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Le condizioni poste ai cartaginesi

II) Le aree del commercio controllato

7. Le condizioni poste ai cartaginesi

Le condizioni imposte alla potenza africana si caratterizzano per la mancata indicazione delle conseguenze dell’eventuale violazione.

a) “μὴ ἀδικείτωσαν”

Il verbo ἀῖ è così spiegato, nella sua accezione materiale,

dal Vocabolario della lingua greca di Franco Montanari143:

“rovinare, guastare, danneggiare”; il famoso Vocabolario

Rocci144 fornisce addirittura un esempio molto simile al caso

in esame (ἀῖ δῆμον): “ἀῖ ῆ, trattare ostilmente, rovinare, un paese”. Ai Punici era interdetto quindi ogni intervento ostile nei confronti dei centri nominati (che si facevano quindi rientrare nell’area di influenza romana) e delle altre civitates latine nella condizione di ὑπήκοοι (soggetti).

b) “τῶν πόλεων ἀπεχέσθωσαν”

Quanto ai centri latini μὴ ὑπήκοοι (non soggetti), è previsto il divieto per i Cartaginesi di avvicinarli (ἀέ significa in questo contesto “tenersi lontano, trattenersi, astenersi, desistere,

ἀέ ς tenersi lontano da qualcosa o da qualcuno145),

ma tale obbligo non ha la stessa intensità di quello verso gli

ὑπήκοοι (soggetti), in quanto si statuisce subito dopo che, se uno di tali centri venisse conquistato, sarebbe obbligatoria la sua restituzione ai Romani e non una generica restituzione bensì la consegna di esso “intatto” (ἀκέραιον). È quindi ammessa la possibilità di una violazione dell’obbligo da parte cartaginese senza considerare violato il foedus, a condizione di

143 F. Montanari, Vocabolario della lingua greca, Torino 2004, voce

“ἀ”.

144 L. Rocci, Vocabolario greco-italiano, Roma 2011, voce “ἀ”. 145 F. Montanari, Vocabolario cit., voce “ἀ”.

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rispettare l’ulteriore obbligo di consegna della civitas conquistata ai Romani.

c) Divieto di costruire fortificazioni e di permanenza ὡς

πολέμιοι146

Tanto il divieto di costruire fortificazioni (φρούριον) nel territorio laziale, quanto il divieto di soggiornarvi (non trascorrervi neppure una notte) non richiedono ulteriori spiegazioni,

benché Scardigli147 suggerisca che la terminologia impiegata

sembra riferirsi più alle operazioni di pirateria che ai veri e propri atti di guerra, senza tuttavia escludere questi ultimi. Non sembra che ai Punici fossero imposti limiti alla navigazione analoghi a quelli posti in capo ai Romani. I Cartaginesi pertanto sembrano autorizzati alla navigazione nelle acque laziali senza alcun controllo da parte romana e, ancora una volta, ciò non deve meravigliare l’esegeta del trattato giacché si tratta di un indice del diverso potere contrattuale di cui disponevano i paciscenti. Peraltro, se si ammette che la respublica disponesse allora di navi, risulta tuttavia inverosimile che ne avesse in numero tale da esercitare un regolare controllo sulle acque prospicienti il Lazio.

146 “Come nemici”.

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Capitolo III

Il trattato del 348 a. C.

1. Il contesto storico

Molto era mutato, nei circa 150 anni che separano il primo trattato dal secondo, nella situazione politica interna e internazionale di Roma e di Cartagine.

a. Roma

Negli anni immediatamente precedenti la metà del IV secolo a. C., l’organizzazione costituzionale della respublica veniva modificata significativamente dalle leges Liciniae-Sextiae, tre plebisciti approvati nel 377 a. C. ma accettati dal Senato e dal dittatore Camillo soltanto nel 367 a.C. Si prevedeva che non si dovessero più eleggere tribuni militari e che uno dei consoli

fosse plebeo148. Il nuovo regime funzionò per undici anni fino

a che si ebbe una forte reazione dei patrizi, i quali riuscirono a ottenere, dal 355 al 343 a. C., che entrambi i consoli fossero

scelti in seno al loro ceto149. Ad ogni modo, si stava giungendo

alla formazione della nobilitas patrizio-plebea che avrebbe fornito la classe dirigente degli ultimi secoli della storia repubblicana.

