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Presupposti teorici dell’ironia

5. Ai limiti dell’ironia

La sfera d’azione dell’ironia sembra dunque appartenere a un ambito tanto serio e ponderato, quanto leggero e impulsivo, anche se l’enunciato ironico viene generalmente associato all’idea di falsità, di doppiezza, di gioco (pensiamo alle due diverse situazioni di dialogo, in cui un interlocutore chiede a un altro: “Stai scherzando?”, mentre l’altro risponde: “ –No, lo dico seriamente”, oppure: “Stai parlando sul serio?”, “–No, lo dico ironicamente”). E se una certa nota di austerità è indiscutibile, questa deve risiedere non solo in contesti che, la maggior parte delle volte, non possono essere ignorati nel discorso ironico, ma anche in forme espressive specifiche, che riporteranno di volta in volta a una maggiore o minore incidenza dell’elemento serio o, piuttosto, dell’elemento scherzoso. La metafora e l’allegoria, si relazionano, per esempio, all’ironia meno briosa, poiché sono figure retoriche che ricorrono all’antitesi e alla contraddizione, non invece all’accostamento comparativo di immagini o parole. In termini generali, possiamo affermare che l’ironia, nella sua complessa articolazione semantica, è in grado di affiancare una varietà di figure e strumenti espressivi, accomunati sempre, però, dal principio denominatore del “contrasto”; potrà esistere, in questo senso, una metafora ironica, nel momento in cui l’immagine che in essa si cela rimanda a un concetto antinomico, o un’allegoria ironica, in cui il significato nascosto che sta dietro il livello denotativo del linguaggio riporta, anch’esso, a un’idea di contraddizione.

Schoentjes ribadisce, in ogni caso, che “desde mediados del siglo XX, la ironía ha sido considerada por una parte importante de la crítica anglosajona como un recurso serio”97; ciononostante, le forme in cui essa si esprime e, spesso, si

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confonde, vanno ben oltre questo esclusivo ambito di applicazione e trovano, in molti casi, sottili affinità con la satira, la comicità, il sarcasmo e la parodia.

I.5.1. La satira

Alla definizione di ironia si associano, dunque, altri meccanismi – non solo linguistici – tesi a criticare figure e ambienti legati al contesto culturale e sociale; la satira è uno di questi e il suo legame con l’ironia risale a tempi piuttosto remoti, quando già nella letteratura greca, pur non esistendo ancora come genere letterario specifico, era possibile riscontrare in questo strumento di espressione un deciso taglio polemico e moralistico.98 I caratteri specifici della satira sono da ritrovarsi, perciò, nella sua volontà di demolire le convenzioni, formali e contenutistiche, della cultura dominante (i suoi bersagli sono spesso, infatti, personaggi della vita pubblica), attraverso una sostanziale agilità e vivacità stilistica, tanto nella produzione poetica, quanto in quella teatrale e narrativa. L’atteggiamento aggressivo e contestatore si manifesta in varie forme: la critica può rimanere implicita e mascherata, ma raggiungere, in altri casi, anche toni di

98 Pensiamo, per esempio, alle Silli di Senofane di Colofone, che mettevano in ridicolo le imperfezioni e le credenze popolari del tempo, ma anche ai giambi di Archiloco, alle polemiche di Ipponatte e, in genere, alla produzione a carattere filosofico; esempi di satira sociale e politica si ritrovano, invece, nella commedia greca, soprattutto negli scritti di Aristofane. Nell’antichità romana nasce il genere satirico vero e proprio grazie ai lavori di Lucilio, Orazio e Giovenale, in cui domina sempre la tendenza a criticare i vizi e i comportamenti della società contemporanea. I medesimi contenuti vengono ripresi anche nel Medioevo, quando la satira tende a manifestarsi soprattutto attraverso la simbologia allegorica (ogni animale rappresenta difetti e pregi dell’uomo), come accade, per esempio, nell’Ecbasis captivi (sec. X) e nell’Ysengrinus; occasioni di satira polemica si avranno, in ogni caso, non solo in ambito morale, bensì anche per questioni legate alla politica e alla società (per citarne alcuni esempi: la Meditazione della morte (1150−60) di Heinrich von Melk, il Roman de la Rose (sec. XII), i fabliaux (sec. XII) di Rutebeuf, il Libro de buen amor (sec. XIV) di J. Ruiz, le cantigas d'escarnho (canti di scherno) e le cantigas de maldizer (canti di maldicenza), appartenenti alla lirica portoghese e spagnola; toni satirici sono riscontrabili, invece, negli scritti politici dei trovatori provenzali o nelle poesie di Guittone d'Arezzo, Dante, Petrarca e Boccaccio. L’impronta etico-religiosa caratterizza certamente tutta la produzione della satira in epoca medievale, soprattutto durante gli anni della riforma luterana, mentre si ritornerà a temi prettamente letterari durante l’età umanistico-rinascimentale. Il Seicento riprende di nuovo il genere, ma è soprattutto in ambito spagnolo che si raggiungono gli esiti più interessanti, come nei

