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I bersagli dell’ironia delibiana

Il volto ironico di Miguel Delibes

3. I bersagli dell’ironia delibiana

Attraverso l’analisi dei singoli testi, dei contenuti e delle forme assunte dall’ironia delibiana è possibile cogliere, quali sottoinsiemi di questa, tipi caratteristici e ricorrenti.

L’atteggiamento ironico di Delibes ha origine più istintiva che acquisita: vive di quella sostanziale immediatezza che appartiene ad un popolo e si manifesta nell’enfasi posta sull’aggettivo possessivo dallo stesso autore, quando afferma che Enrique Jardiel Poncela va considerato come il “renovador genial de nuestro teatro y de nuestro humor”.129 Non marginale la specificità caratteriale di Delibes, da sempre incline – come confermano le numerose voci da noi interrogate – alle arguzie del linguaggio. Se, infatti, Fernández Flórez riconosce che “hay […] razas o pueblos que tienen una disposición o capacidad para el humor”130, Gustavo Pittaluga pone l’accento sull’ironia come elemento di natura, legato ad un ambiente, un popolo o a distinte individualità:

Entre las formas diversas de la actividad del espíritu humano hay algunas tan personales, que no parecen atributos de la generalidad, sino más bien expresiones

anche Ramón BUCKLEY, Problemas formales en la novela española contemporánea, Barcelona, Península, 1968, 19732, pp. 133–135.

128 Per maggiori dettagli relativamente all’utilizzo delle diverse tecniche narrative, alla specificità della lingua e dello stile delibiani, rimettiamo al già citato articolo di Medina-Bocos, Claves para

leer a Miguel Delibes, art. cit.

129 DELIBES, Un año de mi vida, cit., p. 190. Il neretto è nostro.

130 Wenceslao FERNÁNDEZ FLÓREZ, El humor en la literatura española, in Obras completas, Madrid, Aguilar, 1945, p. 994.

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reveladoras de alguna facultad o inclinación nativa e ingénita de uno u otro individuo. Así ocurre con la ironía. […]

[…] no todos los hombres son capaces de esgrimir la ironía. Esta modalidad específica de sentir las cosas, esta aptitud del espíritu para percibir a un tiempo y definir en forma adecuada y sutil lo bueno y lo malo de los hechos humanos, parece peculiar de algunas personas, o de ciertos tipos de sociedades, o de momentos determinados de la vida colectiva del hombre.131

Quando Stefano Floris, nel suo saggio dedicato all’ironia, si interroga sulla possibile identità del soggetto ironico, riconosce che essa nasce da una condotta critica del singolo, ma che non è mai fine a se stessa; chi sceglie di fare ironia si allontana da un modello, da un sapere consolidato, ne evidenzia gli aspetti deboli ma senza opporvi un neutra o arbitraria distanza. Delibes, in effetti, mette in luce, con la propria scrittura, un certo distacco rispetto a determinate contingenze, ma la sua è soprattutto un’ironia “simpatica” e discreta; precisa, a tal proposito, sempre Floris: “[…] ciò che ci sembra essenziale conservare dell’ironia è la sua capacità di mantenersi simpatica, in virtù del fatto che non dovrebbe mai schierarsi e mai imporsi, bensì solo educatamente e gentilmente sfiorare, accarezzare con dubbio.”132 Delibes, come tanti altri scrittori che scelgono il taglio ironico per la propria letteratura, maschera la propria “distanza” o la applica in termini puramente formali, mentre ciò che lo contraddistingue è piuttosto la volontà di un proficuo e costante dialogo con il prossimo; egli dimostra di essere, in questo senso, quello che Floris definisce un “buon ironista”: “L’atteggiamento propriamente ironico dovrebbe […] stabilire una relazione […] appagante tra l’individuo e la realtà e tra l’individuo e se stesso. L’ambiguità dell’ironia è […] un’incertezza che la costringe al rapporto continuo con se stessa e con la realtà”.133

L’autonomia di pensiero e la coerenza ideologica che sono propri di Delibes conducono anche a un altro aspetto che ci suggerisce ancora Floris e che riteniamo essere prerogativa del nostro autore: si tratta dell’ironia come espressione di libertà e sinonimo di trasparenza, quella stessa ironia che Enrique Vila-Matas, nel suo París no se acaba nunca, definisce come “la forma más alta

