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Città di Dio e città terrena

1. Agostino e il De civitate dei

Agostino nacque a Tagaste (l’attuale città algerina di Souk Ahras), nel 354. Evitando di ripercorrere la ben nota vicenda biografica del più importante Padre della Chiesa occidentale, è sufficiente ricordare le tappe principali del suo percorso intellettuale: in gioventù seguace del manicheismo, Agostino studiò a Cartagine e divenne un brillante retore alla corte imperiale di Milano tra il 384 e il 387, dove entrò in contatto con la predicazione e il pensiero di Ambrogio. Questi nuovi stimoli lo portarono ad abbandonare il manicheismo per rivolgersi prima al pensiero dei platonici (in particolare Plotino e Porfirio) e infine al cattolicesimo.

Agostino venne battezzato durante la Veglia pasquale del 387, dopo alcuni mesi di ritiro a Cassiciaco, dove compose alcuni dei suoi Dialoghi. Nel 388 rientrò in Africa, nel 391 venne ordinato presbitero a Ippona enel 395 fu eletto vescovo della città, divenendo la voce della Chiesa cattolica nelle controversie religiose in Africa prima contro i donatisti (411), poi

contro pelagiani (tra il 412 e il 418) e infine contro gli ariani (428). Nel 429 i Vandali di Genserico sbarcarono in Africa; l’anno successivo cinsero d’assedio Ippona che venne espugnata nel 431. Agostino morì durante l’assedio il 28 agosto 430, colpito da una febbre.1

Il De civitate dei rappresenta l’opera che impegnò più a lungo Agostino, dal 413 al 427. Fu uno sforzo innanzi tutto apologetico, in difesa della religione cristiana dalle critiche provenienti da diversi ambienti pagani dopo il sacco di Roma del 410. Gli ultimi barbari che erano entrati nell’Urbe come conquistatori erano stati i Galli di Brenno nel 390 a.C., ben otto secoli prima: è quindi comprensibile il fatto che la caduta della città, anche se non più capitale dell’impero e strategicamente ininfluente, avesse suscitato un profondo sconcerto. L’idea che circolava con più insistenza, soprattutto negli ambienti pagani, era che la rovina di Roma fosse da attribuire all’abbandono degli dèi che l’avevano resa grande in favore del cristianesimo. Naturalmente gli apologeti cristiani misero in campo tesi opposte: una città in cui erano ancora molto radicati i culti tradizionali aveva ricevuto un’adeguata punizione, tanto più che i luoghi di culto cristiani, e coloro vi avevano trovato rifugio, erano stati risparmiati:

Qui tamen etiam ipsi alibi truces atque hostili more saevientes posteaquam ad loca illa veniebant, ubi fuerat interdictum quod alibi belli iure licuisset, et tota feriendi refrenabatur inmanitas et captivandi cupiditas frangebatur.2

La prima fondamentale osservazione che deve essere fatta è che Agostino, quando scrisse il De civitate dei, non aveva intenzione di comporre un’opera di storia. La storia è il tema principale dell’opera (in termini moderni si potrebbe parlare di un’opera di filosofia e teologia della storia) ed entro certi limiti è anche una storia, soprattutto nel momento in cui Agostino valuta la storia romana (libri I-V) e traccia le linee di una storia universale (libri XV-XVIII), ma in generale non viene seguito alcun criterio tipico delle opere storiografiche dell’epoca; Agostino fornì ai posteri innumerevoli modelli interpretativi (più o meno aderenti al suo pensiero), ma nel Medioevo il modello di storia universale fu Orosio.3

1 Sulla vita, le opere e il pensiero di Agostino cfr. ALICI Luigi, Agostino Aurelio, in Enciclopedia Filosofica, vol. 1, Milano, Bompiani, 2006, p. 190-210; BROWN Peter, Agostino d’Ippona, trad. di Gigliola Fragnito, Torino, Einaudi, 2005; CATAPANO Giovanni, Agostino, Roma, Carocci, 2010; CIPRIANI Nello, Agostino di

Ippona, in Letteratura Patristica, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2007, p. 38-51; HORN Christoph,

Sant’Agostino, trad. di Paolo Rubini, Bologna, Il Mulino, 2005; SYNAN Edward A., Augustine of Hippo, in

Dictionary of the Middle Ages, vol. 1, New York, Charles Scribner’s Sons, 1982, p. 646-659. Per

un’introduzione al De civitate Dei cfr. O’DALY Gerard, Augustine’s City of God. A Reader’s Guide, Oxford, Clarendon Press, 1999 e VAN OORT Johannes, Jerusalem and Babylon: a study into Augustine’s City of God

and the sources of his doctrine of the two cities, Leiden, E. J. Brill, 1991.

