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II) Le aree del commercio controllato

1. Le fonti

È opportuno occuparsi del presunto trattato di Filino avendo riguardo anche a quello di Pirro giacché, nella lunga contesa che vede contrapposti i fautori dell’esistenza del foedus e i loro avversari, uno degli argomenti a favore della veridicità del racconto di Filino di Agrigento è proprio la pretesa complementarietà del primo accordo con il secondo.

a. Sul trattato di Filino

Polibio parla del trattato di Filino per contestarne la veridicità; è proprio grazie a lui che ne conosciamo il contenuto (anche se della sua accuratezza è necessario trattare più diffusamente) poiché l’opera di Filino non ci è pervenuta:

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“[1] Tali sono dunque questi trattati, e sono conservati ancor

oggi su tavole di bronzo presso il tempio di Giove Capitolino nell’archivio degli edili. [2] Chi dunque non si stupirebbe a ragione dello scrittore Filino, non perché ignorava questi trattati- di questo infatti non sarebbe da stupirsene perché ai nostri tempi perfino i Romani e Cartaginesi più anziani e più esperti in affari pubblici li ignoravano-, [3] ma da quale fonte e in che modo è venuta a Filino l’audacia di sostenere il contrario, e cioè che fra i Romani e Cartaginesi esisteva un trattato, in base al quale i Romani si sarebbero dovuti astenere da tutta la Sicilia, e i Cartaginesi dall’Italia, [4] e che i Romani avrebbero violato il trattato e i giuramenti con il loro primo passaggio in Sicilia. Una clausola del genere invece non è mai stata stipulata né esiste scritta. [5] Eppure questo Filino dice nel secondo libro esplicitamente. Questi fatti li ho già ricordati nell’introduzione alla mia opera, ma rimandai la discussione dettagliata a questo punto, perché molte persone sono in errore circa la verità di queste cose, avendo prestato fede all’opera di Filino. [6] Tuttavia se qualcuno rimprovera i Romani per aver intrapreso il passaggio in Sicilia, perché insomma accolsero nella loro amicizia e poi aiutarono nel bisogno i Mamertini, che avevano tradito non solo Messana, ma anche Reggio, potrebbe sembrare che abbia tutte le ragioni per disapprovare questa iniziativa (dei Romani); [7] se però qualcuno pensa che i Romani siano passati in Sicilia contro i giuramenti e i trattati, evidentemente ignora la verità.201

Tito Livio sembra fare riferimento all’accordo, ma evita di indicarne le clausole e il contenuto:

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“[26] Et cum Carthaginienses eodem anno foedus tertio renovatum, legatisque eorum qui ad id venerant, comiter

munera missa.202

“[26] Nello stesso anno fu siglato per la terza volta un trattato

con i Cartaginesi e ai loro ambasciatori, che per esso erano venuti, con gran cortesia furono inviati dei doni.203

L’anno a cui fa riferimento lo storico patavino è il 306 a. C., in cui furono consoli P. Cornelio Arvina e Q. Marcio Tremulo. Il commentatore del IV secolo Servio Mario (o Mauro) Onorato,

analizzando un celebre passo dell’Eneide204, ricorda un foedus

che per contenuto potrebbe ricordare il trattato di Filino:

“Litora litoribus contraria: aut quia in foedere cautum fuit, ut neque Romani ad litora Carthaginensium accederent neque Carthaginienses ad litora Romanorum: aut potest propter bella navalia accipi inter Romanos et Afros gesta. Flucitibus

undas imprecor: potest et propter illud quod in foederibus

similiter cautum est, ut Corsica esset media inter Romanos et

Carthaginienses.205

“Litora litoribus contraria: o perché in un trattato fu statuito

che i Romani non accedessero alle coste dei Cartaginesi né i Cartaginesi a quelle dei Romani; oppure può essere interpretato con riguardo alle guerre navali intraprese tra Romani e Africani.

Fluctibus undas imprecor: può essere interpretato anche in

202 Liv. Ab Urbe condita 9.43.26. 203 Traduzione mia.

204 Verg. Aen. 4.625-629 “Exoriare aliquis nostris ex ossibus ultor,

qui face Dardanios ferroque sequare colonos, nunc, olim, quocumque dabunt se tempore vires. Litora litoribus contraria, fluctibus undas

imprecor, arma armis; pugnent ipsique nepotesque”.

