III. Conclusione
4. Le aggiunte al Trattato di Catulo del 237 a C
Nella ribellione dei mercenari contro lo Stato cartaginese, Roma tenne una posizione da principio neutrale e piuttosto favorevole a Cartagine (se, come riporta Appiano di
Alessandria367, addirittura concesse a Cartagine di arruolare
nuovi mercenari sul suolo italiano in deroga al Trattato di Catulo), per poi mutar d’atteggiamento quando i Punici, debellati i rivoltosi in Africa, si apprestavano a recuperare la Sardegna: come già ricordato, i Romani fecero pervenire loro un ultimatum e inviarono un cospicuo contingente al comando di Ti. Sempronio Gracco. Al fine di evitare una nuova guerra - che non erano in grado di condurre a termine- i Cartaginesi rinunziarono a riprendere possesso della Sardegna e,
probabilmente all’inizio del 237 a. C.368, accettarono di
inserire due clausole aggiuntive nella precedente pace: • la cessione della Sardegna alla respublica, e
• l’obbligo di pagare un’indennità di guerra addizionale di 1200 talenti.
La prima clausola fu per Polibio369 un grave torto ai
Cartaginesi e, nel racconto di Livio370, un ragionevole motivo
di animosità per Amilcare. Ciononostante, non tutti gli autori che si sono interessati alla vicenda sono di questo parere: una certa tradizione ha creduto di giustificare l’imperialismo romano vedendovi una reazione ad un’ingiustizia patita dai
mercanti italici e romani371 per mano dei Punici. Tuttavia,
Polibio372 racconta che i Cartaginesi avevano catturato e
imprigionato circa 500 mercanti italici, facenti la spola tra
367 App. Pun. 5.21.
368 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 234-235. 369 Polyb. 3.28.2.
370 Liv. Ab Urbe condita 21.1.5.
371 App. Hisp. 4.15, Pun. 5.21-22 e 87.407, Zon. 8.18.3 e 9 e 12. 372Polyb. 1.83.7-10.
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l’Italia e l’Africa per rifornire i mercenari, e che questo atto suscitò una reazione indignata da parte di Roma, senza tuttavia impedire che l’attrito fosse composto con delle trattative e la restituzione dei prigionieri. Dunque, non sembra che il trattamento degli italici da parte dei Cartaginesi facesse salire alle stelle la tensione e potesse costituire una giustificazione sufficiente per minacciare una guerra.
Dal punto di vista giuridico, le integrazioni sono presentate
come ἐῆ (“clausole aggiuntive”) al trattato già
esistente; questo fatto conferma che il foedus del 241 a. C. era rimasto in vigore medio tempore e che sarebbe rimasto vigente
anche in seguito, quantunque modificato. Zonara374 parla in
modo impreciso di accordi che vennero rinnovati (ἀώ ὰς άς) mentre ebbe luogo soltanto una loro modifica.
La vicenda fu gestita a Roma dal senato: “the senate secured a
vote of the Assembly in favour of war “unless…”, and sent an
ultimatum to the Carthaginians wich, as the Romans refused
to discuss the matter, they had no choice in the circumstances but to accept375”.
a. La cessione della Sardegna a Roma
La cessione della Sardegna fu un obiettivo che i Romani perseguirono senza scrupoli; venne giustificato con varieargomentazioni, come già visto, dai successivi autori
dell’Annalistica. Vi è stato anche chi, come la Scardigli376, ha
dubitato anche della veridicità dell’accusa romana di ή (“preparazione, allestimento”) di una nuova guerra
373 Polyb. 3.27.7. 374 Zon. 8.18.9.
375 B. Caven, Punic wars cit., p. 72. 376 B. Scardigli, Trattati cit., p. 234.
129
da parte dei Cartaginesi per recuperare la Sardegna; per la studiosa “che Cartagine non pensasse ad una guerra, si può
dedurre dalla sua reazione remissiva: problemi interni le impedivano di prendere concretamente in considerazione una rivincita”.
b. L’indennità addizionale di 1200 talenti
L’unico autore che quantifica la somma aggiunta all’indennità,
già precedentemente dovuta, è Polibio377, che riporta un
ammontare di 1200 talenti; le altre fonti si limitano a menzionare una maggiorazione che, in ogni caso, dovette divenire veramente ingente raggiungendo i 4400 talenti
euboici378.
