazione, in Foro it., 1989, II, pp. 669 ss. Contra L. PICOTTI, La legge penale, in F. Bricola-V. Zagrebelsky (a

cura di), Giurisprudenza sistematica di diritto penale, Codice penale, Parte generale, vol. I, Torino, 1996, p. 106.

169Corte cost., 20 maggio 1980, n. 74, cit.

170In proposito, v. M. GALLO, Le dottrine generali del reato, in AV.VV., Prospettive di riforma del codice penale e valori costituzionali, Milano, 1996, p. 20, secondo cui gli inconvenienti (il sovraccarico del sistema processuale) sarebbero tutt'altro che insormontabili, se si introducesse un meccanismo automatico di correzione in sede di esecuzione. Altresì interessante è la proposta di B. ROMANO, Il rapporto tra norme penali. Intertemporalità, spazialità, coesistenza, Milano, 1996, p. 93, che suggerisce di affidare il compito di adeguare la pena al giudice dell'esecuzione, ritenendo che questo sarebbe già un sistema idoneo ad evitare problematici

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giudicato ha inglobato tra i propri fini quello di garantire il reo e la funzione rieducativa della pena durante la fase esecutiva171 e, dunque, la certezza del giudicato non può di certo opporsi all’applicazione di nuove discipline evidentemente ritenute più congrue al perseguimento di tale funzione.

3. Verso il riconoscimento del finalismo rieducativo quale