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La disciplina intertemporale nella CEDU e nella Carta di Nizza.

3. Il diritto intertemporale nella disciplina internazionale.

3.1. La disciplina intertemporale nella CEDU e nella Carta di Nizza.

Rispetto a quanto osservato con riguardo al valore da attribuire al

Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, analoghe

considerazioni valgono anche con riferimento alla Convenzione

gemelle 348 e 349 del 2007, ove la Corte ha avuto modo di chiarire, sia pur con riferimento alle norme CEDU - ma con affermazioni che possono essere estese a tutto il diritto internazionale pattizio – che il parametro costituzionale deve rinvenirsi nell’art. 117 Cost. Cfr. le sentenze nn. 348 e 349 del 2007, in Giur. cost., 2007, pp. 3475 ss., per la cui analisi si rinvia, ex multis, a M.CARTABIA, Le sentenze

gemelle: diritti fondamentali, fonti, giudici, ivi, pp. 3564 ss. Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale di una norma interna per contrarietà all’art. 15 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, v. M.RONCO, Il principio di

legalità, in M. Ronco (diretto da), La legge penale. Fonti, tempo, spazio, persone, 2ªed., Bologna, 2010, p. 35.

78 «Nessuno è penalmente responsabile in forza del presente Stato per un comportamento precedente all'entrata in vigore dello Statuto. Se il diritto applicabile ad un caso è modificato prima della sentenza definitiva, alla persona che e oggetto d'inchiesta, di un procedimento giudiziario o di una condanna sarà applicato il diritto più favorevole». Si ricorda che lo Statuto della Corte penale internazionale permanente è stato adottato a Roma, il 17 luglio 1998, da un’apposita Conferenza delle Nazioni Unite. La ratifica da parte dell’Italia è avvenuta con legge n. 232 del 12 luglio 1999. Per un approfondimento si rinvia a M. CATENACCI,

“Legalità” e “tipicità del reato” nello Statuto della Corte penale internazionale, Milano, 2003, pp. 183 ss.

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europea dei diritti dell’Uomo, la quale si sta ormai imponendo come “terzo livello di legalità” per i 47 Paesi del Consiglio d’Europa e quale “denominatore costituzionale comune” il cui “nucleo” duro è sottratto alla disponibilità dei singoli Stati79.

Prima di analizzare quali sono le disposizioni convenzionali che disciplinano l’efficacia nel tempo della legge penale, pare tuttavia necessario verificare brevemente la posizione della CEDU nel sistema delle fonti e, quindi, la portata e gli effetti delle decisioni della Corte di Strasburgo nell’ordinamento giuridico italiano.

Si ricorda in proposito come la Corte costituzionale, dopo diversi approdi, ha qualificato la CEDU come “fonte interposta” di rango sub- costituzionale: un quid pluris rispetto alla fonte ordinaria, un quid minus rispetto alla Costituzione. Le norme CEDU, che vivono dell’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, dispiegano dunque effetti nell’ordinamento giuridico italiano in conformità alla

79 Così V.M

ANES, La lunga marcia della Convenzione europea ed i “nuovi” vincoli

per l’ordinamento (e per il giudice) penale interno, in V. Manes-V. Zagrebelsky (a cura di), La Convenzione europea dei diritti dell'uomo nell'ordinamento penale italiano, Milano, 2011, p. 3. Interessante il raffronto tra la suddetta opinione e quella espressa da Marco Siniscalco nel 1987, il quale riteneva che l’indagine sulla CEDU potesse risolversi in qualche breve cenno: «Nessuna sostanziale aggiunta viene apportata, sul piano della dimensione garantista, alla disciplina dell’ordinamento italiano vigente, anzitutto di livello costituzionale. Né l’eventuale, “minore” portata del principio, e, in un quadro più ampio, del principio di legalità può determinare modificazioni nella disciplina vigente […] Su queste premesse, e per la nostra indagine, alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo sembra consentito anche solo un breve cenno»: così M. SINISCALCO, Irretroattività, cit., p. 59.

