III. Conclusione
3. Il trattato conclusivo della Prima guerra punica (cd.
a. Le due redazioni del testo
Dopo la vittoria romana presso le Egadi, la guerra giunse alla
svolta definitiva: alcune fonti325 menzionano una tregua
richiesta da ambasciatori cartaginesi e prontamente concessa dai Romani, delle indutiae con natura prodromica a una definizione stabile della situazione postbellica; certo è che Amilcare, se anche vi fu un’iniziativa da parte del governo punico, ebbe pieni poteri per negoziare le condizioni della pace
e l’interlocutore del Barca fu il console Lutazio Catulo326,
poiché il di lui collega, A. Postumio Albinio, era flamen dialis e dunque “aveva dovuto rinunziare al comando a fianco di Catulo
e rimanere a Roma327”.
“Des préliminares de paix furent conclus, sans doute au début
de l’été 241, entre Hamilcar Barca et le consul Q. Lutatius Catulus328” e, nel corso di queste trattative, la risolutezza di
Amilcare riuscì a evitare a Cartagine un trattamento giuridico
iniquo329: è probabile che il generale punico riuscisse a evitare
una deditio per i Cartaginesi, optandosi invece, a seguito di
324 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., p. 218. 325 App. Sic. 2.1 e Zon. 8.17.1.
326 Polyb. 1.62.7., Diod. 24.13-14 327 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 220.
328 D. Roussel, Les Siciliens entre les Romains et les Carthaginois à
l’époque de la première guerre punique, Paris 1970, p. 135.
329 Nep. Ham. 1.5., Diod. 24.13-14, Zon. 8.17.5 e Liv. Ab Urbe
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una preliminare sponsio internazionale tra lo stesso Amilcare e Lutazio Catulo, per la forma giuridica del foedus, per quanto
iniquum; tracce di questi risultati della contrattazione si
trovano nel resoconto (tardo ma basato su fonti molto più vicine ai fatti in esame) di Giovanni Zonara allorché riferisce che “l’unica onta che Amilcare riuscì ad evitare fu quella di
dover passare sotto il
giogo330”(ὴ ὰ ὴ ῦ ῦ ἀί ὁ Ἀίς ῃή),
dove l’umiliazione del giogo sta a simboleggiare una deditio incondizionata, e in Diodoro che narra di un Amilcare che, “quando apprese che avrebbe dovuto consegnare le armi e i
disertori, non riuscì a controllarsi [e] ordinò che si allontanassero immediatamente [i legati romani]332” (ὡς ὲ
ἤ ά
ὄ ό ὶ ὺς ὐός ὺ ἐέ
ἀ’ἐέ ἀί ὴ ί), ove la consegna delle
armi è una delle condizioni classiche della deditio. Qualora si fosse fatto ricorso a questa forma di definizione delle controversie internazionali, lo Stato cartaginese avrebbe
cessato di esistere, almeno nella forma di stato sovrano334:
tutt’al più avrebbe conservato una propria esistenza individuale come municipium.
Amilcare intendeva indirizzare Catulo verso la stipulazione di un foedus iniquum, un trattato che avrebbe dovuto porre in capo a Cartaginesi clausole di natura risarcitoria-riparatoria e clausole “preventive”, cioè tese a evitare il ripetersi delle condizioni geopolitiche che avevano preparato il terreno e, in
330 Trad di B. Scardigli, Trattati cit., p. 212. 331 Zon. 8.17.5.
332 Trad. di B. Scardigli, Trattati cit., pp. 209-210. 333 Diod. 24.13.
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certa misura, necessitato la guerra. Ma, naturalmente, il console romano non aveva il potere di concludere un foedus, avendo invece soltanto facoltà di impegnarsi personalmente con il comandante nemico, con una sponsio internazionale. Tale negozio giuridico, che ricalcava l’analogo strumento negoziale impiegato tra privati, vincolava direttamente e personalmente il magistrato cum imperio che lo poneva in essere, mentre costituiva in capo alla respublica una
responsabilità nossale335, quantunque sarebbe forse stato
alquanto improbabile che potesse aver luogo la noxae deditio
del console Catulo336, visti i suoi meriti nella conduzione della
guerra. Il suo carattere preliminare rispetto alla conclusione
del foedus è evidenziato dallo stesso Polibio337
Quanto al contenuto della sponsio, esiste consonanza tra le fonti su alcuni punti di sicuro rilievo ma divergenza su altre clausole.
Polibio riporta338 queste condizioni:
• abbandono da parte cartaginese di tutta la Sicilia,
• divieto di far guerra a Gerone, ai Siracusani (questa precisazione probabilmente aveva la funzione di non legare la prescrizione alla sola figura di Gerone) e ai loro alleati,
• consegna di tutti i prigionieri senza riscatto, e
• pagamento di una indennità di guerra di 2200 talenti
euboici339 in un termine ventennale.
