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Guardando indietro al lavoro svolto in questi tre anni di dottorato, non posso che ritenermi soddisfatto di quanto è stato fatto. Assieme al piccolo gruppo di ricerca nato attorno all’As- sociazione “Filosofia Coi Bambini - Italia”, ho contribuito a porre le basi per la nascita di qualcosa di nuovo. Nel panorama italiano, fino alla comparsa ufficiale di Filosofiacoibambini, nel 2013 (e prima ancora nel 2008), accostare filosofia e bambini voleva dire occuparsi, in un modo o nell’altro, di Philosophy for Children e di conseguenza conservare un’idea clas- sica della filosofia, quale dialogo messo in atto tra due o più interlocutori in vista di un fine conoscitivo comune e sostanzialmente condotto su tematiche quali la verità, la giustizia, il bene, il bello, l’amicizia e così via. Questo modo di vedere la filosofia e di considerare il pensiero filosofico, che affonda le sue radici nella filosofia antica e riposa sui grandi Autori del passato, e che è sostenuto anche da gran parte della didattica svolta nei Licei e nelle Università italiane e quindi dai docenti, non tiene però sufficientemente conto di tanta parte della filosofia di oggi (e non solo di oggi). Si pensi già solamente alla filosofia del linguaggio, alla filosofia sperimentale, e più in generale alla filosofia analitica, ovvero a quella filosofia che tentando di far suo il metodo sperimentale adottato nelle scienze, non si preoccupa di costruire spiegazioni onnicomprensive, quanto di trovare la maniera di parlare di ciò che ci circonda, riflettendo sul linguaggio e sugli errori ai quali è portata la mente intenta a cono- scere. Se è vero, da un lato, che certa parte della filosofia aveva già incontrato i bambini (fin dagli anni Settanta con Lipman, ma anche prima), è vero anche che il lavoro di Filoso- fiacoibambini ha contribuito ad aprire questo spazio a tutti, in particolare a coloro che prima ne era sostanzialmente esclusi, per mancanza di titoli o di patentini più o meno riconosciuti. Eppure, come si è a più riprese cercato di sottolineare lungo tutto questo lavoro, è proprio dalla filosofia condotta sul campo, quella di stampo analitico e sperimentale che, a nostro giudizio, possiamo trarre le più alte soddisfazioni nel lavoro coi bambini, i quali, si ribadirà sempre, non sono interessati alla filosofia, ma al gioco, alle parole, al poter far cose con le parole. Da una parte, dunque, stiamo parlando di una filosofia che non veicola contenuti valoriali e che, nel bene e nel male, non orienta, bensì allena il pensiero all’incontro con la realtà (la quale supera sempre in complessità ogni nostra immaginazione e manda in fumo ogni nostro tentativo di renderne conto in maniera completa, specialmente quando si tratta di esseri umani), dall’altra parte vogliamo certo sottolineare il valore di un approccio che in- tende anzitutto capire i bambini, riconoscendo quelli che potrebbero essere i modi migliori per potenziare il loro apprendimento scolastico. La filosofia che incontra la scuola per darle consigli, per aiutarla, rimboccandosi le maniche, lontana dai sofismi, dai discorsi, dalle uto-

pie racchiuse nei grandi sistemi.

L’esperienza ci suggerisce che i bambini non sono egocentrici, come volevano Freud e Piaget, ma non per questo sono filosofi, come molti ingenuamente credono, attribuendo a questo fatto un qualche valore di complimento, di prestigio (in questo senso, ci sentiamo certamente più vicini al pensiero di Vygotskij e alla critica che egli fece alle considerazioni di Piaget). Se essere filosofi vuol dire dialogare, amare il sapere ed essere incuriositi da ciò che ci circonda, sì, alcuni bambini come alcuni adulti sono filosofi. Se essere filosofi vuol dire saper dialogare (con tutto ciò che quel verbo “sapere” ci può voler dire), allora pochi bam- bini, come pochi adulti, lo sanno fare. Non basta disporre i bambini in cerchio, attendendo la nascita di una qualche comunicazione tra loro, perché si possa dire di essere di fronte alla filosofia, così come non basta disporre degli adulti dentro un caffè a chiacchierare sulla felicità per riprodurre un simposio. Occorre essere allenati al dialogo, oltre che disposti. E questo allenamento non può prescindere dalle parole, e neppure può essere insegnato a tavolino. Esercizio, dunque, tanto. Filosofiacoibambini ha fatto e fa questo: studia la maniera di preparare i bambini al dialogo, allenandoli a partire dalle parole che conoscono, dalla maniera in cui queste possono comporsi, dalle profondità nascoste in ogni più piccola cosa che ci circonda. Certo, siamo tutti sorpresi e ben disposti di fronte a due o più bambini che in compagnia di un adulto dialogano di argomenti che consideriamo importanti, ma non è questo il tipo di pratica a cui siamo interessati, né ci sentiamo di condividere pienamente che si tratti di filosofia, perlomeno non nel senso in cui noi intendiamo la filosofia. A partire dall’assunto secondo il quale, a nostro avviso, è la filosofia ad aver bisogno dei bambini e non il contrario, come abbiamo più volte ripetuto, diremo anzitutto che il filosofo coi bambini è in classe, primariamente, per compiere la sua ricerca. Osservare, descrivere, mettere alla prova le proprie intuizioni circa i bambini, che sono e restano il suo primario interesse. Non ci sentiamo di chiudere questo lavoro in alcun modo, ma di mantenerlo totalmente aper- to a ogni futura correzione o aggiunta che venga dalla pratica e dalla riflessione che pre- ceda o segua tale pratica. Il campo di ricerca, oltremodo vasto, supera di gran lunga ogni possibilità di conoscerlo pienamente, in così poco tempo e con forze tutto sommato esigue. Ma il lavoro proseguirà grazie a quanti continueranno a entrare in classe ogni giorno, grazie a quanti continueranno a chiedersi come i bambini potrebbero essere di aiuto alla filosofia.