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riferimento a ciò che nei trattati era altrettanto previsto, che la Corsica fosse in mezzo tra Romani e Cartaginesi.206

b. Sul trattato contro Pirro

Meno di venti anni prima della guerra punica, Romani e Cartaginesi addivennero a un nuovo accordo, motivato dalla presenza di Pirro in Italia. Il re epirota vi era stato chiamato dai Tarantini e, dopo una prima fase del conflitto in Italia, passò in Sicilia, anche stavolta in aiuto di una polis greca, Siracusa. Molte fonti ci parlano di un contatto tra Roma e Cartagine in occasione della permanenza di Pirro in Italia, tuttavia alcuni eventi e alcuni dati non sono comuni a tutti gli scritti considerati.

Polibio, che considera il trattato in esame come il terzo concluso tra Punici e Romani, ne riporta il contenuto e fornisce interessanti indicazioni sulla cerimonia conclusiva della stipulazione. “Del trattato Polibio cita solo alcune aggiunte

a un testo già esistente e ancora in vigore207”:

206 Traduzione mia.

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“[1] Un ultimo trattato i Romani stipularono ai tempi del

passaggio di Pirro, prima che i Cartaginesi iniziassero la guerra per la Sicilia. [2] In esso confermarono tutti gli accordi precedenti ai quali furono aggiunte le seguenti clausole: [3] “Qualora essi (i Romani o i Cartaginesi) facciano un’alleanza con208 Pirro, entrambi la facciano per iscritto e in modo che sia

lecito venirsi reciprocamente in aiuto nel territorio di quello che viene attaccato. [4] Qualunque dei due abbia bisogno di aiuto, i Cartaginesi forniscano navi sia per l’andata che per il ritorno, ma ciascuno di essi provveda invece all’approvvigionamento delle proprie truppe. [5] Se è necessario, i Cartaginesi portino aiuto ai Romani anche sul mare. Ma nessuno costringa gli equipaggi a scendere contro la loro volontà.”

[6] I patti si sancivano con il seguente giuramento: quanto al primo trattato, i Cartaginesi giuravano sugli dei dei loro antenati, i Romani, secondo un vecchio costume, su Giove Pietra; quanto a questi (due), su Marte e Quirino. [7] La cerimonia di giuramento su Giove è la seguente: colui che pronuncia il giuramento relativo al trattato, prende in mano una pietra e, dopo aver giurato a nome della sua comunità, pronunzia queste parole: [8] “Se rimango fedele a codesto giuramento, tutte le cose mi vadano bene. Se mi comporto diversamente nelle intenzioni o nelle azioni, tutti gli altri siano salvi nella loro patria, nelle proprie leggi, in possesso dei loro beni, santuari, delle loro tombe, io solo invece sia gettato fuori,

208 Scardigli traduce così anche se è preferibile rendere la locuzione

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come adesso questa pietra”. [9] E mentre pronuncia queste parole scaglia lontano dalla sua mano la pietra.209

In Valerio Massimo gli eventi della trattativa sono narrati con dovizia di particolari, mancando tuttavia un resoconto dell’esito dei negoziati:

“Nam cum eo bello, quod adversum Pyrrhum gerebatur, Karthaginienses C ac XXX navium classem in praesidium Romanis Ostiam ultro misissent, senatui placuit legatos ad ducem eorum ire, qui dicerent populum Romanum bella suscipere solere, quae suo milite posset: proinde classem

Karthaginem reducerent.210

“Infatti, avendo i Cartaginesi inviato di propria iniziativa una

flotta di 130 navi al presidio di Ostia per quella guerra, che si combatteva contro Pirro, il Senato decise di inviare legati al loro comandante per informarlo che il popolo di Roma era solito affrontare solo le guerre che poteva condurre con le proprie forze armate: che riconducessero dunque la flotta a Cartagine.211

Diodoro Siculo212, a differenza di Valerio Massimo, narra un

episodio successivo alla fortunata conclusione delle operazioni diplomatiche:

“I Cartaginesi, che erano alleati con i Romani, presero 500

uomini a bordo delle loro navi e passarono a Reggio. Fecero

209 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 167. 210 Val. Max. Facta et dicta memorabilia 3.7.10. 211 Traduzione mia.

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delle scorrerie, desistettero tuttavia dall’assedio, incendiarono il legname preparato per la costruzione di navi e vi si trattennero per sorvegliare lo stretto, nel caso Pirro tentasse la traversata.213

Giustino riprende l’episodio narrato da Valerio Massimo ma ne presenta una versione diversa:

“[1] Interea Mago, dux Karthaginiensium, in auxilium

Romanorum cum centum XX navibus missus senatum adit, aegre tulisse Karthaginienses adfirmans, quod bellum in Italia a peregrino rege paterentur. [2] Ob quam causam missum se, ut, quoniam (ab) externo hoste oppugnarentur, externis auxiliis iuvarentur. [3] Gratiae a senatu Karthaginiensibus actae auxiliaque remissa. [4] Sed Mago Punico ingenio post paucos dies tacitus, quasi pacificator Karthaginensium, Pyrrhum adiit speculaturus consilia eius de Sicilia, quo eum arcessi fama erat. [5] Nam Romanis eadem causa mittendi auxilia Karthaginiensibus fuerat, ut Romano bello, ne in Siciliam transire posset, Pyrrhus in Italia detineretur. [6] Dum haec aguntur, legatus a senatu Romano Fabricius Luscinus missus pacem cum Pyrrho componit.214