Per Livio340 Amilcare accettò le seguenti imposizioni:
335 Vd. supra, pp. 23-24.
336 Non abbiamo alcuna notizia di tale pratica per tutto il secolo III
a. C.
337 Polyb. 1.62.8. 338 Polyb. 1.62.8-9.
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• abbandono della Sicilia e
• pagamento di una indennità da parte punica.
Per Appiano341 i Cartaginesi dovevano:
• restituire tutti i prigionieri senza riscatto e i disertori romani,
• cedere a Roma la Sicilia,
• non muover guerra a Gerone, ai Siracusani e ai loro alleati,
• astenersi dall’arruolamento di mercenari sul suolo italico, e
• pagare al popolo romano in vent’anni un’indennità di 2000 talenti, con una rateizzazione annuale.
Orosio342 aggiunge un dettaglio importante (la cessione della
Sardegna), riassumendo così il contenuto della sponsio: • ritiro dei Cartaginesi da Sicilia e Sardegna e
• obbligo di corresponsione di un’indennità di 3000 talenti in vent’anni.
Nel De viris illustribus343 infine si trova un ulteriore obbligo
posto in capo agli Africani, il divieto di spingersi oltre il fiume Ebro:
• i Cartaginesi dovevano ritirarsi dalla Sicilia, dalla Sardegna e dalle isole tra Sicilia e Italia, e
• non dovevano oltrepassare il fiume Ebro.
Zonara, poi, offre una ricognizione del contenuto dell’accordo preliminare che risulta sorprendentemente accurata:
• i Cartaginesi dovevano lasciare ai Romani la Sicilia e le isole limitrofe,
340 Liv. Ab Urbe condita, 21.39.8. 341 App. Sic. 2.3-4.
342 Oros. Hist. 4.11.1-3. 343 Vir. ill. 41.2.
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• non muovere guerra a Gerone,
• pagare una cospicua indennità di guerra (di cui una parte avrebbe dovuto esser pagata subito e l’altra in seguito) e
• restituire disertori romani e prigionieri senza riscatto, dovendo però riscattare i propri.
Le altre fonti, di cui non è stato ricapitolata la versione fornita
del contenuto della sponsio preliminare344, non operano
alcuna distinzione tra quest’ultima e il testo definitivo del
foedus, per quanto anche Appiano, Orosio e l’autore del De viris illustribus facciano confusione tra i due testi in modo
patente, collocando alcuni contenuti del trattato definitivo nella sponsio e (quousque tandem!) inserendovi anche condizioni certamente apocrife.
A prescindere da queste considerazioni, elementi comuni alle varie fonti utili per la ricostruzione (tenendo conto che l’autore più affidabile è senza dubbio Polibio a causa della prossimità con i fatti narrati e della “scientificità” del suo metodo storico) del primo accordo sono:
• l’abbandono della Sicilia (dove Gerone rimase come
amicus et socius populi Romani),
• il pagamento di un’indennità di guerra ai Romani (di 2200 talenti secondo Polibio, 2000 secondo Appiano) nel termine di vent’anni,
• il divieto di far guerra a Siracusa e ai suoi alleati, e
• la consegna dei prigionieri senza riscatto e, molto probabilmente, nonostante il silenzio di Polibio, dei disertori.
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Una clausola plausibile dell’accordo è riportata da Appiano345
e riguarda il divieto per i Punici di arruolare mercenari in
Italia (ἐ ῆς Ἰίς); tuttavia Zonara346 riferisce la proibizione
al testo definitivo del foedus. Orosio e l’anonimo autore del De
viris illustribus annoverano tra le condizioni della sponsio
anche la cessione a Roma della Sardegna: se certamente il dato è scorretto con riferimento all’accordo preliminare negoziato tra Amilcare e Catulo, dubbi sussistono anche sulla previsione di un tale trasferimento territoriale contenuta nel
foedus definitivo. La menzione, poi, nel De viris illustribus di
una nuova sfera di influenza creata dal trattato e avente per confine il fiume Ebro, va, senza tema di smentita, qualificata come marchiana confusione tra la pace di Catulo e il successivo trattato dell’Ebro. Sulla ricognizione del contenuto della sponsio, come sopra delineata, concorda in linea di massima Caven: “the peace terms wich Hamilcar accepted
were that the Carthaginians should evacuate Sicily completely and they should not make war upon Hiero or upon the Syracusans if Hiero ceased to be king, or upon his allies […]. In addition, the Carthaginians agreed to give up all Italian prisoners of war without ransom (they would have to ransom their own) and to pay an indemnity of 2200 Euboeic talents (over 125000 pounds of silver) in twenty annual instalments, thus rendering Carthage to all intents and purposes a tributary state for almost a generation347”. Su due elementi l’autore
irlandese si spinge un po’ troppo oltre il dato letterale delle fonti, confondendo evidentemente testo preliminare e testo definitivo:
345 App. Sic. 2.4. 346 Zon. 8.17.6.
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• nel parlare di una interdizione esplicita per i Cartaginesi rispetto ad azioni ostili contro gli alleati di Roma e
• nel tratteggiare un impegno romano “not to molest
Carthage’s allies348”.
