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Il lungo regno di Federico Barbarossa

Federico, nato intorno al 1120 probabilmente a Waiblingen, era in vario modo imparentato con tutte le principali famiglie tedesche: il padre Federico l’Orbo era duca di Svevia, lo zio materno Enrico era duca di Baviera e in seguito acquisì anche il ducato di Sassonia, lo zio paterno Corrado divenne re di Germania, la nonna paterna Agnese era figlia dell’imperatore Enrico IV e moglie del margravio d’Austria Leopoldo III, la nonna materna Wulfhild apparteneva alla famiglia dei Billung di Sassonia.24

Dell’infanzia e della giovinezza di Federico non si sa quasi nulla. Divenne duca di Svevia, con il nome di Federico III, nel 1147 e nello stesso anno partì per la crociata assieme allo zio. Nel 1152 Corrado III, a cui era rimasto un solo figlio ancora fanciullo, designò Federico suo erede: il duca di Svevia rappresentava la scelta migliore in quel periodo travagliato perché i suoi legami familiari si traducevano nell’unione delle dinastie guelfa e ghibellina fino a quel momento in lotta per il potere. Il 4 marzo 1152, dopo la morte di Corrado, si riunì una dieta a Francoforte:

Ubi cum de eligendo principe primates consultarent, […] tandem ab omnibus Fridericus Suevorum dux, Friderici ducis filius, petitur cunctorumque favore in regem sublimatur.25

Il 9 marzo Federico venne incoronato re di Germania ad Aquisgrana nella Cappella Palatina.

24 Sul regno di Federico I e sui rapporti tra papato e impero nel secolo XII cfr. APPELT Heinrich, Christianitas

und Imperium in der Stauferzeit, in La cristianità dei secoli XI e XII in Occidente: coscienza e strutture di una società. Atti della ottava Settimana internazionale di studio. Mendola, 30 giugno - 5 luglio 1980,

Milano, Vita e Pensiero, 1983, p. 26-44; CARDINI Franco, Il Barbarossa, Milano, Mondadori, 1985; CARLYLE

Robert W. e Alexander J., Federico I e il papato, in Il pensiero politico medievale, vol. 2, Le dottrine

politiche dal decimo al tredicesimo secolo, trad. di Sergio Cotta, Roma-Bari, Laterza, 1959, p. 517-539;

FOREVILLE Raymonde - ROUSSETDE PINA Jean, Storia della Chiesa, vol. 9/2, Dal primo Concilio Lateranense

all’avvento di Innocenzo III, trad. di Antonio Gazzera, Torino, Editrice S.A.I.E., 1974; MANSELLI Raoul -RIEDMANN Josef (a cura di), Federico Barbarossa nel giudizio dei suoi contemporanei, in Federico

Barbarossa nel dibattito storiografico in Italia e in Germania, Bologna, Il Mulino, 1982, p. 45-81; MUNZ

Peter, Frederick I Barbarossa, in Dictionary of the Middle Ages, vol. 5, New York, Charles Scribner’s Sons, 1985, p. 212-214; PÉCOUT Thierry, Federico I Barbarossa (1122-1190), in Dizionario Enciclopedico del

Medioevo, vol. 2, Roma, Città Nuova, 1998, p. 706-708.

La situazione tedesca era tutt’altro che tranquilla e per i primi due anni Federico si adoperò per pacificare il regno. Al cugino Enrico il Leone venne restituito il ducato di Baviera che Corrado gli aveva sottratto, subentrando a Enrico di Babenberg che in compenso ricevette la marca austriaca eretta a ducato.

Nell’autunno del 1154 Federico scese per la prima volta in Italia. A Roncaglia, presso Piacenza, venne convocata una dieta a cui parteciparono il marchese di Monferrato, sostenitore del re, e i rappresentanti di molti comuni. Federico ascoltò le lamentele e le richieste dei presenti e in particolare delle molte città che cercavano di opporsi all’espansionismo di Milano. Ciò che importava a Federico era però la restituzione degli

iura regalia, i diritti regi che le città nel tempo avevano fatto propri; il sovrano forse non

comprese a pieno il peso ormai assunto dalle realtà comunali, con i loro statuti e organi di governo.