A livello internazionale invece, Roma si trovava in grande difficoltà. Nel 390 a. C. i Galli di Brenno, dopo aver devastato parte dell’Italia centro-settentrionale, avevano messo a sacco Roma. Ci si era liberati dal giogo celtico solo con degli ingenti

pagamenti in oro150, a dispetto del non pro toto auro venditur

libertas.

148 Liv. Ab Urbe condita 6.35.4-5. Il primo console plebeo fu proprio

uno dei tribuni che proposero le nuove norme, L. Sestio.

149 A. Petrucci, Corso cit., pp. 37-38. 150 A. Momigliano, Manuale cit., pp. 44-47.

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Gli Etruschi di Falerii, Caere e Tarquinia e i Latini di Anzio, Satrico, Fidene, Velletri, Tivoli e Preneste approfittarono della

debolezza della respublica e si unirono contro di essa151. Si

combatté una lunga guerra che durò circa trent’anni fino a che, nel 358 a. C., l’ordine fu di nuovo imposto da Roma: fu rinnovato il foedus Cassianum, con l’inclusione di città che prima non vi facevano parte, come Preneste. Nonostante la rinnovazione dell’antico patto, ormai la Lega latina era sotto il controllo romano.

Successivamente furono battuti anche gli Etruschi:

• Tarquinia e Falerii chiesero indutiae di lunga durata e le ottennero per quarant’anni (351);

• con Caere furono stipulate indutiae di cento anni (353), così la città ricevette la civitas sine suffragio.

Ma la nuova pace imposta da Roma ebbe vita breve: nel 349 a. C. i Latini decisero di rifiutare a Roma una fornitura di auxilia (truppe ausiliarie aggregate alla legione) per far fronte alla

persistente minaccia dei Galli152, che infatti penetrarono nel

Lazio ma furono sconfitti dai Romani.

b. Cartagine

Cartagine fu vinta presso Imera dalle forze siracusane intorno al 480 a. C.; a ciò però seguì una lenta ripresa dell’impero punico, che estese la sua influenza su tutto il Maghreb e sulla Spagna, terre ricche di oro e argento, rinunziando peraltro a una forte politica espansionistica in terra di Sicilia. Sul finire del secolo e nei primi decenni del successivo, Cartagine fu impegnata in una serie di conflitti con Dionisio di Siracusa, di volta in volta conclusi con trattati, che ebbero come conseguenza una più precisa delimitazione delle aree di

151 M. A. Levi-P. Meloni, Storia romana cit., pp. 35-38. 152 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 96-98.

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influenza punica e greca sull’isola153. Nel periodo in cui il

foedus fu siglato, la politica commerciale cartaginese prese

una via più decisa: Cartagine intendeva, dopo il declino di Tiro, porsi come forza egemonica attrattiva del mondo

fenicio154.

2. Il testo del trattato in Polibio e le altre fonti

Anche per il secondo trattato romano-cartaginese la fonte principale è Polibio, il quale riporta per intero il testo dell’accordo, facendogli seguire un breve commento:

153 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 98-99.

154 G. Nicosia, Lineamenti di storia della costituzione e del diritto di

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“Successivamente a questo fu stipulato un altro trattato in cui i

Cartaginesi inclusero anche i Tirii e gli abitanti di Utica. [2] In esso fu aggiunto al Promontorio Bello anche Mastia e/di

Tarseum, al di là delle quali località i Cartaginesi stabilirono

che i Romani non pirateggiassero né fondassero città. Il testo era più o meno il seguente: “[3] a tali condizioni sia amicizia tra i Romani e i loro alleati, e il popolo di Cartagine, di Tiro e Utica e i loro alleati: [4] i Romani non facciano pirateria, né commercio, né fondino città al di là del Promontorio Bello, di Mastia e/di

Tarseum. [5] Se i Cartaginesi prendono nel Lazio una città non

soggetta ai Romani, si tengano i beni e gli uomini, ma consegnino la città (ai Romani). [6] Se qualche Cartaginese cattura degli uomini di una popolazione con la quale i Romani hanno stipulato una pace scritta, ma che non è soggetta a essi, non li sbarchino in un porto dei Romani. Ma se dovesse esservi sbarcato, egli sia libero nel caso che un Romano lo tocchi. [7]