Rosalia Marino349 semplicemente afferma che “le clausole del
trattato stipulato da Lutazio Catulo -previa approvazione del popolo romano- prevedevano che i Cartaginesi dovessero ritirarsi da tutta la Sicilia, che non dovessero combattere né contro Gerone, né contro i Siracusani e i loro alleati, che dovessero inoltre restituire ai Romani senza alcun riscatto tutti i prigionieri e pagare entro vent’anni duemiladuecento talenti euboici”.
Negoziato che fu il contenuto dell’accordo preliminare (o
sponsio), per quanto concerneva l’ordinamento giuridico
romano, esso doveva essere ratificato dal “popolo”
(ἐὰ ὶ ῷ ήῳ ῶ Ῥί ῇ350) e dal senato: pur
riferendosi le fonti semplicemente al ῆς (“popolo”), era dei
comizi la competenza in materia351. Un grande studioso352 ha
affermato (con riferimento a Polyb. 1.62.8) che l’approvazione da parte dei comizi non fosse obbligatoria; tuttavia si è
obiettato353 che “lo stato di incertezza dell’argomento, rilevabile
dalle fonti e che si riflette nella molteplicità di ipotesi formulate dalla moderna dottrina, debba indurre a una certa cautela. Pare infatti che, sin dalla pax caudina (321 a. C.) il voto popolare fosse ritenuto indispensabile per rendere il trattato più vincolante”. Anche tale obiezione è suscettibile di critica
laddove si fa precedere l’aggettivo “vincolante” dall’avverbio
348 B. Caven, Punic wars cit., p. 63.
349 R. Marino, La Sicilia dal 241 al 210 a. C., Roma 1988, pp. 9-11. 350 Polyb. 1.62.8.
351 B. Scardigli Trattati cit., pp. 219-220.
352 G. De Sanctis, Storia dei Romani, Roma 1957, III, p. 185 353 R. Marino, Sicilia cit., pp. 11-12.
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“più”, in quanto la ratifica non aumentava la vincolatività ma aveva la funzione (non dissimile dalla ratifica privatistica nell’odierno istituto del mandato senza rappresentanza) di riferire gli effetti dell’atto ratificato immediatamente e direttamente alla respublica. In assenza di ratifica, in capo allo Stato romano, avrebbe pesato qualcosa di assai simile alla responsabilità nossale.
Ad ogni modo, i comizi non accettarono l’accordo di Catulo354,
rifiutandone le proposte. Prescindendo dai moventi che indussero il popolo a negare la ratifica (peraltro approfonditi
da Scardigli355), si optò per la nomina di una commissione
composta di 10 membri che avrebbe dovuto recarsi in Sicilia per intervenire sulla pace preliminare e modificarla in modo da renderla accettabile per i comizi.
Chi nominò i commissari? Dalla lettura di Polibio356 risulta
senza alcun dubbio che la commissione fu nominata dai comizi (con lo storico acheo hanno concordato anche alcuni
moderni357) ma, per le epoche successive, è attestata la
competenza senatoria358. La commissione modificò il trattato
ottenendo la ratifica comiziale. Le condizioni furono aggravate per i Cartaginesi e, se una ricostruzione esatta del foedus definitivo è possibile, essa deve necessariamente risultare da una cross examination delle fonti.
354 Polyb. 1.63.1., App. Sic. 2.3. e Zon. 8.17.6. 355 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 220-221. 356 Polyb. 1.63.1.
357 Ad esempio, B. Caven, Punic wars cit., p. 64, T. Mommsen,
Storia cit., p. 358 e F. De Martino, Storia della Costituzione cit., p. 198 (in particolare nota n. 37).