Il 24 aprile 1155 Federico cinse a Pavia la corona ferrea di re d’Italia: Peracta victoria rex a Papiensibusad ipsorum civitatem triumphum sibi exhibituris invitatur, ibique ea dominica qua Iubilate canitur in aecclesia sancti Michahelis, ubi antiquum regnum Longobardorum palatium fuit, cum multo civium tripudio coronatur.26

Partì poi per Roma, dove la situazione era incandescente a causa della ribellione popolare guidata da Arnaldo da Brescia. Adriano IV, l’inglese Nicholas Breakspear eletto papa alcuni mesi prima, si appellò al giovane sovrano per ristabilire l’ordine nell’Urbe, come stabilito tre anni prima con gli accordi di Costanza tra Corrado III ed Eugenio III.27 Adriano sapeva bene che questo aiuto gli sarebbe costato qualche concessione al re sulla Chiesa tedesca, ma vista la situazione non aveva molta scelta. In maggio Federico passò per Bologna dove entrò in contatto con lo studio giuridico: fu un incontro fecondo perché il diritto romano da poco riscoperto costituì la base su cui si fondarono le rivendicazioni imperiali degli anni successivi.28

26 Ottonis et Rahewini Gesta II, 27 (MGH SS rer. Germ. 46, p. 132).

27 Il trattato di Costanza del 23 marzo 1153, negoziato da papa Eugenio III e Corrado III e ratificato da Federico I, succeduto nel frattempo allo zio, prevedeva l’impegno da parte del sovrano tedesco di riportare il papa a Roma e, da parte di entrambe le parti, di non concludere nessuna pace con i repubblicani romani e con i Normanni e scacciare definitivamente i Bizantini dalla penisola italiana.

28 A conferma dell’alleanza che si instaurò tra Federico e l’ambiente giuridico bolognese, l’imperatore emanò nel 1155 la Costituzione Habita per tutelare i professori e gli studenti che si recavano a insegnare e studiare a Bologna che spesso erano oggetto, in quanto stranieri, di vessazioni, rappresaglie e ingiusti trattamenti economici. Lo studio di Bologna era tenuto in grande considerazione da Federico per il supporto giuridico che il diritto giustinianeo, in particolare l’interpretazione della lex regia de imperio con cui il popolo romano conferì al principe tutti i poteri: Irnerio riteneva la lex regia alienazione totale, definitiva e irrevocabile per cui qualunque consuetudine contraria alla legge emanata dal sovrano è priva di efficacia. Con la vittoria de Comuni a Legnano (1176) e la pace di Costanza (1183) anche le interpretazioni dei civilisti cambiarono a favore della possibilità di derogare con le consuetudini le leggi dell’imperatore.

Imboccata la via Francigena Federico giunse infine alle porte di Roma. Adriano aveva scagliato l’interdetto e la situazione prima di Pasqua, in una città che traeva molti dei suoi guadagni dai pellegrini, era divenuta insostenibile e il 23 marzo Arnaldo era stato scacciato. Per Federico fu semplice farlo catturare: alla fine di giugno Arnaldo venne giustiziato, il corpo bruciato e le ceneri sparse nel Tevere. Adriano liberò infine Roma dall’interdetto.

Dopo aver rifiutato la proposta di ricevere la corona imperiale dal popolo di Roma,29

sabato 18 giugno 1155 Federico venne incoronato a San Pietro. Sull’altra sponda del Tevere c’era però molta agitazione e infatti sia il papa che l’imperatore lasciarono la città. Nel 1156 Federico tornò in Germania e Adriano, rimasto solo, dovette scendere a patti con i Normanni, riconoscendo Guglielmo I re di Sicilia ma contravvenendo al trattato di Costanza. Solo due anni dopo l’incoronazione, gli accordi tra papa e imperatore erano lettera morta. Alla dieta di Besançon il papa inviò una lettera a Federico per comunicargli dell’accordo con i Normanni in cui l’uso del termine beneficium era facilmente interpretabile nei termini di una gerarchia a favore del pontefice: vista la cura con cui all’epoca si faceva uso dei termini che caratterizzavano i rapporti feudali, è probabile che questo incidente diplomatico, che ebbe come protagonisti l’arcicancelliere Rainaldo di Dassel e il legato pontificio Rolando Bandinelli, fosse voluto. L’anno seguente arrivò il chiarimento ufficiale da parte del papa che, momentaneamente, risolse la questione.

