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II. Le fonti sul patto definitivo di pace (201 a C.)

3. Il Trattato dell’Ebro

a. Il contenuto, unilateralità o bilateralità degli obblighi nascenti dal patto?

Il foedus concluso da Asdrubale e dai legati romani non regola complessivamente tutti i rapporti tra Roma e Cartagine, ma si occupa soltanto di fissare un confine tra le due potenze. In ciò, esso rassomiglia più ai primi quattro trattati che a quello di Catulo: non si ha a che fare con un foedus iniquum le cui

440 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 307. 441 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 307.

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condizioni sono dettate dalla parte vincitrice allo sconfitto. Dal punto di vista del contenuto, non c’è accordo tra le fonti antiche (né tra i moderni) sul carattere unilaterale (e quindi, con licenza, definibile iniquum) o bilaterale degli obblighi nascenti dal patto. Polibio chiaramente intende l’accordo come

unilaterale442: i Cartaginesi non dovevano oltrepassare il fiume

Ebro ἐὶ έῷ (“per motivi di guerra”). Questo divieto peraltro non avrebbe impedito l’attraversamento del fiume per scopi e attività pacifici, in particolare commerciali, e se ne hanno testimonianze archeologiche come rileva anche M. A. Eckstein: “we have numismatic evidence implying important Punic

influence in this period precisely in the economically important Emporion region, far beyond the river443”. Per Livio444 e

Appiano445 il confine dell’Ebro era un limes invalicabile tra gli

imperia delle parti contraenti. Questo poneva però il celebre

problema della città di Sagunto: se i Romani non potevano occuparsi delle questioni politiche e militari a sud dell’Ebro, come spiegare la successiva reazione all’assedio annibalico di Sagunto, situata nell’area d’influenza e spettanza punica? Livio si cavò fuori dall’aporia menzionando una clausola del trattato che espressamente proteggeva la città cosicché “non

importa parlare dei dissidi interni fra Saguntini, e l’attacco di Annibale diviene una violazione del trattato446”; Appiano invece

inventò una diversa ubicazione della ός, situandola tra

l’Ebro e i Pirenei e, per non contraddire l’Alessandrino, un

grande studioso come J. Carcopino447 ha affermato che due

442 Polyb. 2.13.7, 3.6.1-2, 3.15.5, 3.27.9 e 3.30.3.

443 M. A. Eckstein, Rome, Saguntum and the Ebro treaty, in

“Emerita” vol. 52, num. 1, 1984, p. 60.

444 Liv. Ab Urbe condita 21.2.7, 21.10.5-8 e 21.18.9.

445 App. Hisp. 7.25-27, 11.43, Hann. 2.6, 3.10 e Pun. 6.23. 446 B. Scardigli, Trattati cit., p. 266.

447 J. Carcopino, Le traité d’Asdrubale et la responsabilité de la

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fiumi all’epoca si chiamavano Ἴ, l’Ebro vero e proprio e il più meridionale Sucrone (l’odierno Yucar). Nondimeno, come

risulta anche da un passo del geografo Strabone448 (scrittore

d’epoca anteriore ad Appiano), la distinzione tra Sucrone ed Ebro era pacifica.

In verità il carattere unilaterale del limite dell’Ebro consentiva ai Romani di legarsi in alleanze con entità politiche a sud del fiume, ragion per cui non pone alcuna difficoltà il rapporto di Roma con Sagunto. A prescindere dalla natura e dalla data d’inizio del rapporto in esame, la respublica poteva intrattenere relazioni con la città iberica e, naturalmente, tutelarne l’integrità territoriale in base al trattato di Catulo del 241 a. C., giacché in esso le parti si impegnavano a “non

accogliere in amicizia (e a fortiori non molestare) gli alleati dell’altra parte449”. Inoltre, il carattere bilaterale avrebbe

implicato grosse rinunce da parte di Roma rispetto alle regolazioni dell’ancora vigente trattato del 348 a. C.: “if the

Ebro Treaty provided for a bilateral demarcation of Roman and Punic spheres of influence in Spain at the Ebro […], then that diplomatic development would entailed the abrogation by Rome of previous claims to a presence in the Spanish Levant, claims dating back some 120 years, to the Treaty of 348. […] There was no indication or implication in the Ebro Treaty to suggest that the Romans would now abandon their ties with Saguntum

[…], while the Romans’ positive legal right to their ties with Saguntum, under the terms of the Treaty of 348, remained

equally unaffected450”.