Una tale nuova imposizione non era giustificata dal bisogno di rimpinguare le casse dello Stato, dissanguate da nuove e vive spese (i Romani non avevano dovuto sostenere alcun costo nel periodo successivo al 241 a. C.), ma probabilmente dal bisogno di assecondare il popolo dell’Urbe che, già dalle trattative che condussero alla stipula del foedus conclusivo della prima guerra punica, reclamava somme di danaro più cospicue di quelle pattuite, memore delle grandi difficoltà sopportate in quell’ultraventennale conflitto.
377 Polyb. 1.88.12, 3.10.3 e 3.27.7. 378 Oltre 112 tonnellate di argento.
130
Capitolo VI
Il trattato dell’Ebro, la seconda guerra punica e la pace del 201 a. C.
“O qualis facies et quali digna tabella,
cum Gaetula ducem portaret belua luscum! exitus ergo quis est? o gloria, vincitur idem nempe et in exilium praeceps fugit atque ibi magnus mirandusque cliens sedet ad praetoria regis379”
1. Il contesto storico
Sconfitti nella prima guerra punica e privati della Sardegna con le aggiunte al trattato di Catulo del 237 a. C., i Cartaginesi adesso vedevano intaccato il loro monopolio sul commercio marittimo nell’Occidente mediterraneo: “for the
first time since the sixt century their monopoly of the trade of the western Mediterranean might seem to be a jeopardy.380”
La conseguente mossa delle élites puniche fu la ricerca di nuovi mercati e di nuove risorse economiche e demografiche nella penisola iberica; a tal fine fu inviato un corpo di spedizione (composto per lo più di truppe mercenarie) in Spagna al comando di Amilcare Barca, il quale aveva guadagnato un rispetto e una stima impareggiabili tra i concittadini per i suoi comandi militari nell’ultima fase della prima guerra punica e nella lotta contro i mercenari ribelli in Africa.
In breve tempo Amilcare stabilì in Spagna un dominio dall’estensione considerevole tanto che, nel 231 a. C., fu raggiunto da un’ambasciata romana che gli chiese ragione delle sue imprese spagnole; questi rispose ai legati, ponendoli
379 Iuv. Satirae 10.157-161.
131
in imbarazzo, che stava combattendo ed espandendosi in Spagna per poter disporre dei mezzi per pagare l’indennità di guerra imposta da Roma a Cartagine. Pare legittimo chiedersi perché Roma inviasse un’ambasceria da Amilcare: per assicurarsi il pagamento dell’ultima rata dell’indennità di guerra? Per conoscere le intenzioni di quest’ultimo e l’entità della “rinascita” economica e militare di Cartagine? La prima alternativa sembra poco plausibile giacché “è difficile supporre
che una delegazione romana intraprendesse il lungo viaggio per assicurarsi solo l’ultima rata dell’indennità di guerra, che fra l’altro gli stessi Cartaginesi avrebbero dovuto portare a Roma, secondo quanto stabiliva il trattato381”. Probabilmente la
volontà di controllare gli sviluppi della politica iberica dei Barcidi fu alimentata dalle sollecitazioni dell’alleata Marsiglia, che temeva il rifiorire di Cartagine e una saldatura tra i Cartaginesi e i Galli tra Spagna e Linguadoca. Si può certo affermare che il metus gallicus giocò un ruolo dirimente in questa e nelle vicende successive.