Nel 1158 Federico valicò per la seconda volta le Alpi e si confrontò con Milano, riuscendo a piegarla. L’11 novembre nuovamente a Roncaglia si tenne una dieta del regno d’Italia. Il rapporto con i giuristi bolognesi e con il diritto romano diede i suoi frutti perché Federico pretese la restituzione di tutti i diritti regi che non potevano decadere per il solo fatto di essere venuti meno nella pratica: l’elezione di duchi, conti e marchesi, la nomina dei consoli cittadini, l’amministrazione della giustizia, il diritto di battere moneta, la riscossione di pedaggi, tasse doganali e altri diritti fiscali, il fodro (la tassa dovuta in occasione del transito del sovrano), tutte prerogative che sarebbero state poi necessariamente delegare a signori e città, ma la cui fonte da tutti riconosciuta doveva essere l’imperatore. Le città, alcune perché erano state sconfitte, altre per paura di esserlo presto e altre preferendo la sperabilmente lontana tutela imperiale all’ingombrante presenza milanese, accettarono le decisioni di Roncaglia: Federico vinse, ma i nuovi equilibri non durarono a lungo. In quel periodo ai vertici della corte imperiale se ne andarono diversi “moderati”, come Anselmo di Havelberg, Wibaldo di Stavelot e Ottone di Frisinga, lasciando campo libero al gruppo più intransigente, guidato da Rainaldo di Dassel.

Nel 1160, dopo sei mesi di assedio, Crema venne distrutta e due anni dopo toccò a Milano, entrambe per non aver accettato i decreti di Roncaglia: fu l’apice della potenza di Federico. Nel frattempo Adriano IV era morto e il 7 settembre 1159, in una contestatissima elezione, divenne papa, con il nome di Alessandro III, quel Rolando Bandinelli che Federico aveva conosciuto a Besançon, fermo sostenitore della linea inaugurata da Gregorio VII. Un gruppo di cardinali, più vicini alle posizioni imperiali, aveva però eletto Ottaviano Monticelli con il nome di Vittore IV. Federico, che non aveva responsabilità dirette nello scisma, ne cavalcò l’onda appoggiando Vittore confermandolo papa nel febbraio 1160 a un concilio tenutosi a Pavia. Alessandro, com’era da aspettarsi, non partecipò all’assise, condannando Federico scomunicandolo il 23 marzo; la partecipazione al concilio fu in effetti scarsa e nei fatti il tutto si risolse in un fallimento: «Scenae theatralis haec species est, potius quam reverendi imago concilii»30 commentò Giovanni di Salisbury scrivendo a Randolfo de Serris, contestando nella stessa lettera la pretesa di Federico di avere il diritto di governare la Chiesa:

Universalem Ecclesiam quis particularis Ecclesiae subjecit judicio? Quis Teutonicos constituit judices nationum? Quis hanc brutis et impetuosis hominibus auctoritatem contulit, ut pro arbitrio principem statuant super capita filiorum hominum?31

Alessandro si rivelò essere il peggior nemico dell’imperatore: attorno alla sua figura si coagulò la galassia comunale per far fronte comune contro il Barbarossa, appellativo che comparve in Italia anche in ricordo del precedente Rubeus Nerone; in onore del papa, e in spregio alle prerogative regie, nel 1168 venne fondata alla confluenza dei fiumi Tanaro e Bormida la città di Alessandria. La diplomazia imperiale fece di tutto per attirare i sovrani europei alla causa vittorina, ma l’idea di essere solo pedine sullo scacchiere di Federico fece propendere i re di Francia e d’Inghilterra per Alessandro, così come i sovrani e le Chiese d’Ungheria, Castiglia, Aragona e della Terra Santa crociata. Anche diversi prelati tedeschi, pur confermando la fedeltà all’imperatore, non nascosero la loro preferenza per il Bandinelli. Dopo aver risolto diversi problemi in patria, nel 1163 Federico tornò in Italia con l’obiettivo di conquistare il regno normanno. Il 20 aprile 1164 Vittore IV morì a Lucca: poteva essere un’ottima occasione per risolvere lo scisma, ma i “falchi” della corte imperiale, primo fra tutti il cancelliere Rainaldo, spinsero per l’elezione di un nuovo papa. Il 22 aprile venne eletto Guido da Crema, uno dei principali sostenitori dell’elezione di Vittore IV, con il

