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Città di Dio e città terrena

2. Il percorso delle due città

Il libro XI apre la seconda parte del De civitate dei, in cui Agostino tratta l’origine delle due città (XI-XIV), il loro percorso storico (XV-XVIII) e il loro fine (XIX-XXII). L’elemento centrale di questa parte è la dualità che caratterizza tutta la storia del mondo, un’idea molto forte perché risulta essere totalmente dipendente dalla volontà e dalla grazia divina.

La prima netta separazione avvenne subito dopo la creazione, quando alcuni angeli abbandonarono Dio e vennero privati della loro beatitudine, non potendo più redimersi, mentre quelli che rimasero fedeli persistono nella loro condizione di sapienza e felicità.6 Le due società in cui sono divisi gli angeli rispecchiano e prefigurano le due città a cui appartengono anche gli uomini.

Prima di affrontare il tema della storia, Agostino deve trattarne altri a esso propedeutici. Innanzi tutto il tempo, rigettando con forza la visione ciclica, tipica del pensiero antico, a favore di una storia lineare dalla creazione al giudizio finale.7 Segue poi il problema del peccato che non fa parte della natura né del diavolo né degli uomini, perché ogni natura proviene da Dio e il male non è una natura, ma è corruzione di una natura essenzialmente buona. La presenza del male non è un elemento “sfuggito” all’ordinamento divino ma è parte di esso.8 Non meno importanti sono i temi della natura umana, intermedia tra gli angeli e le bestie, e del peccato originale, perché anche la caduta dell’uomo rientra nel disegno divino.9 Infine il tema della grazia, il gratuito intervento di Dio che salva l’uomo; senza di essa, dopo il peccato originale, l’uomo sarebbe irrimediabilmente destinato alla dannazione.

Dopo queste premesse, nel libro XIV Agostino può spiegare come due comunità umane derivino da due diversi modi di vivere, secondo la carne e secondo lo spirito. Vivere secondo la carne è vivere secondo l’uomo, allo stesso modo del diavolo (il corpo non è colpevole del peccato10); il vero destino dell’uomo è però vivere secondo Dio, condizione di

6 Cfr. Augustini De civitate dei XI, 11–13.

7 Cfr. Augustini De civitate dei XI, 14-21. Se tutto torna a ripetersi non esiste una vera speranza di una felicità futura. L’errore di coloro che sostengono la visione ciclica consiste nel misurare la mente divina con la mente umana pensando che Dio non possa essere capace di concepire tutto senza ricorrere alla ciclicità. La principale critica mossa contro i sostenitori della storia “lineare” era il fatto che non era possibile che Dio a un certo punto potesse, con una nuova idea, creare tutto dal nulla come se disapprovasse la sua precedente inattività. Ma le idee con cui Dio opera non sono nuove bensì eterne, ed è un errore l’affermare un’inattività di Dio, perché prima della creazione non si può parlare di un tempo. In una visione ciclica una volta raggiunta la felicità si dovrebbe inevitabilmente tornare nell’infelicità, e una volta tornati nell’infelicità essa sarebbe maggiore di prima. Si giunge all’assurda conclusione che si sarebbe felici quando si è infelici (sperando nella breve felicità futura) ed infelici quando si è felici (sapendo di ricadere presto nell’infelicità).

8 Cfr. Augustini De civitate dei XI, 18.

9 Cfr. Augustini De civitate dei XII, 28.

cui è stato privato a causa del peccato originale, pena severa ma giusta.11 La grazia gratuitamente concessa da Dio, senza la quale tutto il genere umano sarebbe destinato alla dannazione, ne permette invece la salvezza di una parte. L’umanità è quindi, come gli angeli, divisa in due:

Fecerunt itaque civitates duas amores duo, terrenam scilicet amor sui usque ad contemptum Dei, caelestem vero amor Dei usque ad contemptum sui.12

I membri del genere umano possono appartenere quindi a due città: alla città terrena, che avrà fine l’ultimo giorno, o alla città di Dio, che sarà veramente se stessa solo dopo l’ultimo giorno. L’amore è un sentimento comune ma la sua direzione è diversa: da una parte l’amore “orizzontale” di sé, dall’altra l’amore “verticale” verso Dio. Per ora, e fino a quando esisterà questo mondo, le due città sono mescolate e non è possibile distinguere gli appartenenti all’una o all’altra; permixtio, non confusio: in Dio non esistono dubbi su chi sarà salvato e chi sarà dannato.13

Con il libro XV ha inizio la narrazione della storia delle due città, o meglio di quella celeste, perché Agostino in generale si disinteressa delle vicende che non riguardano la storia biblica della salvezza.

La nascita delle due città in questo mondo è segnata dal fratricidio di Abele da parte di Caino,14 ma è con il figlio Enoch che ebbe inizio la storia profana con la fondazione della prima città.15 Set, terzogenito di Adamo ed Eva, raccolse l’eredità di Abele e non fondò alcuna città ma visse come pellegrino sulla terra, mantenendo in vita la vera e genuina natura umana in mezzo a un mare di corruzione e malvagità.