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Costituzione. In particolare, come si cennava con riguardo al diritto internazionale pattizio, la Consulta ha ritenuto che il primo comma dell'art. 117 Cost. impone al giudice nazionale di “interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme”80, salva, dunque, in

caso contrario, la possibilità di sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione della norma interposta di natura convenzionale. Questa impostazione, pur con qualche fuga in avanti della giurisprudenza amministrativa, poi subito smentita81, è rimasta immutata anche dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. L’art. 6 TUE, infatti, stabilisce che «l’Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali», ma questa risulta essere una dichiarazione di intenti che diverrà effettiva solo con l'adesione formale, ad oggi non avvenuta82.

80 Così, oltre che le già richiamate sentenze “gemelle” del 2007, anche Corte cost., 26 novembre 2009, n. 311 e Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317, che ritornano sui rapporti tra ordinamento italiano e CEDU.

81 V. Cons. St., sez. IV, 2 marzo 2010, n. 1220, in www.giustamm.it, e TAR Lazio, sez. II-bis, 18 maggio 2010, n. 11984, in www.federalismi.it. La Consulta ha invece ribadito la posizione precedente in Corte cost., 11 marzo 2011, n. 80.

82 Ciò è confermato dalla CGUE: «il rinvio ex art. 6 TUE alla CEDU [...] non impone al giudice nazionale, in caso di conflitto tra una norma di diritto nazionale e detta Convenzione, di applicare direttamente le disposizioni di quest'ultima, disapplicando la norma di diritto nazionale in contrasto con essa»: CGUE, 24 aprile 2012, C-571/10, Kamberaj. V. anche CGUE, Grande sezione, 26 febbraio 2013, C- 617/10, Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson, (tale pronuncia, come le altre della Corte di Lussemburgo che verranno successivamente citate, è reperibile sul sito www.curia.europa.eu) ove si ribadisce che la CEDU, fino a quando l'Unione non

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Con specifico riguardo alla portata delle decisioni della Corte di Strasburgo, va altresì ricordato che l’art. 46 CEDU obbliga gli Stati a “conformarsi” alle sentenze definitive della Corte di Strasburgo. Ciò significa che la decisione della Corte di Strasburgo dispiega certamente effetti sul caso concreto, ma ha anche efficacia ultra partes, obbligando tutti gli Stati contraenti a non incorrere in violazioni dei principi da essa stabiliti (cc.dd. pilot-judgments)83.

Ciò posto, tra le norme della CEDU, merita qui di essere analizzata quella contenuta all’art. 784, che sancisce espressamente il

principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole e che,

vi abbia aderito, non costituisce un atto giuridico formalmente integrato nell'ordinamento dell'Unione. V. M. CARTABIA, I diritti fondamentali in Europa

dopo Lisbona, verso nuovi equilibri?, in Giorn. dir. amm., 2010, p. 221 ss.

83 Uno degli esempi più noti è sicuramente costituito dalla sentenza Corte EDU, Grande Camera, 17 settembre 2009, Scoppola c. Italia, ric. n. 10249/03 (le sentenze della Corte EDU sono tutte consultabili nella banca dati www.echr.coe.int). Così è stata difatti considerata dalla Corte di cassazione, al punto da affermare che «eventuali effetti ancora perduranti della violazione, determinata da una illegittima applicazione di una norma interna di diritto penale sostanziale interpretata in senso non convenzionalmente orientato, devono, dunque, essere rimossi anche nei confronti di coloro che, pur non avendo proposto ricorso a Strasburgo, si trovano in una situazione identica a quella oggetto della decisione adottata dal giudice europeo per il caso Scoppola»: v. Cass., Sez. un., 19 aprile 2012, n. 34472, in Cass. pen., 2012, pp. 3981 ss. Di diverso avviso è invece la Corte costituzionale: v. Corte cost., 18 luglio 2013, n. 210, § 7.2 del ”considerato in diritto”, ove precisa che il riferimento al pilot judgement in questo caso «non è puntuale, dato che sono le stesse parole della sentenza Scoppola a segnare un distacco da tale modello». Sulla “sentenza Scoppola” e sulle vicende che ne sono seguite si tornerà, più diffusamente, infra, Cap. I, Sez. II, § 2.3 e § 2.4.