30 JOANNIS SARESBERIENSIS Epistola LIX ad Randulfum de Serris, de electione romani pontificis Alexandri (MPL 199, col. 41d).

nome di Pasquale III. Federico, che non era stato informato, non poté fare altro che ratificare il colpo di mano.

Diverse città venete in aprile si allearono nella Lega veronese, trasgredendo le decisioni di Roncaglia, imitando alcune città lombarde che avevano giurato nel 1159 di non trattare la pace con l’imperatore senza il consenso di papa Alessandro: Federico, dopo aver tentato invano di spegnere sul nascere questo incendio, dovette tornare in Germania, dove lo scisma non stava aiutando a mantenere calma la situazione. Mentre il conflitto tra Luigi VII di Francia ed Enrico II d’Inghilterra nel 1165 sembrava portare il secondo verso un appoggio a Pasquale, nella dieta di Würzburg Federico intraprese una linea molto dura contro la Chiesa tedesca di fedeltà alessandrina puntando al totale controllo ecclesiastico. In questa chiave va letta la propagandistica canonizzazione di Carlo Magno del Natale 1165. La popolarità del sovrano carolingio dissuase Alessandro III dal condannare l’atto, anche se nello stesso anno poté consolarsi con il rientro a Roma grazie all’aiuto normanno. Nonostante nel nord della Germania fosse ormai guerra civile tra Enrico il Leone, capofila della fazione guelfa, e una coalizione composta da numerosi signori della regione, nell’ottobre 1166 l’imperatore si rimise in viaggio per l’Italia.

Obiettivi della nuova campagna erano ancora una volta la conquista del regno di Sicilia e la cacciata di Alessandro da Roma per insediarvi Pasquale. Sulla strada per il Mezzogiorno Federico venne informato che nella pianura Padana era rivolta generale: le città, stanche delle continue richieste ed esazioni imperiali, il 7 aprile 1167 a Pontida (secondo la tradizione) si accordarono per ricostruire le mura di Milano, segno di alleanza e concordia tra le città.

L’imperatore risolse prima la questione romana costringendo Alessandro alla fuga dopo una serie di trattative fallite: il 30 luglio Pasquale III entrò in San Pietro, ma la vittoria si mutò in tragedia quando scoppiò un’epidemia, forse di peste o di malaria. Il 6 agosto l’esercito imperiale, levate le tende e con il morale di chi appare sconfitto da una punizione divina, lasciò Roma conducendo al sicuro Pasquale nella fedele Viterbo. La peste si portò via diversi uomini chiave, tra cui Rainaldo di Dassel, arcicancelliere del regno d’Italia, già sostituito nel ruolo di cancelliere dell’impero da Cristiano, arcivescovo di Magonza.

Il 21 settembre a Pavia Federico emanò contro le città ribelli il bando imperiale, ma servì a poco: il 1° dicembre la Lega veronese e quella cremonese si fusero in una sola, la Lega lombarda, con regole e istituzioni proprie. Il Barbarossa, di fronte a un tale schieramento, dovette ripiegare in Germania in attesa di tempi migliori affrontando nel frattempo le questioni tedesche in sospeso, in particolare quella con Enrico il Leone il cui

comportamento, in politica sia interna che estera, era simile a quello di un re. Nel frattempo, nel settembre 1168, a Pasquale III era succeduto il monaco Giovanni di Strumi con il nome di Callisto III; la posizione del papato filoimperiale non era mai stata così debole, mentre Alessandro III contava sempre più sostenitori.

