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affinità e divergenze con altre pratiche filosofiche

Accostando filosofia e bambini, non si può non fare riferimento a Matthew Lipman (1922- 2010). La Philosophy for Children13 (P4C), descritta per la prima volta da Lipman attorno al

1969, mentre era Professore alla Columbia University, è un’iniziativa educativa diffusa oggi in molti paesi del mondo. Tale curricolo, rivolto principalmente ad alunni della scuola pri- maria, si compone di 7 racconti, ciascuno accompagnato da un manuale per l’insegnante che conduce la sessione di P4C con la classe o il gruppo di bambini. Lipman, docente di logica alla Columbia, ebbe l’idea di diffondere la pratica del ragionamento filosofico ai bambini, dopo essersi reso conto delle difficoltà che i suoi studenti universitari dimostrava- no nel riuscire a condurre un pensiero e a produrre giudizi sensati. In questo senso, la pra- tica filosofica per bambini diede subito ottimi risultati. Anzitutto, i bambini, aldilà di quanto si potesse presumere, rispondevano molto bene di fronte alle sollecitazioni esercitate su di loro da argomenti apparentemente complessi e da tematiche profonde quali “il senso della vita”, “la necessità di superare la tristezza”, “il valore dell’amicizia” e così via. L’abitudine a praticare il dialogo tra loro li portò, inoltre, a saper gestire sempre meglio e in autonomia uno spazio di discussione nel quale ciò che erano sollecitati e aiutati a fare non era altro che produrre liberamente le proprie opinioni o sensazioni di fronte a una qualche domanda o tematica posta all’attenzione di tutti.

Tuttavia, parlare di Philosophy for Children non è semplice. In primo luogo, perché nel tem- po ha assunto sfumature e sfaccettature molto diverse a seconda del contesto nel quale ha attecchito. Non troveremo la stessa P4C in giro per l’Europa e nemmeno all’interno degli stessi Stati Uniti, tra Stati diversi. Per fare un esempio, nella sua declinazione hawaiana, la Philosophy for Children Hawai’i Style14 ha assunto la forma della “Gently Socratic Inqui-

ry”, un modello di dialogo semistrutturato che crea le condizioni per il formarsi di rapporti (tra bambini e insegnanti e soprattutto, tra gli stessi bambini), qualitativamente differenti rispetto a quelli tipici di un normale contesto di classe. Il motto che accompagna questa metodica e che ben descrive lo spirito che la guida nei suoi interventi educativi potrebbe essere reso facilmente nella maniera seguente: “la classe, luogo sicuro nel quale prendere contatto coi propri pensieri e le proprie idee, avanza senza fretta di andare da nessuna parte”. Un pensiero che la filosofiacoibambini stessa riconosce e fa proprio, cercando di realizzarlo attraverso gli strumenti che le sono propri. Nella declinazione hawaiana, l’attività procede senza risposte precostituite, copioni, né un approccio specifico, algoritmico. La “Gently Socratic Inquiry” utilizza degli strumenti, ma non segue un metodo; si dà delle in- dicazioni pratiche di massima per la realizzazione degli incontri, ma non si pone restrizioni particolarmente precise. Al contrario, la Philosophy for Children classica ha regole estre- mamente strette di gestione della session filosofica, che vanno rispettate e fatte rispettare

anzitutto dall’insegnante (facilitatore nella terminologia specifica della P4C).

In Italia la situazione è la medesima, con degli svantaggi in più. Nel nostro paese, il mono- polio rappresentato da coloro che si sono fatti garanti dell’originale approccio americano ha enormemente rallentato i progressi di una disciplina che vive esclusivamente di cam- biamenti e modificazioni costanti. La sensazione è che là dove c’era bisogno di condurre una ricerca seria e soprattutto una sensibilizzazione dell’opinione pubblica in merito a questi temi, si sia guardato a più bassi interessi. Decine di anni sono passati e ancor oggi nel nostro paese sono pochissimi quelli che hanno sentito parlare della possibilità di fare filosofia nella scuola primaria (per non parlare di quelli che, in generale, hanno un’alta considerazione della filosofia come attività che possa occupare l’essere umano). Come mai? La Philosophy for Children italiana, dov’era? Dato il monopolio e tutto il tempo avuto a disposizione, avrebbe dovuto far sentire a tutti la sua voce. Probabilmente, se le cose fossero state gestite in maniera diversa, oggi non avremmo riduzioni delle ore di filosofia nelle scuole superiori di secondo grado e neppure un calo verticale degli iscritti alle facoltà umanistiche universitarie (con la conseguente chiusura di corsi di laurea storici). Ad ogni modo, parlare di Philosophy for Children è obbligatorio, in quanto essa rappresenta, pur tra mille sfaccettature e contraddizioni, nel bene e nel male, l’interlocutore unico per tutti coloro che vogliono iniziare questo genere d’esperienza. Ciò non toglie che, e ci piace sottolinearlo, punto di partenza del ricordo storico non dovrebbe essere la Columbia Uni- versity, bensì il Collegio di Holzminden, come riporta Ekkehard Martens15 nel suo libro!