Sueños (1627) di Francisco de Quevedo. Il trionfo della ragione che domina il Settecento illuminista sfuma i contorni della satira come genere e la recupera prevalentemente come gesto polemico legato a una maggiore libertà espressiva; durante il Romanticismo essa si sgancia ulteriormente dalla caratterizzazione di genere e viene spesso affiancata, in maniera confusa, all’ironia e alle forme del grottesco. Nel secolo scorso, la satira ha circoscritto il suo raggio d’azione soprattutto in ambito giornalistico, mentre alcune opere genericamente satiriche possono essere individuate nei lavori di B. Brecht, G. B. Shaw, C. E. Gadda e V. Brancati. Per maggiori dettagli, si rinvia a AA.VV., Enciclopedia della letteratura, Milano, Garzanti, 19973, pp. 950−952.

39 più marcata polemica o di attacco violento; in linea di massima, l’obiettivo rimane sempre quello di rimettere in discussione l’ordine costituito. La satira si configura, inoltre, come un genere ibrido, composito, che mescola la comicità a elementi più seri e sovrappone l’imitazione della realtà alla distorsione deforme e innaturale del mondo.

La critica moderna si è interessata alla fisionomia della satira in varie occasioni: Walter Benjamin, oltre ad affermare che “[…] il satirico è la figura sotto cui l’antropofago fu accolto dalla civiltà”99, distingue l’attendibilità e la schiettezza di chi scrive satire come risultato della propria libertà espressiva − vale a dire lo scrittore autenticamente satirico – dall’ipocrisia e il servilismo che caratterizza, invece, colui che si pone al servizio delle forze del potere. Michail Bachtin definisce, invece, la satira come la versione “carnevalesca” della realtà, l’espressione autonoma e irriverente del linguaggio; chi sceglie la formula satirica, secondo il critico russo, decide di rappresentare e far emergere la doppiezza del mondo, rendendo qualsiasi affermazione relativa e dubbia.100 Contrariamente allo stile e al linguaggio propri della letteratura “seria”, in cui ogni asserzione non racchiude in sé se non l’esplicita e certa verità, nella satira si cela sempre la “voce dell’altro”, una verità altra, che, comunque sia, non ha lo scopo di imporsi come verità assoluta, bensì quello di presentare il mondo anche sotto una diversa, dissacrante, luce. Northrop Frye è dell’ipotesi, infine, che la satira si sia originata dalla demistificazione dell’eroe e che si riveli attraverso procedimenti di distanziamento dalla realtà rappresentata, al solo fine di burlarsi delle certezze acquisite dalla società; il discorso satirico presenta, in questa prospettiva, delle diversità rispetto all’ironia: “Irony is consistent both with complete realism of content and with the suppression of attitude on the part of the

99 Walter BENJAMIN, Avanguardia e rivoluzione: saggi sulla letteratura, Torino, Einaudi, 1973, p. 120.

100 Michail BACHTIN, L'opera di Rabelais e la cultura popolare: riso, carnevale e festa nella

tradizione medievale e rinascimentale, a cura di Mili Romano, Torino, Einaudi, 2001, p. 8. Parlando dei riti comici e degli spettacoli carnevaleschi diffusi nel Medioevo, Bachtin aggiunge: “Tutte queste forme, organizzate sul principio del riso, presentavano una differenza estremamente netta, di principio di potrebbe dire, rispetto alle forme di culto e alle cerimonie ufficiali serie della chiesa e dello stato feudale. Esse rivelavano un aspetto completamento diverso del mondo dell’uomo e dei rapporti umani, marcatamente non ufficiale, esterno alla chiesa e allo stato; sembravano aver edificato accanto al mondo ufficiale un secondo mondo e una seconda vita, di cui erano partecipi, in misura più o meno grande, tutti gli uomini del Medioevo […]. Tutto ciò aveva creato un particolare dualismo del mondo […]”.

