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L’escatologia cristiana fino all’anno mille

Storia universale ed escatologia

2. L’escatologia cristiana fino all’anno mille

Adottando la divisione proposta da Jean Flori nel saggio La fine del mondo nel

Medioevo, per determinare il momento in cui si compiranno le profezie delle Scritture si

svilupparono due diverse linee interpretative: la cronologia assoluta e la cronologia relativa. La datazione assoluta si basa sui già citati Salmo 90 e Seconda lettera di Pietro: i sei giorni della creazione corrispondono ai seimila anni della storia del mondo. Una volta fissato il momento della creazione l’anno della fine del mondo è quindi il risultato di un semplice calcolo. Le prime testimonianze di questa credenza sono quelle dello Pseudo-Barnaba (prima

22 Ap 17, 7-14.

23 Cfr. Ap 20, 1-10.

24 Ap 20, 11-12

metà del II secolo) e di Ireneo, vescovo di Lione dal 178. Commentando il libro di Daniele, all’inizio del III secolo Ippolito, fissando la creazione nel 5500 a.C., affermò che gli eventi che precedono la Parusia sarebbero avvenuti verso il 500, ma il momento non è certo ed è necessaria l’attenzione per i segni premonitori (una sintesi quindi tra datazioni assoluta e relativa); sulla stessa linea si pose Lattanzio (III secolo). Eusebio di Cesarea, ponendo la creazione trecento anni dopo la datazione di Ippolito, posticipò di conseguenza la fine dei tempi intorno all’anno 800.

L’avvicinarsi delle date previste, e il loro superamento, fu una delle cause del sempre minor uso di questo metodo, che risultava già intrinsecamente debole per la mancanza di reali riscontri esegetici; un’altra causa fu la netta contrarietà di Agostino sull’idea di fissare il momento della fine, ritenuta da molti imminente viste le condizioni di precarietà in cui versava l’impero d’Occidente. La risposta del vescovo di Ippona fu una destoricizzazione delle profezie bibliche, di cui sottolinea invece il valore morale, e la netta separazione tra il destino delle istituzioni terrene e il percorso delle due città mistiche. Questa cronologia assoluta non scomparve con Agostino ma alcuni secoli dopo, quando ci si era resi conto che i seimila anni erano stati sicuramente superati. Nell’XI secolo tramontarono anche le ultime prospettive millenaristiche legate alla durata del “tempo della Chiesa”.

La cronologia relativa si basa invece sull’identificazione dei protagonisti delle profezie, per poterle collocare nella storia, basandosi soprattutto sulla dottrina dei quattro imperi del libro di Daniele e sull’apparizione dell’Anticristo. Datazione assoluta e relativa furono sempre considerate complementari e infatti in tutti gli autori citati finora sono entrambe presenti. L’ultimo impero è quello romano e l’Anticristo sorgerà quando l’impero sarà diviso in vari regni segnando il tramonto di Roma, che fino a quel momento lo ha trattenuto. Vittorino di Petovio, vescovo del III secolo ucciso durante la persecuzione di Diocleziano, nel Commentarii in Apocalypsim Ioannis analizzò i dieci re da cui deve scaturire l’Anticristo: considerando che l’Apocalisse venne scritta sotto Domiziano, lo individua in Nerone, su cui esisteva peraltro una leggenda secondo cui non sarebbe morto nel 69, ma sarebbe invece tornato alla fine dei tempi.26

L’affermazione del cristianesimo con Costantino e i suoi successori cambiò le cose. Alcuni ritennero che con l’impero cristiano si era finalmente instaurato il regno di Dio, molti invece rimasero in attesa ma con un problema in più: se l’ultimo impero era divenuto cristiano perché si sarebbe dovuto indebolire per lasciare spazio all’Anticristo e per essere

26 Agostino nel De civitate dei ritiene questa ipotesi presuntuosa. È invece possibilista sulla corrispondenza tra impero romano e κατέχων paolino, anche se sembra propendere più nell’identificarlo con i malvagi all’interno della Chiesa (cfr. XX, 19). Sui quattro imperi non approfondisce l’argomento e rimanda ai testi di Girolamo, mostrando quindi scarso interesse per questa visione (cfr. XX, 23).

alla fine spazzato via dal regno di Dio? La soluzione fu analoga al quella per le difficoltà con la cronologia assoluta: non interpretare storicamente le profezie.