448 Strab. 3.4.6. 449 Polyb. 3.27.4.

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Di fronte all’obiezione (ragionevole) di chi si chiede perché Asdrubale avrebbe dovuto accettare, trattando da pari a pari, una limitazione unilaterale della sfera di azione cartaginese,

alcuni451 hanno ipotizzato che la versione del trattato

tramandataci da Polibio non sia completa, contenendo invece “la parte che interessa [all’autore] per determinate ragioni,

sicché, come nel caso del Trattato di Filino mancano delle clausole, in quello di Pirro non vengono ripetute le ὁί in vigore, qui mancano le premesse”. Secondo Pareti452,

sull’unilateralità degli obblighi che scaturivano dal foedus Polibio è fonte fededegna in quanto già nel trattato del 348 a. C. (nell’ambito del quale la parte punica esercitò senza remore il suo soverchiante potere contrattuale) si era imposto ai Romani di non navigare oltre la località di Mastia/Tarseion, ma non a est di essa, e quando Taranto aveva negoziato l’accordo per cui le navi romane non potevano navigare a nord del Capo Lacinio, non era preclusa la navigazione a sud di tale Capo. Conclude Pareti che “la richiesta ad Asdrubale […] non

vincolava Roma, secondo le sue intenzioni, a rinunciare alle sue amicizie e al suo eventuale intervento a favore dei socii a sud dell’Ebro”. Anche uno storico affidabile come Caven453 vede

nell’accordo stretto tra Asdrubale e i Romani un carattere di unilateralità degli obblighi e dei limiti, che viene giustificato dalla distanza tra i teatri dell’attività politica e militare in Spagna del genero di Amilcare e il fiume Ebro, che sarebbe stato scelto come red line in luogo del più naturale confine dei Pirenei per le pressioni esercitate da Marsiglia (storica alleata di Roma), che aveva colonie e interessi nelle regioni

451 Ad esempio, B. Scardigli, Trattati cit., pp. 272-272.

452 L. Pareti, Studi minori di storia antica, Roma 1958, p. 142. 453 B. Caven, Punic wars cit., p. 81.

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dell’attuale Catalogna. Per J. M. Galindo Roldán454 è “claro che

Asdrúbal, por su parte, se aseguraba la paz con los romanos mientras se ocupaba de las disputas internas” e, dunque, non

sarebbe necessario né utile cercare spiegazioni e costruire sistemi complessi per giustificare la vigenza del confine dell’Ebro solo per le forze puniche. Occorre però segnalare che lo stesso Galindo Roldán ritiene che nell’articolato del foedus fosse presente una esplicita clausola che proteggeva l’iberica Sagunto e che, in definitiva, il Trattato dell’Ebro, per quanto apparentemente concluso da due contraenti in posizione di eguaglianza tra loro, risultava sostanzialmente una “imposición del nuevo orden romano”, considerazione questa che si basa, con probabilità, su una combinazione discutibilissima di elementi provenienti da fonti inconciliabili (Livio e Appiano da un lato, Polibio dall’altro). Infatti, l’inserzione della clausola su Sagunto probabilmente è un dato riportato dalle fonti successive che, avendo scarsa cognizione del panorama dei precedenti trattati romano- cartaginesi, come lo stesso Polibio sottolinea in altro luogo