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author. Satire demands at least a token fantasy, a content which the reader recognizes as grotesque, and at least an implicit moral standard, the latter being essential in a militant attitude to experience”.101 La satira, dunque, critica e ridicolizza, ha generalmente un contenuto etico e si pone come obiettivo quello di ricondurre il proprio messaggio a una logica morale precisa: “[…] its moral norms are relatively clear, and it assumes standards against which the grotesque and absurd are measured”102; quando l’ironia, nel suo “dire tra le righe”, assume una disposizione essenzialmente interrogativa, la satira richiama in causa, invece, regole morali precise e definite, che contrastano con le infinite possibilità interpretative che sono proprie del discorso ironico. In questo senso, la satira annulla il relativismo ironico, risulta meno ludica e tende, generalmente, non tanto a “suggerire” e a “insegnare”, quanto piuttosto a “giudicare” e “distruggere”. E se l’ironico “puede ser crítico, pero cuando lo es, se expresa al menos en una cierta comunión de espíritu con su víctima […]”, chi ricorre alla satira è “un juez que no teme encargarse de la faena del verdugo, pues a veces ejecuta sin piedad a sus víctimas”.103

I.5.2. Il sarcasmo e il cinismo

La specificità del termine “sarcasmo” viene dal suo etimo greco “mordere la carne”, che mette immediatamente in risalto il carattere violento e aggressivo proprio di questa scelta espressiva, una sorta di “ironia tagliente” che percorre però vie meno raffinate e che non sempre hanno una stretta relazione con il dire

101 Northrop FRYE, Il mythos dell’inverno: ironia e satira, in Anatomy of Criticism: Four Essays (1957), Princeton University Press, 1971, p. 224 (“L’ironia è compatibile soltanto con un assoluto realismo di contenuto e con l’eliminazione di ogni presa di posizione manifesta da parte dell’autore. La satira richiede almeno un minimo di invenzione fantastica, cioè un contenuto che il lettore riconosca come grottesco, e almeno una norma morale implicita, che è essenziale in una presa di posizione militante nei confronti del mondo dell’esperienza”, trad. it. di Paola Rosa-Clot e Sandro Stratta, Anatomia della critica, Torino, Einaudi, 2000, pp. 298−299). Cfr., in relazione al tema, anche Gilbert HIGHET, The anatomy of satire, Princeton (N. J.), Princeton University Press, 1962.

102 FRYE, op. cit., p. 223 (“[…] le sue norme morali sono relativamente chiare, ed essa presuppone delle regole in base alle quali giudicare il grottesco e l’assurdo”, FRYE, Anatomia della critica, cit., p. 298).

41 ironico.104 L’atteggiamento critico che contraddistingue il sarcasmo è certamente più diretta e incisiva, può raggiungere a volte anche l’esplicita offesa e l’irrisione più velenosa, proprio perché tende a manifestarsi in termini più indelicati, inequivocabili e talvolta animosi; Jankélévitch, a tal proposito, sottolinea che il sarcasmo è ben lontano da quel principio “correttivo” che abbiamo individuato come elemento essenziale dell’ironia: “[…] lo scopo dell’ironia non era di lasciarci macerare nell’aceto dei sarcasmi, né dopo aver massacrato tutti i fantocci, di drizzarne uno al loro posto, ma di ripristinare ciò senza di cui l’ironia non sarebbe nemmeno ironica: uno spirito innocente e un cuore ispirato”.105 Manca dunque al sarcasmo qualsiasi prerogativa positiva poiché il suo obiettivo è quello di colpire e mortificare l’interlocutore, il quale è, in ogni caso, sempre fisicamente presente; mentre, infatti, l’ironia può agire anche in assenza del soggetto al quale punta, così non avviene per il sarcasmo, che non può sussistere senza uno scontro diretto con il proprio bersaglio.

“I cinici sono coscienze infelici”106, sostiene ancora Jankélévitch, mentre definisce il cinismo come “un’ironia frenetica […] che si diverte a sbalordire […] per puro piacere; è il dilettantismo del paradosso e dello scandalo”107, e ciò conferma che anche lo stile comunicativo che lo contraddistingue si muove nella sfera dell’espressione seria, ostile, aggressiva. Il cinismo tende a devastare e a non proporre alternative, è simbolo di un egoismo sfrenato e che si compiace nel seminare annichilimento e confusione:

Il cinismo gioca il tutto per tutto: sfidando morale e logica, rivendica apertamente proprio quel che gli si rimprovera; il “cinico” vuole essere canaglia e adotta la politica del peggio. Il malvagio […] si trova a suo agio nella propria malvagità e si compiace di sé. […] Cinico sarà […] chi dice ad alta voce ciò che molti pensano in segreto, e chi non cerca più di salvare le apparenze.108

Mentre, dunque, incontreremo nelle pagine dei romanzi di Delibes alcuni spunti che si avvicinano al tono e agli schemi comunicativi propri del sarcasmo

104 Il Dizionario etimologico della lingua italiana (Manlio CORTELAZZO e Paolo ZOLLI, Bologna, Zanichelli, 1999) precisa che il sarcasmo è una: “ironia amara e pungente mossa da animosità verso qualcuno”, p. 1439.

