II) Le aree del commercio controllato
3. Datazione e contenuto del trattato
La datazione del secondo foedus tra Roma e Cartagine è più agevole rispetto all’inquadramento cronologico del primo. Si giunse all’accordo prima della guerra sannitica e dopo la pacificazione con le poleis dell’Etruria meridionale: la data più accreditata è quella che si ricava dall’indicazione dei consoli
Marco Valerio Corvo e Marco Popilio Lenate 162, cioè il 348 a.
C., benché Diodoro faccia confusione163 aggiungendo il
riferimento dell’arcontato di Licisco (344/343 a. C.), nel corso
della centonovesima olimpiade164.
Con riguardo alla struttura del trattato, Scardigli coglie perfettamente la differenza nell’organizzazione dei contenuti rispetto a quello più antico: “mentre il primo è suddiviso per
soggetti (in condizioni e concessioni espresse per lo più in forma negativa, di Cartagine nei confronti di Roma da una parte e in condizioni e concessioni di Roma nei confronti di Cartagine dall’altra), il secondo trattato si articola -nello stile dei trattati greci, vale a dire in divieti e norme da osservare- in singole
160 Oros., Historiarum adversus paganos libri VII 3.7.1. 161 Traduzione mia.
162 Liv. Ab Urbe condita 7.26.10-15 e Diod. 16.69.1. 163 B. Scardigli, Trattati cit., p. 99.
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rubriche in cui ad ogni punto è presentata subito la condizione posta al partner.165”
Lo schema del suo contenuto può essere così sintetizzato,
seguendo E. Täubler166:
1) Limiti alla navigazione e clausole generali di circolazione a. Per i Romani (3.24.4),
b. Per i Cartaginesi (3.24.5-6167).
2) Clausola generale di non aggressione
a. Per i Romani (3.24.8 e10), b. Per i Cartaginesi (3.24.9-10). 3) Condizioni speciali di circolazione commerciale
a. Per i Romani (3.24.11-12), b. Per i Cartaginesi (3.24.13).
Scardigli168 delinea uno schema leggermente diverso:
1. Condizioni generali di relazioni e definizione di ἀί
(torto, violazione)
1.1. Imposizioni ai Romani (3.24.3-4),
1.2. Imposizioni ai Cartaginesi (3.24.5-6-7169).
2. ύ ὶ ῦ ὴ ἀῖ (scambio di diritti e di
assicurazioni di reciproca protezione) -imposizioni
reciproche
3.1 Ad un Romano in territorio cartaginese (3.24.8),
3.2 Ad un Cartaginese nelle medesime condizioni
(3.24.9),
165 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 100-101. 166 E. Täubler, Imperium cit., p. 263.
167 Polyb. 3.24.7 è un’estensione ai Romani della clausola valevole
per i Cartaginesi.
168 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 100-101.
169 La condizione di cui Polyb. 3.23.6 vale anche per i Romani
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3.3 Mediazione pubblica (si vieta una vendetta privata
perché l’offesa deve considerarsi pubblica) (3.24.10).
4. Clausole particolari per il commercio e il traffico
4.1 Per i Romani (3.24.11-12),
4.2 Per i Cartaginesi (3.24.13).
Altra ricognizione abbastanza chiara del contenuto
dell’accordo, anche se relativa principalmente alla distinzione delle zone in cui è possibile o vietato compiere certi atti, è
quella proposta da Maras170:
• Zone di più stretta limitazione; i Romani e i loro alleati non possono compiere atti di pirateria, commerciare e fondare colonie al di là del Promontorio Bello e di Mastia/Tarseum.
• Zone di limite ridotto; i Romani non possono fare commercio né fondare colonie in Sardegna e nella parte di Africa al di qua dei limiti territoriali di cui sopra. I Cartaginesi possono sì saccheggiare le città del Lazio non soggette a Roma, ma non occuparle e debbono restituirle ai Romani.
• Zone di parità di diritti; ai Romani nella Sicilia sotto il dominio cartaginese e nella città di Cartagine e ai Punici nella città di Roma è consentito avere parità di diritti civili e commerciali.
• Trattamento degli alleati.
Ai contraenti (Roma e Cartagine) e alla generica indicazione
dei ύ (alleati) si aggiunge quella specifica dei popoli di
Tiro e di Utica (Τυρίων καὶ Ἰτυκαίωνῆς). Si tratta indubbiamente di una novità rispetto al primo trattato
170 D. Maras, Etruschi greci fenici e cartaginesi nel mediterraneo
centrale, in “Annali della Fondazione per il Museo Claudio Faina”, Vol. XIV, Orvieto 2007, pp. 420-421.
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romano-cartaginese e, se per la colonia fenicia di Utica non si pongono particolari questioni interpretative, la menzione di Tiro ha costituito oggetto di dibattito.
Da parte di alcuni è stato affermato che la Tiro nominata da
Polibio sia una colonia fenicia in Spagna171 o nell’Africa del
nord172. Hirschfeld173 ha ipotizzato anche un errore nella
tradizione del testo: occorrerebbe sostituire Καρχηδονίων καὶ
Τυρίων καὶ Ἰτυκαίων δήμῳ con Καρχηδονίων υρίων καὶ Ἰτυκαίων δήμῳ ([vi sia amicizia tra i Romani e i loro alleati] e il popolo dei
potenti Cartaginesi e degli Uticensi). Tale teoria si basa sul
modo in cui i Punici sono definiti nel trattato tra Annibale e
Filippo V del 215 a. C., appunto ύ ό. Tuttavia,
Scardigli174nota che il testo corretto da Hirschfeld pone una
difficoltà di natura grammaticale: l’aggettivo ύ è in una
posizione tale da conferirgli la funzione di epiteto. La soluzione più persuasiva risulta essere forse la più semplice, cioè l’identificazione dei Tirii del trattato con gli abitanti della città fenicia sulla costa libanese, madrepatria di Cartagine e della stessa Utica.