84 Art. 7 CEDU: «Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso».

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secondo la giurisprudenza di Strasburgo, garantisce a ciascuno la possibilità non solo di prefigurarsi quali siano gli atti o le omissioni che potrebbero comportargli una responsabilità penale, ma anche quali sanzioni potrebbero essere irrogate a suo carico85. Essa perciò implica

che il cittadino sia messo nelle condizioni di attendersi ponderatamente, nel momento in cui pone in essere un illecito penale, le conseguenze afflittive che ne deriveranno (principio di affidamento)86.

Nonostante la solenne consacrazione del divieto di retroattività tra i diritti dell’uomo, basta tuttavia scorrere dal primo al secondo comma dell’art. 7 CEDU per accorgersi di come il precetto europeo abbia acquisito una validità sostanziale inferiore a quella già prevista a livello interno. Mentre difatti nel nostro ordinamento tale principio ha pacificamente carattere assoluto87, nel secondo comma dell’art. 7 CEDU viene viceversa positivizzata una sua eccezione. Il secondo comma dell’art. 7 CEDU prevede difatti la c.d. “clausola di Norimberga”, affermando che il principio di irretroattività non

85 Cfr., tra le altre, Corte EDU, 21 ottobre 2013, Del Rio Prada c. Spagna, ric. n. 42750/09, in Cass. pen., 2014, p. 683, con nota di E. PROFITI, La sentenza “Del Rio

Prada” e il principio di legalità convenzionale: la rilevanza dell'overruling giurisprudenziale sfavorevole in materia di benefici penitenziari, ivi, pp. 684 ss. 86 In dottrina v., tra gli altri, A.B

ERNARDI, Art. 7 CEDU – “Nessuna pena senza

legge”, in S. Bartole-B. Conforti-G. Raimondi (a cura di), Commentario alla Convenzione europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Padova, 2001, pp. 249 ss.

87 Sul punto si rinvia, per tutti, a G. V

ASSALLI, voce Nullum crimen, nulla poena

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impedisce la punizione e la persecuzione di fatti che, al momento in cui sono stati commessi, erano da considerarsi criminali secondo i «principi generali di diritto riconosciuti nelle nazioni civili». Molti autori notano come la clausola di Norimberga, sebbene sia da ricondurre principalmente alla possibilità di convalidare la punizione retroattiva dei crimini di guerra commessi durante il secondo conflitto mondiale, rappresenti in realtà tutt’altro che una semplice eccezione legata ad una contingenza storica. Si nota in proposito come il lessico utilizzato dal legislatore si presta ad abbracciare anche fatti diversi e meno gravi rispetto a quelli giudicati in quel processo e rischi così di indebolire la garanzia del comma 188. A prescindere dall’ampiezza con cui viene

interpretata la clausola, resta tuttavia fermo il fatto che nel sistema convenzionale l’irretroattività punitiva è precetto condizionatamente assoluto89, ossia derogabile al ricorrere di determinate situazioni90.

88 Si rimanda, in proposito, alle interessanti riflessioni critiche di K. VOLK, Sistema penale e diritti dell’uomo, in S. Moccia (a cura di), Diritti dell’uomo e sistema penale, Napoli, 2002, pp. 93 ss.

89 L’espressione è di V. VALENTINI, Diritto penale intertemporale: logiche continentali ed ermeneutica europea, Milano, 2012, p. 114.

90 Tale conclusione può ritenersi coerente con la previsione di cui all’art. 17 CEDU che cristallizza una clausola sistemico-generale che limita l’esercizio di tutti i diritti convenzionali, in quanto condiziona la validità di ciascuno di essi all’assenza di un pregiudizio per gli altri. In particolare, è attraverso questo principio che ogni libertà convenzionale diventa bilanciabile con altre libertà di pari rango e, perciò, anche soccombente di fronte a diritti o valori considerati di rango superiore. Sulla funzione della clausola di cui all’art. 17 CEDU si rimanda a E. STIEGLITZ,

Allgemeine Lehren im Grundrechtsverständnis nach der EMRK und der Grundrechtsjudikatur des EuGH, Baden Baden, 2002, pp. 96 ss.