Amilcare cadde in un’imboscata degli Iberici nel 228 a. C. e, data la troppo tenera età del figlio Annibale, l’esercito scelse come nuovo comandante (con il successivo consenso di Cartagine) il genero del defunto, Asdrubale detto “il Bello”. Uomo di Stato più che militare, il nuovo comandante in capo del contingente punico in Spagna mutò il dominio barcide in qualcosa di simile a una monarchia ellenistica pur senza recidere i legami con la madrepatria; fondò la città di Qart
Hadasht (Carthago Nova, l’odierna Cartagena) e, con un’abile
politica di alleanze anche matrimoniali, si legò alle aristocrazie iberiche. Nel 226 a. C. concluse con i Romani il trattato
132
dell’Ebro382, sposò una principessa iberica e ne fece sposare
una anche ad Annibale, il quale gli succedette nel comando, dopo la sua morte prematura. Annibale era di un’altra pasta rispetto al cognato, era un Barca e come suo padre Amilcare, era animato da un forte sentimento revanscista verso Roma: “la sua azione prese un carattere nettamente ostile ai Romani,
come se la conquista della Spagna non dovesse solo ricompensare Cartagine della perdita della Sicilia, ma dovesse servire di base per una nuova guerra contro Roma383”. Dopo
aver assunto la guida delle forze cartaginesi in Spagna (221 a. C.), il giovane generale si mosse a nord, a ridosso dell’Ebro, evitando accuratamente di aggredire o insidiare la città di Sagunto, legata a Roma: nell’inverno 220/219 a. C. una delegazione romana si recò presso Annibale richiedendogli di non toccare la città di Sagunto e di attenersi al trattato stipulato pochi anni prima dal suo predecessore. Il Barca fu particolarmente aspro verso i legati romani e si lamentò dell’uccisione di alcuni aristocratici saguntini apertamente filocartaginesi. Nella primavera dello stesso anno dunque, Annibale pose Sagunto sotto assedio e la città cadde solo dopo otto o nove mesi, nella totale immobilità dei Romani che non mossero un dito in favore dei Saguntini in costanza dell’assedio. Soltanto dopo l’espugnazione della città legata a Roma (da un rapporto che sarà chiarito in seguito), la
respublica si attivò inviando una delegazione a Cartagine e
presentando un ultimatum: consegnassero Annibale (e i suoi consiglieri) o sarebbe stata guerra. Al rifiuto cartaginese seguì inevitabilmente il conflitto. Nel maggio Annibale attraversò l’Ebro e fulmineamente, in modo degno del soprannome
382 M.A. Levi-P. Meloni, Storia romana cit., pp. 105-106. 383 A. Momigliano, Manuale cit., p. 63.
133
familiare Barca384, marciò verso l’Italia. Iniziava così la
seconda guerra punica, che si protrasse fino al 201 a. C.
La guerra si svolse su più fronti (Africa, Spagna e Italia) e dopo un’iniziale e travolgente avanzata di Annibale che condusse all’occupazione dell’Italia meridionale, soprattutto a seguito dell’esiziale battaglia di Canne (la più rovinosa débâcle militare subita dai Romani fino alla battaglia di Adrianopoli), la riscossa romana si fece sentire e il teatro delle operazioni si spostò prima in Spagna e poi in Africa. Rifulse la stella del giovane Publio Cornelio Scipione (n. 235 a. C.), l’immortale avversario di Annibale.
Publio passò in Africa nel 204 a. C con “35000 soldati, 400
navi onerarie e 40 navi da guerra385 […] e pose il suo
accampamento, che rimase la base di tutte le operazioni, vicino Tunisi (la località chiamata poi Castra Cornelia386)”. I Romani
posero sotto assedio la città di Utica, con l’aiuto di Massinissa, il quale si era sollevato contro il suo re Siface, alleato di Cartagine. Siface alle due parti propose delle trattative che “a
Cartagine […] furono accolte con favore dagli oppositori dei Barcidi, che avrebbero voluto abbandonare ogni idea di guerra e di conquista per affermarsi nella colonizzazione agricola africana387”. Trascorsi alcuni mesi di attività diplomatiche,
Scipione respinse improvvisamente le proposte di pace e attaccò di sorpresa il campo di Siface e di suo suocero Asdrubale di Gescone, dandolo alle fiamme: fu una strage e i due maggiorenti si salvarono per miracolo. Il 22 giugno del
384 “Folgore” in fenicio.
385 25000 fanti e 2200 cavalieri, secondo M.A. Levi-P. Meloni, Storia
romana cit., p. 120.