2 Augustini De civitate dei I, 1 (CCSL 47, p. 2): «Anzi, quegli stessi che altrove infierivano feroci e spietati, arrivati in quei luoghi, dove era stato proibito ciò che altrove era permesso dal diritto di guerra, frenavano la mostruosa volontà di uccidere e placavano la bramosia di rapina» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 4-5).

I primi cinque libri del De civitate dei trattano della Roma precristiana. L’atteggiamento che Agostino tiene nei confronti dell’impero romano è per molti versi ambivalente. La sua estensione, potenza e durata non sono dovuti agli dèi pagani, ma alla volontà divina i cui criteri di giudizio restano per noi oscuri; nonostante ciò la condanna nei confronti della storia e dello stato romano è senza appello:

Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parua regna? Manus et ipsa hominum est, imperio principis regitur, pacto societatis astringitur, placiti lege praeda dividitur.4

Il fatto che, per volere divino, quello romano fosse diventato il più grande impero dell’età antica certamente non lo giustifica moralmente, così come non fu per il breve impero di Alessandro Magno:

Nam cum idem rex hominem interrogaret, quid ei videretur, ut mare habere infestum, ille libera contumacia: Quod tibi, inquit, ut orbem terrarum; sed quia id ego exiguo navigio facio, latro vocor; quia tu magna classe, imperator.5

I libri VI-X hanno come argomento la teologia pagana nelle sue componenti, riprendendo le Antiquitates di Varrone, mitica (le divinità dei poeti), fisica (quella dei filosofi) e civile (propria dello Stato).

A Collection of Critical Essays, New York [etc.], Peter Lang, 1995, p. 291-303; BREZZI Paolo, Il carattere ed

il significato della storia nel pensiero di S. Agostino, “Revue des études augustiniennes”, vol. 1 (1955), n. 2,

p. 149-160; CAVALCANTI Elena, L’imperfezione della storia nel De Civitate Dei di Agostino, “Studium”, a. 95 (1999), p. 215-224; CAVALCANTI Elena, “Solacium miserae”: L’imperfezione della storia (De Civ Dei, XIX,

21-27), “Augustinianum”, vol. 35 (1995), n. 2, p. 413428; D’ELIA Salvatore, Storia e teologia della storia

nel “De civitate Dei”, in La storiografia ecclesiastica nella tarda antichità. Atti del convegno tenuto in Erice (3-8 XII 1978), Messina, Centro di studi umanistici, 1980, p. 391-481; FITZGERALD Allan D. - POLLMANN

Karla - VESSEY Mark (edited by), History, Apocalypse and the Secular Imagination. New Essays on

Augustine’s City of God, Bowling Green, Philosophy Documentation Center, 1999; LETTIERI Gaetano, Il

senso della storia in Agostino d’Ippona. Il saeculum e la gloria nel De civitate Dei, Roma, Borla, 1988; LOI

Vincenzo, Il “De civitate Dei” e la coscienza storiografica di Agostino, in La storiografia ecclesiastica nella

tarda antichità. Atti del convegno tenuto in Erice (3-8 XII 1978), Messina, Centro di studi umanistici, 1980,

p. 483-503; Löwith, Significato e fine della storia, p. 185-198; MARKUS Robert A., Saeculum. History and

Society in the Theology of Saint Augustine, Cambridge, Cambridge University Press, 1970; MARKUS Robert A., Storia, in Agostino: dizionario enciclopedico, Roma, Città Nuova, 2007, p. 1339-1342; PETRUZZELLIS

Nicola, La visione agostiniana della storia, “Rassegna di scienze filosofiche”, n. 1, vol. 12 (1959), p. 1-17; SCIACCA Michele Federico, Interpretazione del concetto di storia di Sant’Agostino, Tolentino, Edizioni Agostiniane, 1960; VANNIER Marie-Anne, Storia, filosofia e teologia, in Agostino: dizionario enciclopedico, Roma, Città Nuova, 2007, p. 1342-1344.

4 Augustini De civitate dei IV, 4 (CCSL 47, p. 101): «Se si toglie la giustizia, cosa sono gli Stati se non grandi bande di ladri? D’altra parte, cosa sono le bande di ladri se non piccoli Stati? Anch’essi sono un gruppo di uomini governati dall’autorità di un capo, impegnati in un patto sociale, d’accordo su una legge per dividersi il bottino» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 166).

5 Augustini De civitate dei IV, 4 (CCSL 47, p. 101-102): «Il re lo interrogava chiedendogli il motivo per cui infestava il mare, e quell’uomo con libera arroganza gli disse: “Lo stesso per cui tu infesti il mondo intero. Ma perché io lo faccio con una piccola nave, sono chiamato brigante; perché tu lo fai con una grande flotta, sei chiamato imperatore”» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 166-167).