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Con riguardo alla retroattività favorevole, non essendovi un riferimento espresso nella Convenzione, il suo riconoscimento si deve alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, che a partire dalla ormai celebre pronuncia Scoppola c. Italia91, afferma che l’art. 7, § 1 CEDU

contiene, sia pure in modo implicito, il principio della retroattività delle norme penali favorevoli: anche a livello convenzionale si impone dunque l’applicazione al reo della legge più favorevole tra quella in vigore al momento del fatto e quelle successivamente intervenute prima della sentenza definitiva. Tale affermazione non è di poco momento considerato che l’art. 7 CEDU occupa una posizione del tutto preminente all’interno del sistema di tutela istituito dalla Convenzione. La riconduzione del principio della retroattività favorevole all’interno del sistema delle garanzie convenzionali assume pertanto una rilevanza del tutto peculiare, considerata altresì la natura di “parametri costituzionali interposti” che la giurisprudenza costituzionale ha riconosciuto alle disposizioni convenzionali. La rivalutazione del canone della lex mitior nell’orizzonte dei diritti fondamentali attribuisce quindi al principio in parola un’accresciuta forza di resistenza ed

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un’inedita valenza “personalistica” che pare valorizzarne al meglio il contenuto di garanzia e la portata assiologica92.

Va peraltro sin d’ora anticipato che la Corte di Strasburgo, da una parte, estende le garanzie previste dall’art. 7 a tutte le misure che hanno

sostanzialmente carattere penale, al di là della qualificazione assegnata

loro dal legislatore nazionale e, dall’altra, utilizza una definizione di «diritto» («law») che prescinde dal rispetto della riserva di legge e ricomprende anche il diritto di derivazione giurisprudenziale. Tali aspetti, vista la loro complessità, verranno analizzati più nel dettaglio successivamente, per il momento è sufficiente sottolineare la notevole forza espansiva delle pronunce della Corte di Strasburgo e l’“autonomia” delle definizioni da questa utilizzate rispetto a quelle presenti negli ordinamenti interni93.

92 Qualifica la retroattività della legge penale più favorevole come “diritto costituzionalmente rilevante del reo” A.CADOPPI, Il principio di irretroattività, cit.,

pp. 193 ss.

93 Si consideri, nondimeno, che tale convenzione potrà assumerà un rilievo centrale anche sul versante dell’Unione europea una volta che essa avrà questa completato la procedura di adesione alla CEDU, considerato soprattutto che anche garanzie penalistiche contenute nella Carte dei diritti fondamentali dell’Unione europea (c.d. Carta di Nizza), dovranno essere interpretate alla luce della convenzione. L’art. 52, §3, della Carta dispone difatti che «Laddove la presente Carta contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla suddetta convenzione. La presente disposizione non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa». Per una ricostruzione del ruolo attuale e futuro della CEDU nell’ordinamento dell’Unione europea, v. CGUE, Grande sezione, Aklagaren c. Hans Akeberg Fransson, cit., punto 44: «Per quanto riguarda, anzitutto, le conseguenze che il giudice nazionale deve trarre da un conflitto tra il diritto nazionale e la CEDU, occorre ricordare che,

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Tra le norme sovranazionali un riferimento ad entrambi i principi intertemporali lo ritroviamo all’art. 49 comma 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 7 dicembre 2000 (c.d. Carta di Nizza), che con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona ha assunto il medesimo valore giuridico dei Trattati94. Si tratta dunque dell’unico

testo normativo di fonte europea che, accanto alla irretroattività, esplicitamente riconosce la regola della lex mitior.

anche se, come conferma l’art. 6, § 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e anche se l’art. 52, §3, della Carta impone di dare ai diritti in essa contemplati corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU lo stesso significato e la stessa portata di quelli loro conferiti dalla suddetta convenzione, quest’ultima non costituisce, fintanto che l’Unione non vi abbia aderito, un atto giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione».

94 L’art. 49 della Carta di Nizza dice che: «Nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successivamente alla commissione del reato, la legge prevede l'applicazione di una pena più lieve, occorre applicare quest'ultima. Il presente articolo non osta al giudizio e alla condanna di una persona colpevole di un'azione o di un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali riconosciuti da tutte le nazioni».

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LA LEX MITIOR TRA CORTI EUROPEE E ORDINAMENTO INTERNO

1. La ricerca del fondamento costituzionale della