131 Gustavo PITTALUGA, El vicio, la voluntad, la ironía, Madrid, Clásica española, 1928, pp. 147– 148.

132 FLORIS, op. cit., p. 28.

97 de sinceridad”.134 Se Delibes è ironico è perché crede nella propria libertà espressiva e ritiene che questa debba comunque manifestarsi, anche quando scaturisce da un’urgenza di contestazione; e se le circostanze non gli permettono di essere totalmente e apertamente sincero, l’ironia rappresenta un ancoraggio sempre efficace e comunque tollerabile: “il soggetto libero” – aggiunge Floris – è il soggetto che non si allontana definitivamente dal mondo, ma vi scorre, vi scivola sopra. È un bravo nuotatore che non si oppone alla corrente, ma serenamente la sfrutta”.135

L’artificio ironico rende il messaggio, scritto o orale che sia, essenzialmente aperto, e ciò implica la possibilità che vi si attribuiscano tante interpretazioni quanti sono i destinatari del messaggio stesso. Delibes affronta apertamente la questione in un saggio del 1982, Novela divertida y novela

interesante, in cui chiarisce che: “[…] ciertas novelas pueden ser comparadas a esos cuadernos infantiles donde el lápiz del artista apenas delimita unos contornos para que los pequeños destinatarios coloreen los espacios en blanco a su capricho, lo que quiere decir que parte de la narrativa actual se distingue por la potenciación de la sugerencia y la eliminación de lo obvio”.136 È evidente, dunque, il ruolo attivo attribuito al fruitore dell’opera, che è chiamato a completare quei segnali che l’ironia può solo vagamente accennare, senza mai difendere una posizione piuttosto che un’altra.

Delibes è certamente un gran maestro della “sugerencia” e tra i suoi bersagli è possibile individuare alcune occorrenze fondamentali: lo sono, per esempio, la critica a ogni forma di guerra e di violenza, percepibile non solo nei romanzi, ma anche in molti dei suoi scritti giornalistici: “La guerra […]” – sostiene l’autore – “no está en nuestros genes y, consecuentemente, no es un suceso fatal, sino prevesible y remediable. […] Lo malo es que los hombres corrientes y molientes nos empeñamos en demostrar lo contrario”.137 Delibes rifiuta la guerra propriamente detta, quella che gli “antepasados” di Pacífico vorrebbero imporre come un credo esistenziale; rifiuta la guerra contro le

134 Enrique VILA-MATAS, París no se acaba nunca, Barcelona, Anagrama, 2003, p. 47.

135 FLORIS, op. cit., p. 36.

136 Miguel DELIBES, Novela divertida y novela interesante, in Obras completas, vol. VI. El

periodista. El ensayista, Barcelona, Destino, 2010, p. 303.

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ideologie e l’eterogeneità dei partiti politici, il che si traduce nella critica all’imposizione censoria (“[…] la diferencia” – sostiene Delibes – “entre el antes y el después de la Ley de Prensa estriba para mí en que «antes» no te dejaban preguntar, y «después» sí pero no te responden, de forma que en cualquier caso la posibilidad de diálogo se va a paseo”138), a ogni forma di autoritarismo, come quello franchista o quello, più moderno e ad ampio raggio, rappresentato dell’imperialismo americano e ruso: “La invasión americana de Laos, como ayer la invasión rusa de Checoslovaquia, demuestran que en el mundo actual únicamente los grandes tienen derecho a la guerra. Dos no riñen si uno (USA o URSS) no quiere, pero uno riñe (USA o URSS) si uno (USA o URSS) le da la gana”.139

Ma Delibes è ironico anche quando rivisita, criticamente, caratteri, costumi e usi del proprio popolo:

El español siempre ha jugado a polarizarse en los extremos. Antes que afirmar, niega; antes que esto, es antiaquello. En su posición dialéctica no cabe la posibilidad de comprender el adversario, cuando menos la de que éste le convenza. Y si frente a aquél nada pueden sus razones, apela a las voces; el caso es imponer su criterio como sea y, por supuesto, sin escuchar antes.140

È ironico quando ritorna, con regolare frequenza, ad altri temi a lui cari, come quelli del progresso:

[…] el desarrollo exige que la vida de estas cosas sea efímera, o sea, se fabriquen mal deliberadamente, supuesto que el desarrollo del siglo XX requiere una constante renovación para evitar que el monstruoso mecanismo se detenga. Yo recuerdo que antaño se nos incitaba a comprar con insinuaciones macabras cuando no aterradoramente escatológicas: «Este traje lo enterrará usted», «Tenga por seguro que esta tela no la gasta». Hoy no aspiramos a que ningún traje nos entierre, en primer lugar porque la sola idea de la muerte ya nos estremece y, en segundo, porque unas ropas vitalicias podrían provocar el gran colapso económico de nuestros días.141

Di una straordinaria leggerezza è l’articolo quasi surrealista El hombre que llovía

demasiado142, in cui Delibes ironizza sul tema della distruzione dell’ambiente naturale, così come parimenti mordaci sono le sue osservazioni relativamente alla

138 Ivi, p. 194.

139 Ivi, p. 217.

140 DELIBES, Sobre las cosas de la vida, in Obras completas, vol. VI. El periodista. El ensayista, cit., p. 83.

141 DELIBES, El sentido del progreso desde mi obra, cit., p. 179.

99 povertà del mondo castigliano, soprattutto quello rurale, diventati solo il “símbolo de la estrechez, el abandono y la miseria”.143

E se la stessa letteratura e lo stesso mestiere di scrittore vengono riconsiderati alla luce deformante dell’ironia (rimettiamo, per esempio, all’articolo

La difícil vida del escritor144o ai significativi commenti dell’autore contenuti in

Vivir della pluma: “[…] cuando a mí me preguntan si es factible en España vivir de la pluma, tenga que responder honradamente que esto, como en todo país, depende de la demanda; o sea, que las palabras que estampamos apasionadamente en una cuartilla vienen sometidas a las mismas leyes económicas que los garbanzos”145; non risultano immuni al ribaltamento ironico nemmeno le grandi questioni trascendentali, come quelle legate al trascorrere inesorabile del tempo (“Cuando yo era joven, el otoño era mi estación predilecta; ahora que yo otoñeo, me agrada la estación más joven, la primavera […]”146), all’inevitabilità della malattia (“[…] conviene alimentar algún vicio para tener algo que dejar el día que el médico encuentre nuestras arterias o nuestra circulación deficiente”147), all’incombenza della morte (“Vergés me dice que el día antes de morir estuvo cargando cartuchos. Así me gustaría morir a mí. Ilusionado con algo la víspera. El que se muere sin ilusiones era ya un muerto”148; o ancora: “Mi tía Amelia, muy viejecita, me decía a las pocas horas de enviudar: «Hijo, no pido más que tres días para descansar y después morirme». No me atreví a preguntarle si no le daba lo mismo morirse primero y descansar después”149), al peso della storia passata su un presente incerto e problematico. E se Delibes avrà modo di osservare, parlando della letteratura di Fernández Santos, che il suo realismo “es excesivamente rígido, un poco aburrido; falta esa ironía dúctil que con harta

143 DELIBES, El sentido del progreso desde mi obra, cit., p. 205. Cfr. anche gli articoli raccolti in

Sobre Castilla y los castellanos (in Obras completas, vol. VI. El periodista. El ensayista, cit., pp. 499–513), il reportage che Delibes titola Castilla habla (in Obras completas, vol. VI. El

periodista. El ensayista, cit., pp. 527–660) e l’antologia Castilla, lo castellano y los castellanos (in Obras completas, vol. VI. El periodista. El ensayista, cit., pp. 719–752).

144 DELIBES, Sobre libros y literatura, in Obras completas, vol. VI. El periodista. El ensayista, cit., pp. 215–217.

145 Ivi, p. 236.

146 DELIBES, Un año de mi vida, cit., p. 213.

147 Ivi, p. 178.

148 Ivi, p. 142.

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frecuencia determina la obra de arte”150, possiamo sostenerlo condividendo l’auspicio espresso da Escobar nel suo articolo Dio ci scampi dai non ironici151: in esso si insiste sul valore della tolleranza proprio dell’ironista, così come sulla sua sottigliezza raffinata, che non rifiuta la realtà, ma prendendola, semplicemente e coscientemente, un po’ meno sul serio, riesce a smascherarne i vizi e le più irrefutabili debolezze.