Mentre Lattanzio mantenne una lettura storicizzante, il primo autore che se ne discostò fu Eusebio che, lodando Costantino descrivendolo quasi come nuovo messia, non poteva affermare che l’impero si sarebbe inevitabilmente disgregato per il compimento delle profezie, che vanno quindi lette in senso spirituale. Meno accondiscendente con il potere fu invece Girolamo che ritenne la fine dell’impero romano non lontana (ma difficile da prevedere) e necessaria perché i tempi possano compiersi, rifiutando il millenarismo. Il sacco di Roma del 410 e lo stanziamento di popolazioni barbariche nell’impero provocarono nuove tensioni escatologiche. Il compito degli storici, a partire da Orosio, fu allora di inserire i nuovi arrivati nel quadro complessivo della storia, enfatizzando la continuità dell’impero di Roma (identificato ormai con la Cristianità) più che la sua dissoluzione. Per una lettura non storicizzante delle profezie si adoperò anche Agostino, percorrendo però un percorso diverso, indipendente dalla continuità o meno dell’impero. Per Agostino inoltre certi eventi narrati nell’Apocalisse sono già avvenuti: la bestia è la città terrena e il millennio, inteso in senso non letterale come un tempo indefinito ma in sé compiuto,27 è il tempo della Chiesa a cui seguirà, dopo la completa predicazione del messaggio cristiano e in un momento che nessuno può prevedere, la fine del mondo e il giudizio finale. L’opera di Isidoro di Siviglia mostra come nel VI secolo, nonostante la cosiddetta fine dell’impero d’Occidente e la formazione dei regni romano-barbarici, questa visione destoricizzata fosse ormai ampiamente affermata.

È anche vero che l’impero romano non era in realtà scomparso ma continuava la sua esistenza in Oriente; anzi, nel VI secolo l’imperatore Giustiniano mise in atto un poderoso piano di riconquista dell’Occidente, dimostrando che l’impero romano era tutt’altro che finito. Nel VII secolo però si affacciò sul mar Mediterraneo la potenza araba, fino a pochi anni prima innocua perché divisa in una miriade di tribù, ma ora unita dalla nuova fede islamica. Guidati dal profeta Maometto e dai suoi successori, i califfi, gli Arabi sfruttarono un impero bizantino sfiancato dalle conquiste in Occidente, dal continuo confronto con l’impero persiano e alle prese con divisioni interne di natura religiosa.28 L’espansione islamica fu molto rapida: all’inizio dell’VIII secolo l’impero d’Oriente era ridotto all’Anatolia, Balcani e alcuni possedimenti nell’Italia meridionale. D’altro canto diverse popolazioni, pur non accogliendo gli arabi come liberatori, allo stesso tempo mal

27 Cfr. Augustini De civitate dei XX, 7.

28 In molte regioni dell’impero era diffusa infatti l’eresia monofisita, che non accettava la doppia natura umana e divina di Cristo, come stabilito dal concilio di Calcedonia del 451. È probabile che inizialmente anche l’islam sia stato considerato un’eresia cristiana come tante altre.

sopportavano la dominazione bizantina che era particolarmente vessatoria sul piano sia economico che religioso. La Cristianità interpretò l’islam come un castigo di Dio, le cui cause furono ovviamente diverse a seconda dell’interprete: in generale, si ritenne che gli arabi verrebbero rapidamente sconfitti se ebrei ed eretici si convertissero. Ma poteva anche sembrare che le profezie si stessero finalmente avverando e che, con la crisi dell’impero, si stesse avvicinando la fine dei tempi. Quando però lo slancio espansivo terminò e poté iniziare la riconquista cristiana dei territori perduti, si aveva a che fare con una realtà ormai organizzata e stabile: la visione dell’islam quindi cambiò. Un’importante eccezione furono alcuni ambienti religiosi spagnoli (i cosiddetti cristiani mozarabi) che si opponevano all’atteggiamento conciliante della Chiesa iberica, considerata apostata, nei confronti del califfato di Cordova. Il più importante rappresentante di questa corrente intransigente fu Eulogio di Cordova, decapitato nell’859 a causa della sua pubblica predicazione antimusulmana: Maometto è un falso profeta, assimilabile all’Anticristo, e la resistenza alla sua falsa religione sarà presto ricompensata alla fine dei giorni. I suoi discepoli portarono avanti questo pensiero, con toni più marcatamente apocalittici. Nella Spagna settentrionale, ancora cristiana, circolarono numerose profezie di liberazione. In Occidente l’islam suscitò minori attese escatologiche, soprattutto quando l’avanzata musulmana si era ormai arrestata e le uniche preoccupazioni erano le azioni di pirateria saracena. Ci furono comunque delle voci fuori dal coro, come la cronaca del franco Fredegario (VII secolo), Agobardo (769-840), vescovo di Lione ma originario della Spagna, e altri scritti che si rifanno più a tradizioni e superstizioni che alle Scritture, sulle cui profezie vigeva la destoricizzazione agostiniana.

Di particolare interesse è il Sermo de regno cantium dello Pseudo-Metodio (prima metà del VII secolo), per la maggior parte rielaborazione della tradizione biblica, che godette di una grande diffusione. Rispetto all’originale, scritto in siriaco, che pone nel 700 circa la sconfitta definitiva dell’islam, nelle versioni latine il tutto è rimandato alla fine del mondo, in un momento indefinito. Fondamentale è la figura dell’ultimo imperatore: sconfitti i popoli di Gog e Magog che assaliranno le nazioni cristiane, il re dei Romani riconquisterà Gerusalemme e, dopo un breve regno, sul Golgota restituirà a Dio la corona; seguirà l’apparizione dell’Anticristo, la conversione degli ebrei e infine la vittoria di Cristo e la fine dei tempi.29