386 B. Scardigli, Trattati cit., p. 308.
134
203 a. C.388, presso i Campi Magni (l’attuale Medjerda), i
Romani e i Massili di Massinissa si scontrarono con i Numidi di Siface e con i Cartaginesi: la vittoria arrise ai Romani e Siface cadde prigioniero; a Cartagine si ritenne opportuno richiamare Annibale dall’Italia e chiedere di nuovo la fine delle
ostilità a Scipione389. Il gerontion cartaginese optò per l’invio ai
Castra Cornelia di una delegazione composta di 30 senatori
cui il comandante romano impose condizioni piuttosto miti “poiché Roma era in difficoltà economiche per il lungo sviluppo
della guerra390”; poco dopo fu inviata un’ulteriore ambasciata
cartaginese a Roma per ottenere la ratifica dell’accordo (nel frattempo accettato), e “circa nel mese di ottobre fu conclusa
una tregua, durante la quale i Cartaginesi evidentemente erano obbligati a mantenere l’esercito romano e forse a pagargli lo stipendio391”. Secondo Polibio, la pace fu ratificata dal senato e
dal popolo romano392 mentre, secondo altri393, la delegazione
punica non fu neppure ricevuta dal senato (fatto che Dione Cassio giustifica con la persistente presenza di truppe cartaginesi in Italia). Fidandosi della versione di Polibio, deve essere menzionato un episodio avvenuto durante la tregua, non molto tempo prima del ritorno in Africa degli ambasciatori cartaginesi: “uno dei convogli carichi di vettovaglie provenienti
dalla Sicilia e destinati alle legioni africane fu sorpreso da un fortunale e, mentre i vascelli di scorta approdavano senza danni al Caput Apollinis, le navi onerarie si dispersero a mezzogiorno e a levante di Cartagine, gettate dalla tempesta a incagliarsi sull’isola di Aegimurus o spinte addirittura alla città
388 M. A. Levi-P. Meloni, Storia romana cit., p. 121. 389 A. Momigliano, Manuale cit., pp. 69-70.
390 M. A. Levi-P. Meloni, Storia romana cit., p. 122. 391 B. Scardigli, Trattati cit., p. 309.
392 Polyb. 15.8.8.
135
libica di Aquae Calidae, presso il promontorio Ermeo. Malgrado il gerontion punico, prontamente riunitosi, ammonisse che l’impadronirsi di quei trasporti avrebbe voluto dire rompere la tregua, il popolo, afflitto dalla carestia, non intese ragioni394” e
si dette al saccheggio. In tal modo i Cartaginesi ruppero la tregua, suscitando l’invio di una delegazione romana che però fu maltrattata dai Cartaginesi stessi. Nel frattempo, era di ritorno dall’Italia l’ambasceria punica: i legati cartaginesi si recarono direttamente da Scipione, dalle cui labbra seppero del saccheggio punico e della violazione delle condizioni della tregua; ma “Publio […] ordinò di trattare con cortesia […] gli
ambasciatori di Cartagine, sventurati e incolpevoli, facendoli poi scortare fino alle porte della città395”. La battaglia decisiva ebbe
luogo a Zama nell’ottobre 202 a.C.396 e fu vinta dalle truppe
romane comandate da Scipione. Sconfitto successivamente anche l’esercito di Vermina, figlio di Siface, il generale ricevette ai Castra Cornelia trenta delegati cartaginesi ai quali dettò le condizioni di pace che, successivamente, il gerontion cartaginese accettò, su consiglio dello stesso Annibale. Si pattuì una nuova tregua.
Occorreva a questo punto ottenere la ratifica di senato e popolo romani: gli stessi delegati cartaginesi recatisi poco prima da Scipione furono inviati a Roma. Senato e popolo furono ben disposti verso la nuova definizione del conflitto e i
patres conscripti inviarono una commissione di 10 membri (da
loro nominati) in Africa per la stipulazione definitiva della pace, alle condizioni già imposte e accettate dai Cartaginesi. Si giunse infine alla ratifica definitiva da parte delle autorità
394 G. Brizzi, Scipione e Annibale, la guerra per salvare Roma, Bari
2007, pp. 174-175.