358 Sicuramente a partire dalla pace del 201 a. C., Liv. Ab Urbe
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b. Il contenuto del trattato “definitivo”
Alcuni autori antichi non operano alcuna distinzione tra le due redazioni del testo, riferendosi esclusivamente a quella definitiva. Così:
• Ampelio359 si riferisce alla cessione di Sicilia e Sardegna
come a un praemium, senza alcuna menzione di una previa negoziazione tra il console Lutazio Catulo e Amilcare;
• Eutropio360, descrivendo i prodromi della guerra dei
mercenari, parla genericamente di un dovere di obbedienza dei Sardi alla respublica ex condicione pacis (“in base alle condizioni di pace”, cioè al foedus definitivo del 241 a. C.).
Tra gli autori che distinguono tra l’atto preliminare e quello definitivo, vi è concordanza su alcune aggiunte alla sponsio da parte del foedus, ma anche delle divergenze significative:
• Polibio361 fa riferimento a una maggiorazione
dell’indennità di guerra di 1000 talenti (da pagare immediatamente), a un dimezzamento del termine ventennale per il pagamento della restante somma, alla cessione delle isole tra la Sicilia e l’Italia ai Romani, alla garanzia della sicurezza ai reciproci alleati di ambedue le parti e al divieto per ciascun contraente di dare disposizioni nel territorio (ἐί) dell’altro, di costruirvi edifici pubblici, di arruolarvi mercenari e di accogliervi in amicizia gli alleati dell’altra parte;
359 Ampel. 46.2. 360 Eutr. 3.2.2. 361 Polyb. 3.27.1-6.
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• per Zonara362 le aggiunte consistevano in un ingente
aumento dell’indennità da corrispondere, nel divieto per i Cartaginesi di passare vicino all’Italia o al territorio extra-italico degli alleati di Roma con navi lunghe e nel divieto di reclutare mercenari nei suddetti luoghi;
• Livio363 racconta di un’imposizione addizionale di ordine
territoriale, il ritiro dei Cartaginesi dalla Sardegna.
Tirando le somme e pedantemente rammentando la preferenza per i resoconti di Polibio, è opportuno definire una volta per tutte il contenuto addizionale del testo definitivo del trattato:
• ritiro dalle isole tra la Sicilia e l’Italia (quasi tutte peraltro, già de facto cadute in mano romana),
• divieto per ciascuna delle parti di reclutare mercenari e costruire edifici pubblici nel territorio dell’altra,
• aumento dell’indennità di mille talenti euboici,
• dimezzamento del termine per il pagamento (da venti a dieci anni),
• garanzia di sicurezza per i reciproci alleati e
• divieto per i Cartaginesi di avvicinarsi con navi lunghe al territorio dell’Italia e ai territori degli alleati di Roma fuori dalla penisola.
Come risulterà evidente, viene ritenuto perfettamente fededegno il resoconto di Polibio: le sue notazioni infatti risultano spesso confermate dalle altre fonti o contraddette solo per quanto concerne particolari numerici (ad esempio, l’ammontare dell’indennità). L’unica clausola aggiuntiva che Polibio tralascia e che potrebbe ritenersi autentica, è quella concernente il divieto di avvicinarsi con navi lunghe (qui probabilmente da intendersi come navi militari) all’Italia e ai
362 Zon. 8.17.6.
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territori non italiani degli alleati dei Romani364. Questa
affermazione può apparire azzardata in quanto l’autore che riferisce la condizione in esame, Giovanni Zonara, è vissuto più di un millennio dopo i fatti narrati; tuttavia, egli fu un vero e proprio feticista degli autori antichi e impiegò come propria principale fonte Cassio Dione: non sarebbe giusto nei confronti del buon Zonara negargli ogni attendibilità.
Il divieto di navigare con navi lunghe in prossimità delle coste italiane (e dei territori extra-italici degli alleati di Roma) poi sembra riprendere schemi e contenuti dei trattati precedenti tra Romani e Punici: si tratterebbe infatti di una definizione delle sfere di influenza militare e, al contempo, di una misura protettiva.
Questione controversa è la cessione della Sardegna che, secondo alcune fonti, avrebbe avuto luogo già con il Trattato
di Catulo365: costituì oggetto dell’accordo?
L’incertezza sul punto è destinata a persistere, anche se vien fatto di notare come della Sardegna si parli nell’ambito della tradizione annalistica (da Livio a Orosio ed Eutropio) per cui si potrebbe ipotizzare che, retrodatando al 241 a. C. il passaggio dell’isola ai Romani, gli autori di questo filone volessero obliterare la sua poco onorevole acquisizione di poco successiva (a seguito della guerra dei mercenari), che Polibio non esitò a definire avvenuta “contro ogni principio di
giustizia366”.
364 Zon. 8.17.6.
365 Liv. Ab Urbe condita 21.40.5 e 22.54.11, Oros. Hist. 4.11.2,
Ampel. 46.2, Eutr. 3.2.2 e Vir. Ill. 41.2.
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