105 Vladimir JANKÉLÉVITCH, L’ironie, Paris, Alcan, 1936; citiamo dalla trad. italiana L’ironia, Genova, Il melangolo, 1987, p. 145.

106 Ivi, p. 93.

107 Ivi, p. 23.

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(in ogni caso presenti solo all’interno dei dialoghi tra i personaggi), il cinismo, radicale e lacerante, risulta sostanzialmente assente perché troppo lontano dai fondamenti ideologici e dalla preoccupazione etica che animano, al contrario, l’umanità della scrittura delibiana.

I.5.3. Il pastiche e la parodia

Elemento caratteristico della letteratura postmoderna, il pastiche si contraddistingue per “l’accostamento straniante di parole di diverso livello o registro o anche codice, con effetti espressionistici, parodistici, satirici”109 ; si tratta però di una tecnica, per lo più imitativa, che viene spesso utilizzata anche in termini intertestuali, quando chi ricorre a questa mescolanza linguistica intende ricalcare lo stile di un autore, tanto per rendergli omaggio (o, in altri casi, per plagiare la sua opera), quanto per evidenziarne limiti e anomalie. Se l’obiettivo è dunque quello di mettere in evidenza l’eccellenza di una scrittura – che avverrà in maniera diretta ed evidente − il rapporto tra pastiche e ironia non ha ragione di esistere, in quanto non c’è alcuna volontà di contraddire o criticare l’opera in questione. Quando, invece, il pastiche si trasforma in un’imitazione che sottolinea possibili manchevolezze stilistiche di un autore o rimarca alcune costanti giudicate ridondanti ed eccessive, il risvolto ironico è facilmente ottenibile: in questo caso, ci si imbatte soprattutto nelle figure retoriche dell’iperbole110 e dell’antifrasi, che esaltano, senza mezze tinte, i difetti del proprio bersaglio: “Al pastiche no le interesan los matices, su ironía es simplificadora y utiliza la

109 Angelo MARCHESE, Dizionario di retorica e di stilistica, cit., p. 235. Per una definizione più dettagliata del termine cfr. Gerard GENETTE, Palimpsestes. La littérature au second degré (1982), trad. it.: Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Torino, Einaudi, 1997: “Il termine pastiche appare in Francia alla fine del XVIII secolo nel vocabolario della pittura. Si tratta di un calco dell’italiano pasticcio, parola che designa dapprima una mescolanza di varie imitazioni, poi un’imitazione specifica”, p. 97; Andrea BERNARDELLI, Intertestualità, Firenze, La Nuova Italia, 2000: “La tecnica letteraria del pastiche, in generale, consiste nell’imitazione di uno stile di scrittura compiuta attraverso la ripresa di stereotipi e di clichés espressivi. […] Il pastiche ludico, o

pastiche propriamente detto, consiste […] nella riproduzione complessiva di un modello stilistico. L’imitatore in questo caso si appropria di uno stile, e si fa creatore di un testo secondo il modello espressivo e formale in suo possesso. Il pastiche è dunque una forma di ri-creazione di opere ipertestuali secondo lo stile di un autore, «nello stesso modo» in cui l’autore imitato l’avrebbe scritta”, pp. 87−88.

110 Sulla natura e le particolarità dell’iperbole, cfr. Flavio RAVAZZOLI, Morire dal ridere in un

mare di lacrime: l´iperbole. Ovvero il meccanismo linguistico dell´esagerazione, in Retorica e

43 antífrasis cuando, so pretexto de magnificar a un autor, lo que hace es mostrar sus defectos”.111