4. Inquadramento giuridico del trattato
Come riportato in ordine al primo trattato, il foedus si apre
con la formula “ἐπὶ τοῖσδε φιλίαν εἶναι175” (a queste condizioni ci sia
amicizia…). L’effetto dell’atto, nella redazione del testo
polibiano, è l’instaurazione dell’amicitia tra le parti, cioè di un rapporto di reciproca non-ostilità e di neutralità “benevola”. A
171 A. Movers, Die Phönizier, Bonn 1841, vol. II p. 659.
172 O. Hirschfeld, Die Tyrier in dem 2. Römisch-karthagischen
Vertrag, in Rheinisches Museum für Philologie n. 51, Frankfurt am Main 1896, p. 476.
173 O. Hirschfeld, Tyrier cit., p. 447. 174 B. Scardigli, Trattati cit., pp. 103-104. 175 Polyb. 3.24. 3.
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questo proposito, tuttavia, Salvatore Calderone176 ha
evidenziato una significativa discrepanza terminologica tra Livio e Polibio:
• Polibio parla esclusivamente di amicitia (φιλία)177;
• Livio invece impiega i termini amicitia ac societas178.
La differenza terminologica, che si riflette sull’inquadramento giuridico del trattato, è evidente, ma forse non tale da suffragare le conseguenze che ne trae Calderone, il quale nega recisamente l’identificazione del trattato di cui parla Polibio con quello cui fa riferimento Livio in 7.27.2.: “Stando così le
cose, il trattato ricordato da Livio (7.27.2) per il 348 vulg. a. C., stipulato con gli ambasciatori di Cartagine venuti a Roma
amicitiam ac societatem petentes, non può ragionevolmente
essere identificato né col trattato citato da Polibio in 3.24.1 sgg., né, con altra combinazione, con quello citato da Polibio in 3.22.1 sgg...179”.
Tornando ad amicitia e societas, Polibio si riferisce a un trattato di natura eminentemente commerciale, con aspetti
lato sensu militari rintracciabili nelle interdizioni poste in capo
ai Cartaginesi con riferimento ai territori italici sotto l’influenza di Roma. I termini del secondo foedus romano-
punico180 ricalcano i contenuti del primo181, con una
intensificazione della disparità tra Roma e Cartagine a favore della seconda per quanto concerne il valore politico ed economico delle clausole. Livio parla di amicitia ac societas e,
176 S. Calderone, Livio e il secondo trattato romano-punico in
Polibio, in ίς ά Miscellanea di studi classici in onore di Eugenio Manni, Roma 1980, vol. II, pp. 365-375.
177 Polyb. 3.24.3.
178 Liv. Ab Urbe condita 7.27.2. 179 S. Calderone, Livio cit., p. 373. 180 Polyb. 3.24.1-16.
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se non può che apparire scontato l’accostamento dei due termini poiché non può esservi societas senza amicitia, la prima è formalmente e sostanzialmente diversa dalla seconda: la societas (in greco detta ί da + ά “combattere assieme”) è l’accordo tra Stati che comporta l’obbligo di reciproco aiuto militare; Livio ne scolpisce magistralmente i tratti ricorrendo all’immagine di due popoli con nemici e alleati in comune (“eosdem uterque populus
socios hostesque habet”182). Lo storico patavino, nondimeno, di
frequente usa termini giuridici in accezioni diverse da quella specifica e propria dell’ambito del diritto, come nel caso che, paradossalmente, Calderone adduce come prova della perizia liviana nell’uso dei linguaggi tecnici: il passo in cui si racconta che i Sanniti, chiesta l’amicitia, furono in societatem accepti
dal Senato183. Se, d’altro canto, si rifiutasse l’identificazione
del secondo trattato polibiano con quello di cui fa menzione Livio, si porrebbe il problema di un ulteriore foedus tra Roma e Cartagine da collocare nel tempo e nella dinamica dei rapporti tra le due potenze. Non sarebbe facile giustificare una duplicazione del trattato con il semplice riferimento di Livio alla societas: questi -non se ne abbia! - non era un giurista e non aveva neppure adottato un metodo storiografico caratterizzato da una qualche, pur primitiva, forma di scientificità, come invece fece Polibio. Inoltre, le fonti cui attinse erano costituite principalmente dall’Annalistica romana che decifrava la storia con le categorie della guerra. Livio, insomma, per formazione e indole era interessato soprattutto all’histoire-bataille, ragion per cui era facile per lui fare confusione tra la mera amicitia e la societas, soprattutto nell’ambito dei rapporti tra Romani e Cartaginesi che, ai suoi
182 Liv. Ab Urbe condita 23.35.3. 183 Liv. Ab Urbe condita 7.19.4.
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occhi di uomo del I secolo a. C., erano indelebilmente segnati dallo stigma della guerra.
5. Limiti alla navigazione e clausola generale di circolazione