della sua opera455, dovevano trovare un espediente per

giustificare il successivo intervento militare romano in favore

di Sagunto456. La óς semplicemente era protetta per il suo

legame con Roma perché i Romani non avevano nessuna limitazione per le attività a sud dell’Ebro nonché in virtù della reciproca garanzia rispetto agli alleati pattuita espressamente nel trattato di Catulo (“the Romans were, therefore, forced to

base their claim to protect Saguntum on the treaty of Lutatius,

454 J. M. Galindo Roldán, Los tratados y la diplomacia en la

antigüedad: el derecho internacional como sustento de la conquista romana, Lecciones y Ensayos num. 91, 2013, pp. 204-205.

455 Polyb. 3.26. 2.

456 Come ritiene anche E. Hernández Prieto, La crisis diplomática

romano-cartaginesa y el estallido de la segunda guerra púnica, Salamanca 2012, p. 33.

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[…] wich contained a clause that neither side should attack the

allies of the other457”).

457T. A. Dorey, The treaty with Saguntum, in “Humanitas” nn. 11-12,

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b. Inquadramento giuridico dell’accordo

Non si possiede alcuna notizia che il trattato sia stato ratificato dai Romani, mentre viene riferito che non si ebbe ratifica da parte del gerontion -almeno così fu risposto agli ambasciatori romani che portarono successivamente a

Cartagine l’ultimatum458. I Cartaginesi fecero, in

quell’occasione menzione, “dell’atteggiamento, a loro avviso

analogo, del popolo romano che in un primo momento non ratificò il Trattato di Catulo459”; di fronte a una simile

osservazione, i legati romani obiettarono (a ragione) che in quel patto era stato espressamente previsto che la sua validità fosse subordinata all’approvazione del popolo romano, mentre nel trattato dell’Ebro non era presente una clausola analoga o simile. È molto probabile, al contrario, che il patto non venisse ratificato dai Cartaginesi della madrepatria perché non ve n’era alcun bisogno, in quanto Asdrubale aveva agito in qualità di plenipotenziario: le sue risoluzioni avrebbero prodotto effetti direttamente nei confronti dello Stato cartaginese. Soltanto dopo la successione di Annibale al cognato, si revocò in dubbio la vincolatività per i Cartaginesi dell’accordo siglato da Asdrubale, tentando di farlo passare come un patto privato. Scardigli fa notare che “il patto di

Asdrubale si dimostra provvisorio e di limitato interesse e durata; dal punto di vista geografico nel 226 né Roma né Asdrubale potevano avere interessi nei territori vicino all’Ebro; l’accordo è nato piuttosto da una determinata preoccupazione in un momento determinato460”. In ogni modo, la sua vincolatività

per Annibale non deve essere posta in discussione.

458 Polyb. 3.21.2.

459 B. Scardigli, Trattati cit., p. 269. 460 B. Scardigli, Trattati cit., p. 270.

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Di più agevole risoluzione è la questione della mancanza di notizie circa la ratifica da parte del senato e del popolo dell’accordo dell’Ebro. Il fatto che i legati fossero

plenipotenziari (cum auctoritate) sembra confermato

implicitamente dalla circostanza che successivamente da parte romana si pretese l’osservanza del foedus. Quanto detto, nondimeno, lascia insoluta la querelle relativa alla fonte dei poteri plenipotenziari: negli autori antichi non v’è traccia di atti con cui degli organi costituzionali conferivano dei poteri eccedenti le normali attribuzioni di legati e, persino, di magistrati cum imperio.