“[1] Nel frattempo, Magone, capo dei Cartaginesi, mandato con 120 navi in aiuto dei Romani, venne in Senato, affermando che mal avevano sopportato (i Cartaginesi) che (i Romani) sostenessero una guerra in Italia (portata) da un re straniero. [2] Per questo motivo era stato inviato: perché godessero di rinforzi stranieri dal momento che erano incalzati da un nemico straniero. [3] Il Senato ringraziò i Cartaginesi ma rimandò indietro le truppe fornite in aiuto. [4] Ma Magone, secondo il

213 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 168.

214 Iust. Historiarum Philippicarum T. Pompeii Trogi libri XLIV in

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tipico carattere Cartaginese, attesi pochi giorni andò di nascosto da Pirro per conoscere le sue decisioni circa la Sicilia, dove girava voce venisse chiamato. [5] Infatti, fu proprio questo il motivo per inviare da parte Cartaginese rinforzi ai Romani: perché a cagione della guerra contro Roma, Pirro non potesse passare in Sicilia e fosse trattenuto in Italia. [6] Nel mentre, l’ambasciatore mandato dal Senato Romano, Fabrizio Luscino, addivenne a una pace con Pirro.215

La Periocha del XIII libro degli Ab Urbe condita libri recita: “iterum adversum Pyrrhum dubio eventu pugnatum est. Cum

Carthaginiensibus quarto foedus renovatum est.216

“di nuovo ebbe luogo una battaglia contro Pirro, senza un esito

ben definito. Per la quarta volta fu siglato un trattato con i Cartaginesi.217

2. Il contesto storico

Poco prima che fosse siglato il secondo foedus romano-punico, i Romani strinsero un’alleanza con i Sanniti (354 a. C.). Tuttavia, nel 343 a. C., i Campani di Capua, minacciati dallo strapotere sannitico che premeva dalle aree appenniniche dell’interno, chiesero aiuto a Roma. “Osci come i Sanniti, i

Campani erano molto diversi dalle popolazioni montanare sannitiche; fra loro si era costituito un ceto dirigente aristocratico imbevuto di cultura greco-etrusca.218

I Romani si trovarono in grande difficoltà perché erano legati da un trattato ai Sanniti: i feziali trovarono una soluzione suggerendo che Capua simulasse una deditio a Roma, di

215 Traduzione mia. 216 Per. 13.

217 Traduzione mia.

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modo che si potesse agire contro coloro che minacciavano una popolazione dedita. Ebbe inizio così la prima guerra sannitica che si concluse nel giro di due anni e, all’esito del conflitto,

Capua entrò nella Lega latina219.

Della nuova sistemazione geopolitica approfittarono i Latini, desiderosi di una revisione del foedus Cassianum e dell’intero assetto della Lega latina, e, inaspettatamente per Roma, la stessa Capua, intenzionata a prevenire una pesante egemonia romana. La ribellione durò dal 340 al 338 a. C. e fu repressa da Roma, che sciolse la Lega e disciplinò in modo del tutto nuovo i rapporti con le civitates latine, seguendo la politica della differenziazione dello statuto giuridico dei vari centri, rendendoli separati tra loro quanto a interessi e trattamento e, d’altra parte, tutti legati a Roma.

A distanza di pochi anni si combatté la seconda guerra

sannitica, iniziata con il tentativo di conquistare Napoli (327 a.

C.) e svoltasi in due fasi:

• Prima fase (327-321 a. C.). I Romani incontrarono molte difficoltà dovute all’asperità del teatro delle operazioni belliche. Si concluse con l’umiliante sconfitta presso Caudio.

• Seconda fase (316-304 a. C.). Riaperte le ostilità, Roma patì altre sconfitte e fu, nel frattempo, costretta a fronteggiare anche gli Etruschi, che attaccavano da nord. Debellati gli Etruschi, i Romani poterono concentrare le loro forze contro i Sanniti e, in pochi anni, riuscirono ad averne ragione. Si giunse quindi a una pace: “apparentemente i Sanniti ne uscivano bene, perché

conservavano intatta la loro autonomia, solo rinunciando

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a Fregellae e a pochi altri territori; ma dovettero abbandonare ogni ingerenza in Campania, in Apulia e presso gli altri vicini (Marsi, Peligni, Frentani etc.). Perciò Roma ebbe agio di fare o rinnovare con tutti questi popoli trattati che assicurassero la sua supremazia.220

Nel corso della seconda guerra sannitica si collocherebbe il trattato di Filino (306 a. C.), della cui esistenza occorrerà discutere senza risparmio d’inchiostro.