395 G. Brizzi, Scipione e Annibale cit., p. 175. 396 B. Scardigli, Trattati cit., p. 312.
136
romane, alla presenza di nuovi delegati cartaginesi: si chiudeva la più grande guerra che fosse stata combattuta fino ad allora da Roma; tutto sarebbe cambiato e, da potenza tra le potenze, la respublica sarebbe diventata universale. Iniziava la conquista dell’Ecumene e veniva gettata la semenza dell’idea di un potere globale, esteso su quasi tutto il mondo conosciuto, i cui confini sarebbero stati il limes (fisico e ideale) tra la civiltà e la barbarie.
2. Le fonti397
a. Le fonti relative al trattato dell’Ebro
Nessuno degli autori antichi riporta il testo del trattato, ma tutti ne offrono dei riassunti che, neanche a dirlo, sono concordi soltanto sull’individuazione dell’Ebro come red line. Polibio si occupa del trattato dell’Ebro in tre luoghi della sua opera:
• nel libro II, allorché riferisce delle imprese cartaginesi nella penisola iberica,
• nel libro III, quando opera una ricognizione delle cause della seconda guerra punica, e
• sempre nel libro III, nell’ambito dell’excursus dedicato alla storia delle relazioni diplomatiche tra Roma e Cartagine e ai relativi foedera.
“Perciò (i Romani) inviarono ambasciatori ad Asdrubale e
conclusero un’alleanza, nella quale non fu menzionato il resto
137
della Spagna, ma ai Cartaginesi fu imposto di non oltrepassare per una guerra il fiume chiamato Ebro.398”
“Stabiliti dunque i loro rapporti con i Cartaginesi per mezzo
dell’accordo con Asdrubale, di cui ho [rectius, abbiamo] parlato poco prima…399”
“Alcuni di coloro che hanno scritto la storia delle imprese di
Annibale, volendoci esporre le cause per le quali scoppiò la guerra predetta fra Romani e Cartaginesi, adducono quale prima l’assedio di Sagunto da parte dei Cartaginesi, quale seconda il loro passaggio, contro i patti stabiliti, del fiume che gli indigeni chiamano Ebro.400”
“I Romani intimarono (ad Annibale) di astenersi dai Saguntini
che erano sotto la loro protezione e di non attraversare il fiume Ebro, secondo l’accordo concluso con Asdrubale.401”
398 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 249. 399 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 249. 400 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 250. 401 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 250.
138
“Oltre a quelli elencati fu concluso un ultimo accordo con
Asdrubale in Spagna, nel quale i Cartaginesi si impegnavano a non attraversare l’Ebro per motivi di guerra.402”
“…Asdrubale aveva concluso un accordo, in cui era stabilito che
i Cartaginesi non oltrepassassero il fiume Ebro per una guerra.403”
“Perciò chi ritiene causa della (seconda) guerra (punica) la
distruzione di Sagunto, deve riconoscere che furono i Cartaginesi a iniziare ingiustamente la guerra, sia in base al trattato di Catulo, per il quale ciascuno dei contraenti si era impegnato a garantire la sicurezza degli alleati dell’altro, sia in base a quello di Asdrubale, per il quale i Cartaginesi non dovevano attraversare l’Ebro per una guerra.404”
“…Perché i Cartaginesi ammettevano di essere stati i primi a
muovere guerra ai Romani, assoggettando, contrariamente al
402 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 250. 403 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 250. 404 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 251.