Diverso è il caso della parodia112, certamente meno esplicita, e in cui l’oggetto da colpire non è più linguistico, bensì essenzialmente un testo, un personaggio o un tema specifico. Si ha dunque parodia quando l’azione imitativa avviene in termini ironici, per sottolineare non solo la distanza rispetto al modello, ma anche la sua rimessa in discussione, che ne comporta l’inevitabile rovesciamento. Jankélévitch è dell’opinione che la parodia sia una versione “grossolana” di ironia; un’ironia che “scimmiotta sempre ‘qualcuno’, la maniera o lo stile di qualcuno […]. In particolare, la parodia smisurata non ha intenzioni recondite: puramente negativa, assume della vittima solo il modo di parlare, l’abito o la smorfia, per suscitare il riso alle spalle; è più commediante che filosofessa; è una rozza ironia, ilare e cinica […]”.113 L’arguzia parodica richiede, in ogni caso, sempre il riferimento a un’immagine, che verrà a sua volta ricreata secondo schemi rovesciati e contrapposti all’originale, il che presuppone un minimo di incontro dialogico con il modello di riferimento. Non solo: l’opera – o il soggetto – che viene ripreso, dovrebbe poter godere di una fama pregressa, di una conoscenza diffusa da parte del pubblico, per permettere il riconoscimento di quei caratteri che vengono, attraverso la parodia, rimaneggiati e stravolti.

Parodia e satira − che non vengono considerati, oggigiorno, come un genere a sé114 (nonostante ci siano autori che scrivono in prevalenza opere a

111 SCHOENTJES, op. cit., p. 197.

112 Relativamente alle specificità della parodia ci rimettiamo qui, in particolare, agli studi di GENETTE, Palimpsestes, cit. e all’articolo di Linda HUTCHEON, L’estensione pragmatica della

parodia, in Dialettiche della Parodia, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1997, pp. 75−96 (tit. originale: The Pragmatic Range of Parody, in Linda HUTCHEON, A Theory of Parody. The

Teachings of Twentieth-Century Art Forms, New York and London, Methuen, 1985, pp. 50−68). Cfr. anche, della stessa autrice : Ironie et parodie, cit. ed Ironie, satire, parodie, cit.

113 JANKÉLÉVITCH, op. cit., p. 83.

114 Nell’antichità la parodia rappresenta un particolare componimento letterario che, con fine burlesco, rimaneggia un’opera già in circolazione. Nella letteratura greca si ricordano, per esempio, le parodie di Omero o i rimaneggiamenti teatrali dello stile tragico che propone Aristofane nelle sue commedie. Tra i latini, Lucilio imita, parodiandolo, lo stile ricercato di Ennio e Pacuvio, ma numerose saranno anche le parodie indirizzate al genere epico. Tra Medioevo, Rinascimento e Barocco, si ricordano i lavori di Teofilo Folengo, che parodia la bucolica umanistica, e i molti poemi eroicomici italiani, che giocano con il linguaggio manierista dell’epoca. Il Settecento punta il dito contro le specificità del teatro e del romanzo sentimentale, mentre nella letteratura contemporanea la parodia tende a confinarsi nella scrittura goliardica e giornalistica. Qualche significativo esempio di letteratura parodica si ritrova in James Joyce e Carlo Emilio Gadda.

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carattere parodico) − appartengono a quella categoria di sinonimi con i quali spesso ci si riferisce genericamente all’ironia, per il solo fatto che con essa condividono l’aspetto comico; in realtà, l’ironia ne costituisce solo l’elemento unificante: “In quanto tropo, l'ironia è centrale nel funzionamento sia della parodia che della satira”115, sostiene Linda Hutcheon; nel suo A Theory of Parody la studiosa ritiene che la parodia sia una forma di imitazione inversa,

[…] in its ironic “trans-contextualization” and inversion, is repetition with difference. A critical distance is implied between the backgrounded text being parodied and the new incorporating work, a distance usually signaled by irony. But this irony can be playful as well as belittling; it can be critically constructive as well as destructive. The pleasure of parody’s irony comes not from humor in particular but from the degree of engagement of the reader in the intertextual “bouncing” […] between complicity and distance. 116

L’ironia diventa, in questo senso, parte integrante della parodia:

L’ironie et la parodie […] opèrent toutes deux sur deux niveaux, un niveau de surface primaire en premier plan, un niveau secondaire et implicite en second plan. Ce dernier niveau, dans les deux cas, tire sa signification du contexte dans lequel il se trouve. La signification ultime et ironique ou parodique réside dans la superposition des deux niveaux, dans une sorte de double exposition (au sens photographique du terme) textuelle.117

In linea generale, possiamo dunque concludere che il termine “parodia” viene solitamente impiegato per definire quelle particolari forme di ironie che hanno carattere intertestuale e che, riprendendo sotto varie forme (allusione, citazione, riscrittura) un modello, contribuiscono a potenziarne il valore e la popolarità.