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Anche i Romani osservino le stesse norme. [8] Se un Romano prende acqua o vettovaglie in un territorio sottomesso al dominio cartaginese, con queste provviste non rechi danno ad alcuno di quelli con i quali i Cartaginesi sono in pace o amicizia. [9] Alla stessa maniera non rechi danno il Cartaginese (al Romano). [10] Ma se ciò avvenisse, non vi sia una punizione privatamente. Se qualcuno si vendica invece privatamente, l’offesa sia considerata pubblica. [11] In Sardegna e in Libia nessun romano si dedichi al commercio o fondi una città… o vi si trattenga più del necessario, per fornirsi di viveri o riparare la nave. Se vi sarà trasportato da una tempesta, entro cinque giorni riparta. [12] Nelle parti della Sicilia di dominio cartaginese e a Cartagine (il Romano) faccia e venda tutto ciò che è lecito fare e vendere a un Cartaginese. [13] Lo stesso può fare un Cartaginese a Roma.155

[14] Anche in questo trattato i Cartaginesi persistono nel dichiarare di loro proprietà la Libia e la Sardegna e nel precludere tutti gli accessi ai Romani. [15] Della Sicilia parlano sempre soltanto della parte a loro assoggettata. [16] In modo simile i Romani circa il Lazio vietano che i Cartaginesi commettano ingiustizie nei confronti di Ardea, Anzio, Circeo e Terracina. Queste sono le città sulla costa del Lazio che il trattato riguarda.”

Ma lo storico di Megalopoli è affiancato da altre voci illustri, cui già si è accennato nel primo capitolo.

Livio riferisce che:

“[2] eodem anno Satricum ab Antiatibus colonia deducta restitutaque urbs quam Latini diruerant. Et cum

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Carthaginiensibus legatis Romae foedus ictum, cum

amicitiam ac societatem petentes venissent.156

“[2] Nel medesimo anno la colonia di Satrico fu dedotta dagli

Anziati e la città fu ricostruita dopo che i Latini l’avevano distrutta. E a Roma fu siglato un trattato con gli ambasciatori cartaginesi che erano giunti in cerca di amicizia e alleanza.157

Diodoro sposa la ricostruzione liviana e inserisce dei termini di datazione prettamente greci:

“ἐπ᾽ἄρχοντος δ᾽Ἀθήνησι Λυκίσκου Ῥωμαῖοι κατέστησαν ὑπάτους Μάρκον Οὐαλέριον καὶ Μάρκον Ποπίλιον, Ὀλυμπιὰς δ᾽ἤχθη ἑκατοστὴ καὶ ἐνάτη, καθ᾽ἣν ἐνίκα στάδιον Ἀριστόλοχος Ἀθηναῖος. ἐπὶ δὲ τούτων Ῥωμαίοις μὲν

πρὸς Καρχηδονίους πρῶτον συνθῆκαι ἐγένοντο.158

“Sotto l’arcontato di Licisco i Romani elessero come consoli

Marco Valerio e Marco Popilio e fu celebrata la CIX Olimpiade, nella quale l’ateniese Aristoloco vinse la gara di corsa. Nello stesso periodo, fu siglato per la prima volta un trattato tra Romani e Cartaginesi159”.

Paolo Orosio, secoli e secoli dopo gli avvenimenti, usa la stessa datazione degli autori succitati e individua in quel (secondo lui) primo foedus tra Roma e Cartagine, la causa di molte future sventure:

“Numerandum etiam inter mala censeo, primum illud ictum cum Carthaginiensibus foedus, quod iisdem temporibus fuit: praesertim ex quo tam gravia orta sunt mala, ut exin coepisse

156 Liv. Ab Urbe condita 7.27.2. 157 Traduzione mia.

158 Diod. 16.69.1. 159 Traduzione mia.

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videantur. Anno siquidem ab Urbe condita CCCCII legati a

Carthagine Romam missi sunt, foedusque pepigerunt.160

“Ritengo che debba annoverarsi tra le sciagure anche quel

primo trattato concluso con i Cartaginesi, cui si addivenne nel medesimo periodo; soprattutto perché da esso derivarono disgrazie così gravi che sembrano essere cominciate da lì. Infatti, nell’anno 402 ab Urbe condita, degli ambasciatori furono mandati da Cartagine a Roma e stipularono un trattato161”.