139
trattato, la città di Sagunto e che anche recentemente avevano agito da traditori, violando i giuramenti e gli accordi scritti.405”
Tito Livio fornisce una versione del foedus diversa dal più attendibile Polibio:
“Cum hoc Hasdrubale, quia mirae artis in sollicitandis gentibus imperoque suo iungendis fuerat, foedus renovaverat populus Romanus ut finis utriusque imperii esset amnis Hiberus Saguntinisque mediis inter imperia duorum
populorum libertas servaretur.406”
“Con questo Asdrubale, giacché era stato di straordinaria
abilità nell’attrarre le tribù e legarle al suo potere, il popolo di Roma aveva siglato un nuovo trattato, secondo cui il confine tra l’uno e l’altro dominio doveva essere il fiume Ebro e doveva essere rispettata la libertà per il popolo di Sagunto, che si trovava nel mezzo tra i domini dei due popoli.407”
“(Hanno…egit…) … «[5] Saguntum vestri circumsedent exercitus unde arcentur foedere… [6] …res e foedere repetuntur… [8] …sed Tarento, id est Italia non abstinueramus ex foedere, sicut nunc Sagunto non
abstinemus».408
“(Annone…sostenne…) … «[5] i vostri eserciti cingono d’assedio
Sagunto da cui dovreste tenervi lontano in base al trattato… [6] … è richiesto il rispetto dei termini dell’accordo… [8] … non ci siamo tenuti lontano da Taranto, cioè dall’Italia, come da
405 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 251. 406 Liv. Ab Urbe condita 21.2.7.
407 Traduzione mia.
140
trattato, allo stesso modo come ora non ci teniamo lontani da Sagunto».409”
“(Ex Carthaginiensibus unus) … «At enim eo foedere, quod
cum Hasdrubale ictum est, Saguntini excipiuntur».410”
“(Uno dei Cartaginesi disse) … «Ma da quel trattato, che è stato
concluso con Asdrubale, i Saguntini sono esclusi».411”
“([Hannibal] locutus fertur) … «[5] Crudelissima ac superbissima gens sua omnia suique arbitrii facit; cum quibus bellum, cum quibus pacem habeamus, se modum imponere aequum censet. Circumscribit includitque nos terminis montium fluminumque, quos non excedamus, neque eos, quos statuit, terminos observat: [6] “ne transieris Hiberum, ne quid rei tibi sit cum Saguntinis”. Ad Hiberum est
Saguntum?»412”
“(Si tramanda che [Annibale] disse) … «[5] Sono gente assai crudele e superba che fa suo tutto ciò che trova e lo sottopone al suo arbitrio; ritengono che sia giusto che essi soltanto determinino con chi noi dobbiamo fare la guerra o la pace. Ci circondano e ci cingono entro confini costituiti da monti e fiumi da non oltrepassare ed essi non osservano quei confini che hanno stabilito: [6] “non attraversare l’Ebro, e non avere niente a che fare con i Saguntini”. Ma Sagunto è presso
l’Ebro?»413.
“(Ex eis [legatis] maximus natus) «… ita res hos annos in Hispania atque Italia gessistis, ut Hispaniam non Hibero
409 Traduzione mia.
410 Liv. Ab Urbe condita 21.18.9. 411 Traduzione mia.
412 Liv. Ab Urbe condita 21.44.5-6. 413 Traduzione mia.
141
amne tenus sed qua terrarum ultimas finis Oceanus domitam
armis habeatis…»414”
“(Il più avanti negli anni di loro [dei delegati] disse): «in questi
anni avete condotto le vostre imprese in Spagna e in Italia cosicché avete soggiogato con le armi la Spagna, fino non al fiume Ebro, ma dove l’Oceano lambisce le più estreme tra le terre»415”
“(Consul [Cato] inquit…) «Patres nostri, cum in Hispania Cartaginensium et imperatores et exercitus essent, ipsi nullum in ea militem haberent, tamen addi hoc in foedere
voluerunt, ut imperii sui Hiberus fluvius esset finis…»416”
“(Il console [Catone] disse) «i nostri padri, essendovi in Spagna e
i generali e gli eserciti dei Cartaginesi, ed essi stessi non avendovi neppure un soldato, tuttavia vollero che fosse aggiunta in questo trattato che il fiume Ebro fosse il confine del loro dominio».417”
Il geografo Strabone ancora localizza correttamente la città alleata di Roma:
“Ancora, sull’altra riva del Sucrone, per chi va verso la foce
dell’Ebro, è situata Sagunto, una fondazione degli abitanti di Zacinto, che Annibale distrusse contro gli accordi con i Romani, provocandone così la seconda guerra con i Cartaginesi.418”
414 Liv. Ab Urbe condita 28.39.14. 415 Traduzione mia.
416 Liv. Ab Urbe condita 34.13.7. 417 Traduzione mia.