Herman Nohl, ben prima di Lipman, in Die Philosophie in dei Schule scrive:

Lentamente il piccolo uomo, che pensa in modo molto più metafisico di quanto l’adulto generalmente supponga, si accorge di cose come il fatto che la terra è un pianeta, che nello spazio dell’universo non c’è un sopra e un sotto, del mi- stero dell’infinito, del miracolo della vita, della sorprendente realtà della legge, del potere del numero, ma poi anche di questioni come quella della teodicea, che possono già tenere a lungo assorto un bambino di quattro anni, e poi della domanda morale sulla libertà, e così via. Chi ha potuto condividere lo stupore filosofico del bambino nel corso di una lezione interdisciplinare, come quella del seminario che io tenni una volta presso il collegio di Holzminden, conosce le sue potenzialità filosofiche16.

Martens afferma che:

La ripresa della filosofia con i bambini in Germania reca soprattutto l’impronta dei lavori di Lipman e Matthews negli Stati Uniti: essa è in gran parte un’importazio-

15 Martens, E. (1999), Filosofare con i bambini, tr. it., Bollati Boringhieri, Torino, 2007.

ne di ritorno e la prosecuzione di idee e pratiche già abbozzate nella Germania degli anni venti17.

Non solo Nohl, dunque, ma anche Liebert18, Nelson19, e Benjamin20, per riportare quelli

che Martens menziona nel suo saggio. E in Italia la situazione non è tanto diversa. Quella della filosofia con i bambini è una reconquista di territori che avevano già le loro tradizioni particolari. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque, se non un abito scintillante che sul finire degli anni ‘70 abbagliò prima l’America e poi l’Europa, in parte a ragione, in parte a torto. Fatto sta che l’errore più grande consistette nel recepire qualcosa che andava sottoposto a manutenzione continua, che doveva essere smontato, mescolato alla cultura locale e poi ricostruito, come dimostra ogni processo di inculturazione che miri al successo e non alla catastrofe ecologica e antropologica21. Ci troviamo, insomma, di fronte a un panorama

piuttosto variegato. A un paradigma, quello dettato da Lipman e dalla Philosophy for chil- dren, che consta di regole precise, setting e termini specifici (facilitatore, session, e così via), e a tante deviazioni dal paradigma, tante quasi quante sono state le persone che si sono occupate di praticare la P4C. Risulta davvero complicato, all’interno si questa som- ma di esperienze diverse, dire cosa sia la Philosophy for children, a meno di non parlare della versione originale, ormai classica e poco praticata. Lo stesso Martens non chiarisce nella pratica cosa voglia dire seguire la pratica del dialogo, o quella della formazione dei concetti, o ancora quella del meravigliarsi o dell’illuminismo22. E ce ne sarebbero sicura-

mente altre. A questo riguardo, la filosofiacoibambini non vuol essere soltanto un’esperien- za, perdipiù sporadica, deviante dal sentiero principale. L’aspirazione a farsi sempre più “metodo” è implicita nella volontà di studio, ricerca ed elaborazione di contenuti e pratiche nuove, originali, che si distanziano dalla maniera classica di vedere e condurre questo ge- nere di pratica filosofica coi bambini. Ma non solo. L’esigenza di diffondere tale approccio, di chiarire in cosa consiste, di poterne parlare e di allargare la ricerca abbracciando nuovi saperi e nuovi professionisti, così da raggiungere, realmente, il maggior numero di scuole, bambini e famiglie, dev’essere vista come un impegno prioritario. Occorre imparare a tra- durre la filosofia, a mostrarne l’efficacia, senza banalizzarla. Orientarsi nel pensiero, certo, ma senza dimenticarsi di dire come!