29 SANCTI METHODII EPISCOPI PATERENSIS Sermo de regno cantium et in novissimis temporibus certa demonstratio, in Sibyllinische Texte und Forschungen, ed. Ernst Sackur, Halle, Max Niemeyer, 1898, p. 93: «Et cum apparuerit filius perditionis, ascendit rex Romanorum sursum in Golgatha, in quo confixum est lignum sanctae crucis. In quo loco pro nobis Dominus mortem sustenuit, et tollit rex coronam de capite suo et ponet eam super crucem, et expandit manus suas in caelum et tradit regnum christianorum Deo et patri et adsumetur crux in caelum simul cum coronam regis», trad. «Quando apparirà il Figlio della Perdizione, il re dei Romani salirà sul Golgota dove è stato piantato il legno della Santa Croce. Là Nostro Signore ha

L’idea della fine del “tempo della Chiesa”, il millennio della sesta età, riapparve intorno all’anno mille. Nell’Europa a cavallo tra X e XI secolo alcune visioni millenaristiche circolarono, ma furono credenze perlopiù popolari che trovarono scarsa risonanza negli ambienti più colti che però notarono questi fervori (importanti sono ad esempio le testimonianze di Abbone di Fleury, Rodolfo il Glabro e Sigeberto di Gembloux): a conferma della scadenza del millennio venivano osservati numerosi eventi astronomici e le incursioni normanne, saracene e ungare potevano essere assimilate all’assalto di Gog e Magog. Questi segni apocalittici erano comunque molto deboli: i Normanni già all’inizio del X secolo si stabilirono nel regno franco entrando nelle vicende politiche europee; gli Ungari vennero sconfitti da Ottone I nel 955 e, stabilitisi nell’attuale Ungheria, furono cristianizzati; già prima dell’anno mille non c’erano più basi saracene sulla sponda settentrionale del Mediterraneo. Sul “fatidico” anno mille, come d’altronde un po’ per tutta la storia, la verità non sta in nessuno degli estremi:

Non si riesce ad individuare alcun terrore paralizzante, alcuna disperazione accecante, alcuna rappresentazione mortificante. […] I «terreurs de l’an mil» devono essere cancellati dalla storia, ma non però l’attesa sempre più preoccupata di una reale conflagrazione cosmica, che può avere inizio forse persino nell’anno 1000, non la paura collettiva alimentata da una sciente incertezza di fronte a un declino che incomincia «adesso».30

Di quel periodo è degno di nota il De ortu et tempore Antichristi di Adsone (910 ca.-992),31 monaco di Montier-en-der, che compose l’opera poco dopo il 950 su richiesta di Gerberga, sorella di Ottone I. Si tratta di una raccolta di immagini già note: l’Anticristo nascerà tra gli ebrei, risiederà a Babilonia e successivamente, al culmine della persecuzione contro i cristiani, a Gerusalemme dove ricostruirà il Tempio ponendovi il suo trono; sarà adorato dagli ebrei fino a quando Enoch ed Elia, rimandati da Dio sulla terra, non li convertiranno, prima di perire anch’essi durante la persecuzione; Cristo infine tornerà e sconfiggerà l’Anticristo sul monte degli Ulivi; seguirà, dopo un tempo non specificato, il giudizio finale. L’Anticristo verrà solo dopo la fine dell’impero romano, in linea con la

conosciuto la morte per noi, e il re leverà la corona dalla sua testa e la deporrà sulla Croce. Alzerà le mani verso il cielo e rimetterà il regno dei cristiani a Dio Padre, e la Croce sarà portata in cielo con la corona del re» (trad. da Flori, La fine del mondo, p. 86-87).

30 FRIED Johannes, L’attesa della fine dei tempi alla svolta del millennio, in L’attesa della fine dei tempi nel

Medioevo, trad. di Elvira Magro, p. 84. Un classico sull’argomento è il tentativo di lettura psicologica delle

attese escatologiche, più o meno sentite, a livello sia popolare che colto-ecclesiastico attorno all’anno mille e della “nuova primavera” che investì l’Europa una volta passata la scadenza del millennio che Georges Duby compie nel saggio L’An Mil basandosi sulle testimolianze letterarie di quel periodo (cfr. DUBY Georges,

L’Anno Mille. Storia religiosa e psicologia collettiva, trad. di Liliana Zella, Torino, Einaudi, 1976 [ed. orig. L’An Mil, Paris, Julliard, 1967]). Cfr. anche Cantarella, Una sera dell’anno Mille, p. 229-262; LANDES

Richard, Anno Mille, in Dizionario Enciclopedico del Medioevo, vol. 1, Roma, Città Nuova, 1998, p. 95-96.

31 ADSO DERVENSIS De ortu et tempore Antichristi. Necnon et tractatus qui ab eo dependunt, ed. Daniel Verhelst, Turnhout, Brepols, 1976 (CCCM 45).

tradizione dei quattro imperi universali: Adsone nota che l’impero, nel momento in cui scrive, è travagliato da numerosi conflitti ma non è prossimo alla fine, e non azzarda parallelismi con la divisione in dieci regni del libro di Daniele e dell’Apocalisse. È presente invece la profezia dell’ultimo imperatore, che per Adsone sarà un re franco.