A questo punto, è inevitabile sollevare un dubbio circa la qualifica dell’accordo, che generalmente è indicato come “trattato”. L’atto potrebbe interpretarsi come sponsio internazionale visto il ruolo dirimente dei legati romani e di Asdrubale nella conclusione, ma una simile affermazione porterebbe alla conseguenza (francamente inaccettabile) di una totale inefficacia originaria del negozio, in quanto alla stipulazione della pretesa sponsio non seguì mai una ratifica idonea a trasferire gli obblighi nascenti dall’atto in capo alla

respublica. Pare, pertanto, da preferirsi il tradizionale

inquadramento giuridico dell’accordo come foedus,

quantunque concluso seguendo un iter irrituale.

c. La violazione del trattato e la questione della responsabilità per lo scoppio della seconda guerra punica

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• i Cartaginesi non avrebbero potuto oltrepassare

ἐὶ έῳ461 l’Ebro (senza alcuna preclusione rispetto ad

eventuali attività commerciali). Implicava poi che

• i Romani potessero agire a loro piacimento a sud del fiume;

• rimaneva in vigore la protezione reciproca degli alleati prevista dal trattato di Catulo.

Successivamente alla morte di Asdrubale (221 a. C.), il nuovo comandante in capo delle forze puniche in Spagna divenne Annibale. Costui aveva un atteggiamento nettamente diverso verso Roma rispetto al cognato, era ostile e insofferente dello

status quo. Nel 219 attaccò la città di Sagunto, che era alleata

di Roma e la espugnò dopo otto o nove mesi. Violò il trattato stipulato sette anni prima?

Se la risposta risulta ovvia a seguito di quanto detto finora,

repetita iuvant: Roma poteva intrattenere rapporti diplomatici

e di alleanza anche a sud dell’Ebro e, di conseguenza, legittimamente avrebbe potuto intervenire militarmente in difesa del socius attaccato. Si sarebbe trattato certamente di un bellum iustum.

A questo punto, tuttavia, vien fatto di chiedersi quale rapporto intercorresse tra i Romani e i Saguntini, giacché dalla risposta a tale quesito può discendere un inquadramento totalmente diverso delle responsabilità per lo scoppio della seconda

guerra punica. Per Eckstein462 la relazione tra Roma e

Sagunto si configurava nei termini dell’amicitia, tuttavia

461 “Per motivi di guerra”.

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Polibio parla espressamente di ί (societas)463 e sarebbe

certamente preferibile classificarla in conformità con quanto riferisce Polibio: la guerra dichiarata a Cartagine dopo l’assedio di Sagunto costituirebbe l’adempimento degli obblighi di assistenza militare reciproca che la societas poneva in capo ai contraenti (lo stesso non può dirsi della semplice

amicitia, a meno che Eckstein non intenda riferirvisi

esclusivamente per descrivere il lato interno del rapporto romano-saguntino, poiché alla societas, all’esterno, si accompagna sempre l’amicitia, sul versante interno).

Polibio però parla anche di ἐή (deditio), facendo intendere che Sagunto avrebbe compiuto un atto di deditio nei confronti di Roma per ottenerne protezione; la questione resta aperta, anche se va rigettata la spiegazione (filocartaginese) di B. Scardigli secondo cui “si deve pensare […] ad un rapporto di

obblighi morali e non giuridici (da cui potevano nascere obblighi militari), come rivelano appunto gli avvenimenti del 219/218: da una parte Roma non interviene durante l’assedio di Sagunto

[…], dall’altra parte protesta e dichiara la guerra (secondo

Polibio: subito dopo la caduta della città), come se finalmente avesse trovato un argomento per reagire464”. Benché una simile

ricostruzione consenta di spiegare l’insolito temporeggiare di Roma durante l’assedio di Sagunto, non persuade perché Polibio adopera una terminologia certamente giuridica (parla

anche di un affidamento dei Saguntini alla ίς (fides)465 dei

Romani), pur impiegandola alquanto a sproposito,

sovrapponendo termini e concetti tra loro incompatibili, in modo da impedirci una precisa ricostruzione giuridica; ciò non toglie che ci si trovi di fronte a una relazione giuridica di

463 Polyb. 3.21.1-2.

464 B. Scardigli, Trattati cit., p. 274. 465 Polyb. 3.15.5.

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diritto internazionale, dalla quale discendeva un obbligo di assistenza militare a carico di Roma.