A seguito di un breve intervallo di pace, scoppiò la terza

guerra sannitica (298-290 a. C.). Nell’ambito di questo

conflitto, con i Sanniti si allearono altri popoli della penisola, tra cui i Senoni, gli Etruschi e gli Umbri. A Sentino, in Umbria, si svolse la battaglia decisiva della guerra, con una grande vittoria romana su Sanniti e Galli. In breve tempo questi ultimi, gli Umbri e gli Etruschi dovettero giungere a patti con Roma; Sanniti e Sabini resistettero ancora fino al 290 a.C.

Al termine della guerra, Roma controllava ormai, direttamente o tramite alleanze, tutta l’Italia centrale e gran parte del Mezzogiorno. Tuttavia, nella parte dell’Italia meridionale fuori dall’influenza romana, sostanzialmente la Magna Graecia, Taranto era la maggiore e più potente tra le poleis. Preoccupata dall’espansione della respublica, la città si era cautelata addivenendo a un accordo con i Romani, sul finire

del IV secolo a. C. (forse nel 303221), in base al quale questi

ultimi si impegnavano a non sconfinare nel mar Ionio, oltrepassando il Promunturium Lacinium (l’odierno Capo Colonna). Ma, nel 282 a. C., la polis di Turii, minacciata dalla pressione dei Lucani, chiese il soccorso di Roma che glielo

220 A. Momigliano, Manuale cit., p. 48. 221 A. Momigliano, Manuale cit., p. 51.

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concesse, insediando una guarnigione nella città calabrese e portando una flotta fin davanti a Taranto, forse come deliberato gesto di provocazione. I Tarantini reagirono duramente, attaccarono la flotta romana e invasero Turii. La guarnigione ivi insediata fu cacciata, assieme ai maggiorenti della fazione filoromana. Non si poté evitare lo scontro e i Tarantini dovettero chiedere aiuti esterni: “la scelta di Pirro, re

dei Molossi e comandante della Lega epirotica, era del tutto logica: l’Epiro […] si trovava proprio sulla costa adriatica antistante la Puglia; Pirro inoltre aveva fama di generale di eccezionali qualità e di grandi ambizioni.222

Pirro giunse in Italia nel 280 a. C. e si scontrò con i Romani a Eraclea, in Lucania; costoro subirono una grave sconfitta, in cui fu determinante lo stupore ed il terrore provocati dagli elefanti da guerra che militavano nell’esercito epirota. Si trattava di micidiali strumenti di morte, paragonabili ai temibili Panzer della Wermacht. Ringalluzziti dal successo di Pirro, Lucani, Bruzi e Sanniti imbracciarono le armi contro Roma.

Tuttavia, la vittoria di Pirro (divenuta proverbiale) non era stata decisiva e i suoi effettivi, includendovi anche gli alleati italici, non erano sufficienti a sottomettere la potenza romana sul suolo italico. Il sovrano inviò allora l’ambasciatore Cinea per trattare con i Romani: le richieste del legatus furono durissime, ma vennero prese in seria considerazione da Roma. Solo grazie all’intervento di Appio Claudio Cieco, ormai molto avanti negli anni, furono respinte. Fallita la diplomazia, la parola passò di nuovo alle armi e ancora una volta Pirro riportò una vittoria non decisiva ad Ascoli Satriano (279 a. C.).

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Resosi conto delle insormontabili difficoltà della campagna in Italia, il sovrano epirota decise di accedere alle richieste di sostegno di Siracusa contro Cartagine e passò in Sicilia, dove riportò alcune vittorie militari senza giungere al successo definitivo nella guerra. Tornato in Italia, Pirro si trovò nuovamente a fronteggiare i Romani che, durante il suo soggiorno siciliano, avevano riconquistato posizioni. Nel 275 a. C., presso Benevento, le truppe romane sotto la guida di Manio Curio Dentato volsero in fuga le forze greche. La campagna italiana fallì e Pirro, che aveva sognato di ricalcare le orme dei suoi congiunti Alessandro il Grande e Alessandro il Molosso, fu costretto a rientrare in patria. Poco dopo,

Taranto si arrese a entrare “nel novero dei socii di Roma223

(272 a. C.). Partendosene dall’Italia, Pirro avrebbe esclamato “che bella palestra lascio ai Cartaginesi e ai Romani”, come

ricorda Giovanni Brizzi224.