Nel 1174 Federico scese in Italia per regolare una volta per tutte i conti con i comuni, trovando però una situazione ben peggiore di come l’aveva lasciata: la Lega lombarda raccoglieva ormai moltissime città e Milano, risorta in pochi anni, ne era leader incontrastato; Normanni e Bizantini avevano rafforzato le rispettive posizioni; infine papa Alessandro godeva di un appoggio universale.

L’assedio di Alessandria, simbolo della sfida lanciata dai comuni, durò sei mesi e la città non cadde. I rinforzi attesi per l’inverno furono scarsi, anche per la mancata assistenza di Enrico il Leone. Il 29 maggio 1176 presso Legnano si giunse infine allo scontro aperto: l’esercito imperiale fu sconfitto e inizialmente sembrò che anche Federico fosse caduto in battaglia; lo scontro non fu poi così rilevante, ma il colpo al prestigio del Barbarossa, fino a quel momento sempre vittorioso sul campo, fu durissimo.

L’imperatore dovette correre ai ripari per arginare il disastro, e la fortuna questa volta gli sorrise: papa Alessandro premeva perché lo scisma fosse chiuso al più presto; nella Lega, una volta sconfitto il nemico comune, iniziavano a sorgere i primi inevitabili malumori tra città in passato spesso nemiche; i Bizantini, di fronte all’avanzata turca, rivolgevano poche attenzioni verso la Penisola. Ad Anagni si svolsero i preliminari di una pace che venne stipulata ufficialmente il 24 luglio 1177 a Venezia, ponendo fine allo scisma che durava da diciotto anni: Federico tornava finalmente a essere defensor ecclesiae. Se sul piano militare il Barbarossa aveva perso, vinse su quello diplomatico: il papa, riconciliandosi con l’imperatore (senza peraltro consultare gli alleati), si sganciò di fatto dalla Lega lombarda al cui interno stavano tornando alla luce i vecchi rancori e conflitti. Nel 1181 Alessandro III morì. La pace con i comuni italiani venne stipulata due anni dopo, nel 1183, a Costanza: nella forma fu una concessione, da parte del benevolo imperatore, ai sudditi italiani; nella sostanza fu una vittoria dei comuni, anche se sicuramente ottennero meno di quanto avrebbero potuto l’indomani di Legnano.

Federico, rientrato in Germania nel 1178, giunse alla resa dei conti anche con l’eterno rivale Enrico il Leone ottenendo a una serie di diete la condanna del cugino: essendo Enrico duca di Sassonia e Baviera, la sua destituzione comportò di fatto una riorganizzazione di tutto il regno tedesco. Altra vittoria politica fu il matrimonio del figlio Enrico con Costanza

d’Altavilla, figlia di Ruggero II di Sicilia: il nipote Federico II realizzò alcuni decenni dopo il sogno del Barbarossa di annettere all’impero l’Italia meridionale.

Giunta in Occidente la notizia della caduta di Gerusalemme, il 27 marzo 1188 alla dieta imperiale di Magonza (una Curia Jesu Christi) l’ormai vecchio imperatore decise di prendere la croce. La pace (seppur precaria) raggiunta nell’impero, il desiderio di tornare dopo quarant’anni in Terra Santa, la convinzione che fosse sacro dovere dell’imperatore difendere la Chiesa contro gli infedeli e le profezie della prossima fine dei tempi con lo scontro tra l’Anticristo e l’ultimo imperatore furono forse i motivi che lo spinsero a intraprendere, quasi settantenne, il lungo pellegrinaggio per Gerusalemme che terminò prematuramente in Asia Minore: Federico morì infatti il 10 giugno 1190 annegato nel fiume Salef (l’attuale Göksu). Questa morte improvvisa fece molta impressione (recando non poco sollievo al Saladino che temeva Federico) e rafforzò l’immagine mitica del Barbarossa, tanto che si diffuse la diceria secondo cui l’imperatore non sarebbe morto, bensì addormentato in un luogo inaccessibile in attesa della fine dei tempi, quando tornerà per guidare la Cristianità nell’ultima battaglia contro le forze del male.