Gli altri snodi fondamentali della storia della salvezza, di cui Agostino sottolinea il significato cristologico, sono il diluvio e Noè, la cui arca simboleggia Cristo e la Chiesa,16

peccati primi est causa sed poena; nec caro corruptibilis animam peccatricem, sed anima peccatrix fecit esse corruptibilem carnem», trad. «Infatti, la corruzione del corpo che appesantisce l’anima non è la causa, ma la pena del primo peccato; e non fu la carne corruttibile a rendere peccatrice l’anima, bensì l’anima peccatrice a rendere corruttibile la carne» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 789-790).

11 Cfr. Augustini De civitate dei XIV, 26.

12 Augustini De civitate dei XIV, 28 (CCSL 48, p. 451): «Due amori hanno fatto due città: l’amore di sé fino al disprezzo di Dio ha fatto la città terrena, l’amore di Dio fino al disprezzo di sé ha fatto la città celeste» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 840).

13 Cfr. RATZINGER Joseph, Popolo e casa di Dio in sant’Agostino, trad. di Antonio Dusini, Milano, Jaca Book, 1971, p. 282-283: «La distinzione fondamentale delle due comunità, in quanto si muovono sulla terra, è che la civitas Dei qui è straniera, attende e spera oltre a sé, la civitas terrena qui è a casa propria e si accontenta della realtà che è quaggiù».

14 Cfr. Gen 4.

15 Cfr. Augustini De civitate dei XV, 5. Così come la prima città nacque indirettamente da un fratricidio, anche Roma nacque analogamente con Romolo e Remo. In questo contesto come un luogo malvagio, di allontanamento dell’uomo dalla natura creata da Dio; la massima distanza venne raggiunta con la torre di Babele, da cui deriva Babilonia, simbolo della città terrena (Cfr. Gen 11, 1–9).

Abramo, con cui si compie la prima Alleanza fra Dio e il suo popolo,17 Mosè e la prima Pasqua in cui compare il simbolo dell’agnello. Giunto al periodo dei re Agostino mette in parallelo la storia del popolo di Dio e gli stadi della vita di un uomo: fino al diluvio l’infanzia, da Abramo a Davide l’adolescenza, poi la giovinezza.18 Con la divisione del regno dopo Salomone iniziò il tempo dei profeti, fino a Giovanni il Battista.

Allo sviluppo della città terrena è dedicato il solo libro XVIII. È lo stesso autore a indicare la secondarietà di questa storia, rinunciando coscientemente a una narrazione esaustiva:

Nunc ergo, quod intermiseram, video esse faciendum, ut ex Abrahae temporibus quo modo etiam illa cucurrerit, quantum satis videtur, adtingam, ut ambae inter se possint consideratione legentium comparari.19

L’asse portante della storia profana è il rapporto Babilonia-Roma, con Abramo che nacque durante il regno assiro di Nino:

Abraham igitur in eo regno apud Chaldaeos Nini temporibus natus est. Sed quoniam res Graecae multo sunt nobis quam Assyriae notiores, et per Graecos ad Latinos ac deinde ad Romanos, qui etiam ipsi Latini sunt, temporum seriem deduxerunt qui gentem populi Romani in originis eius antiquitate rimati sunt: ob hoc debemus, ubi opus est, Assyrios nominare reges, ut appareat quem ad modum Babylonia, quasi prima Roma, cum peregrina in hoc mundo Dei civitate procurrat; res autem, quas propter comparationem civitatis utriusque, terrenae scilicet et caelestis, huic operi oportet inserere, magis ex Graecis et Latinis, ubi et ipsa Roma quasi secunda Babylonia est, debemus adsumere.20

17 Cfr. Augustini De civitate dei XVI, 15-24 e Gen 15. La discendenza da Abramo però non è solo nella carne perché Abramo divenne padre nella fede di tutti i popoli, preannunciando l’universalità della salvezza di Cristo.

18 Cfr. Augustini De civitate dei XVI, 43.

19 Augustini De civitate dei XVIII, 1 (CCSL 48, p. 593): «Vedo perciò di dover riprendere a questo punto quanto avevo interrotto, ed esporre per quel tanto che basti anche il cammino dell’altra città a partire dai tempi di Abramo, affinché la riflessione dei lettori le possa confrontare l’una con l’altra» (Sant’Agostino, La

città di Dio, trad. it. cit., p. 1046). Si può anche ipotizzare che il disinteresse per la storia profana fosse

dovuto anche a limiti culturali di Agostino, che conosceva poco il greco e che, probabilmente molto impegnato dalle attività legate alla dignità episcopale, non aveva più approfondito questi temi dal soggiorno milanese (cfr. D’Elia, Storia e teologia della storia, p. 405-406).

20 Augustini De civitate dei XVIII, 2 (CCSL 48, p. 594): «Abramo dunque nacque in questo impero al tempo di Nino presso i Caldei. È vero però che a noi la storia dei Greci è molto più nota di quella degli Assiri, e coloro che hanno ricostruito le più remote origini della stirpe del popolo romano hanno stabilito la successione cronologica attraverso i Greci fino ai Latini e quindi ai Romani, che sono anch’essi Latini. Perciò, dov’è necessario, dobbiamo parlare dei re assiri, perché si veda in che modo Babilonia, quale prima Roma, si sviluppi insieme alla città di Dio pellegrina in questo mondo. I fatti invece da inserire in quest’opera, per consentire il paragone tra le due città, la terrena e la celeste, dobbiamo desumerli prevalentemente dai Greci e dai Latini, dove si trova la stessa Roma, quale seconda Babilonia» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 1048).

La città terrena si incarna nei grandi imperi dell’Antichità, molti dei quali entrarono in contatto con il popolo d’Israele: l’Egitto, gli imperi babilonese e assiro, l’impero macedone di Alessandro Magno e infine Roma, la seconda Babilonia.21 Essi sono retti dalla sete di dominio e di potere dei popoli che li fecero sorgere. La loro prospettiva è “orizzontale”: essi guardano ai soli beni di questo mondo che vengono divinizzati, così come divinizzati furono spesso anche degli uomini (gli eroi e i fondatori), inganno dei demoni che portano ad adorare falsi dei.22 Anche il regno d’Israele finì per somigliare a questi regni pagani, soprattutto dopo la divisione e la conquista da parte delle potenze straniere, da cui scaturirono un Israele “nella carne” e un Israele “nello spirito”.23

Con l’Incarnazione Dio in prima persona intervenne per redimere l’umanità dalla corruzione del peccato: la nuova alleanza, suggellata non dal sangue degli animali sacrificati ma dal sangue di Cristo stesso, venne allargata, partendo dal popolo ebraico, a tutte le nazioni della terra perché, secondo il disegno divino, entrassero a far parte della nuova casa di Dio, non più fatta di mattoni (il tempio di Salomone) ma fatta di uomini, la Chiesa

Universale.24

La Chiesa per Agostino è sempre esistita, formata dagli angeli rimasti fedeli a Dio e dai pochissimi giusti che hanno preceduto Cristo: in questo senso la Chiesa, formata da coloro che già godono dei beni eterni, è la città di Dio.25 Altra cosa è la Chiesa pellegrina sulla terra, presente in una mescolanza di buoni e cattivi, secondo l’immagine evangelica della rete, che raccoglie tutto senza distinzioni.26 Essa si è diffusa in tutto il mondo civilizzato, favorita anche dall’unificazione del mondo conosciuto operata da Roma (elemento comunque non necessario),27 nonostante le tante persecuzioni (che anzi l’hanno

21 È importante sottolineare che la città terrena non si identifica con gli imperi antichi, che sono come una sua rappresentazione sulla terra; a questo proposito Ratzinger sottolinea che «se Roma è civitas terrena, in ogni caso si tratta solo di una civitas terrena, non della civitas terrena in quanto tale. Questa si estende piuttosto oltre i confini non solo dello spazio umano, bensì anche oltre quelli del tempo umano, cioè oltre la storia, fino all’inizio della creazione» (Ratzinger, Popolo e casa di Dio, p. 281). Sul rapporto Babilonia-Roma commenta: «Infatti come Roma è la seconda Babilonia, Babilonia è la prima Roma. Queste due si porgono reciprocamente la mano e mostrano il persistere dell’unica identica civitas che trova così in Babilonia la propria incarnazione e rappresentazione» (Ratzinger, Popolo e casa di Dio, p. 283).

22 Cfr. Augustini De civitate dei XVIII, 18.

23 Augustini De civitate dei XVII, 7 (CCSL 48, p. 568): «De qua re non dubito intellegendum esse quod sequitur: Et dividetur Israel in duo; in Israel scilicet inimicum Christo et Israel adhaerentem Christo; in Israel ad ancillam et Israel ad liberam pertinentem», trad. «Perciò non ho dubbi su come bisogna intendere ciò che segue: E Israele sarà diviso in due; e cioè l’Israele nemico di Cristo e l’Israele unito a Cristo; l’Israele che appartiene alla serva e l’Israele che appartiene alla libera» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 1010).

24 Cfr. Augustini De civitate dei XVIII, 45.

25 Cfr. Augustini De civitate dei XVI, 2 (CCSL 48, p. 500): «ad Christum et eius ecclesiam, quae civitas Dei est», trad. «a Cristo e alla sua Chiesa, che è la città di Dio» (Sant’Agostino, La città di Dio, trad. it. cit., p. 912).

26 Cfr. Augustini De civitate dei XVIII, 49 e Gv 21, 10-11: «Disse loro Gesù: “Portate un po’ del pesce che avete preso ora”. Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò». Cfr. anche Mt 13, 47-50.

rafforzata grazie al sangue dei martiri) e le discordie interne, e continuerà a vivere fino all’ultima persecuzione, quella dell’Anticristo, che è preludio alla fine dei tempi e all’affermazione definitiva della Gerusalemme celeste. Questa Chiesa non è propriamente la città celeste, anche se la prefigura e la rappresenta: non tutti coloro che ne fanno parte sono infatti predestinati alla vita eterna; gli uomini non possono però conoscere questi disegni divini, per cui l’unità della Chiesa (contro l’idea donatista di una “Chiesa dei giusti”) va preservata con ogni mezzo possibile.28