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nei romanzi tra gli anni ’40 e ’50

“[…] hay cosas que se soportan mejor en la penumbra que perfiladas en toda su ingrata sinceridad” M. Delibes, La sombra del ciprés es alargada

III.1.0. Introduzione

Miguel Delibes inizia la sua carriera di scrittore, come abbiamo visto, quasi per caso, e in più occasioni si è discusso sulla fortuita coincidenza di una serie di fattori esterni che hanno contribuito, in maniera determinante, alla prosecuzione della sua attività; tra questi, il riconoscimento che gli viene dalla critica ufficiale, che nel 1947 gli riconosce il già prestigioso premio Nadal, senza il quale, come sostiene García Domínguez, Delibes “hubiera colgado la pluma”.1

Anche nelle opere che lo scrittore pubblica tra gli anni ’40 e ’50, dunque, l’ironia costituisce un elemento distintivo: si tratta di un’ironia tendenzialmente tragica, certamente influenzata da un pessimismo diffuso e da una corrente esistenzialista che caratterizza anche molti altri romanzi dell’epoca (Nada, di Carmen Laforet, del 1944; Los Abel, di Ana María Matute, del 1948, solo per citarne alcuni). Sanz Villanueva precisa che l’esistenzialismo

[…] se vincula más en particular con la desesperanza en un sentido antropológico, no político y social. Entendido como corriente filosófica bien definida, serían escasas las relaciones de nuestra novela con el movimiento existencialista, y mucho menos una dependencia directa, pues no abundó entre nosotros una narrativa de pensamiento, reflexiva, en sentido estricto. Más bien se trata de una práctica espontánea, de base intuitiva, surgida en un preciso clima de insatisfacción moral, fomentada por las vivencias de la reciente guerra y por las múltiples formas de violencia de la intransigente postguerra […].2

E, in effetti, l’opera d’esordio di Delibes – La sombra del ciprés es alargada − si inserisce pienamente in questo clima di scetticismo e disinganno, poiché il romanzo presenta ai lettori “[…] una visión oscurecida de la realidad, en la cual

1 GARCÍA DOMÍNGUEZ, Miguel Delibes de cerca, cit., p. 151.

2 Santos SANZ VILLANUEVA, La novela española durante el franquismo, Madrid, Gredos, 2010, p. 57. Cfr. anche Gemma ROBERTS, Temas existenciales en la novela española de postguerra. Madrid, Gredos, 1978 (La sombra del ciprés es alargada, de Miguel Delibes, pp. 211−235).

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prevalece el fracaso individual y se siente una difusa sensación de angustia”3, attorno alla quale già aleggiano, però, alcune note di un rassicurante umorismo.

L’ironia che incontriamo in questi primi romanzi agisce a livello tanto situazionale quanto linguistico: molte sequenze risultano in contrasto tra di loro, presentano un evento serio o triste, accanto a uno più lieto e piacevole, o tratteggiano il profilo di soggetti stravaganti e singolari, spesso ai limiti della caricatura; l’intensità emotiva con la quale Delibes caratterizza alcune situazioni viene smorzata dal frequente accostamento con scene più brillanti che assolvono precise funzionalità. Ma l’ironia pervade anche lo stile: Delibes ricorre spesso a un linguaggio iperbolico quando descrive le specificità fisiche e comportamentali di alcuni personaggi; propone frequenti e bizzarre comparazioni ironiche o inventa metafore originali; si avvale, infine, del potere sottilmente ridondante di alcune ripetizioni – di singoli termini, ma anche di interi enunciati −, che ritornano in più parti all’interno dei diversi testi.

Il bersaglio dell’ironia delibiana è rappresentato, in questi primi esiti narrativi, da una serie di temi che ritroveremo poi anche in alcuni dei romanzi successivi: evidente è la critica alla mentalità borghese, simboleggiata dalla fisionomia di certi personaggi e dal loro particolare modo di intendere la vita; acuta è l’analisi dei meccanismi, economici e sociali, legati all’incipiente materialismo che porta con sé la civilizzazione e il progresso; ma anche la meditazione sulla morte, che attraverso l’ironia trova una possibile esorcizzazione; o la guerra e la dittatura, che incontrano, invece, echi significativi nelle rielaborazioni ironiche e mordaci della creatività delibiana.

111 III.1.1. La sombra del ciprés es alargada (1948) 4

La maggior parte della critica che ha lavorato sulla produzione di Delibes, ha costantemente enfatizzato – in rapporto a La sombra del ciprés … − i toni malinconici e cupi che emergono sin dalle prime pagine. Il romanzo ha però anche una forte carica ironica5, soprattutto nella I parte, quella che l’autore dedica all’infanzia e all’adolescenza di Pedro, al suo percorso educativo accanto all’austera figura di don Mateo Lesmes e all’amicizia del protagonista con Alfredo, un compagno di studi che vive con lui, in casa del maestro, fino alla sua prematura morte, che lo colpisce ancora in giovane età. Nella II parte del romanzo, invece, ritroviamo Pedro cresciuto, lontano da Ávila e impegnato nella professione di marinaio; più frequenti risultano, in questi capitoli, i passaggi riflessivi, a sfondo filosofico, in cui il tema della morte e del trascorrere inesorabile del tempo sono certamente dominanti, e in cui le vicende sentimentali di Pedro (che alla fine cede all’amore, travolto dal gioviale fascino di Jane) assumono tinte tragiche e fatali.

L’interesse per il gioco ironico investe personaggi e azioni, indistintamente. La vittima più indiscussa è certamente don Mateo, prototipo del pedagogo tradizionale, severo e intransigente, e in cui questa stessa rigidità emerge, in primis, dai contorni fisici e psicologici del personaggio, inequivocabilmente caricaturale: “Era don Mateo un hombre bajito, de mirada lánguida, destartalado y de aspecto cansino”6, un uomo con una “pequeña humanidad”, “cabeza de familia y academia”7, strano connubio tra un esemplare

4 Cfr. i seguenti lavori: Purificación ALCALÁ ARÉVALO, Aplicación del modelo de análisis de la

narrativa propuesto por G. Genette a la novela ‘La sombra del ciprés es alargada’, in “Cauce”, 20−21, 1997, pp. 45−60; José Luis CANO, ‘La sombra del ciprés es alargada’, in “Ínsula”, 30, 15 giugno 1948, pp. 4−5; Olga P. FERRER, La literatura española tremendista y su nexo con el

existencialismo, in “Revista Hispánica Moderna”, 22, 1956, pp. 297−303; Pedro GARCÍA CUETO,

‘La sombra de Delibes es alargada’, in “República de las Letras”, 117, 2010, pp. 71−76; Jesús RODRÍGUEZ, Estudio comparativo: ‘Nada’ y ‘La sombra del ciprés es alargada’, in “The Language Quarterly”, 27, 1-2, 1988, pp. 12−14; ROMEO, Félix, A diario con ‘La sombra del ciprés

es alargada’, in AA.VV., Cruzando fronteras: Miguel Delibes entre lo local y lo universal, cit., pp. 229−238.

5 Lo conferma, seppur sommariamente, MCMAHON, Humor in Nadal-Award Spanish Novels, art.

cit., pp. 75−84. Cfr. anche: Benito VARELA JÁCOME, Los novelistas del Nadal. ‘La sombra del

ciprés es alargada’, in “Destino”, 1291, 1962, p. 38; José Manuel VIVANCO, rec. a ‘La sombra del

ciprés es alargada’. El premio Nadal 1947, Madrid, in “Cuadernos Hispanoamericanos”, 7, 1949, pp. 222−224.

6 DELIBES, La sombra del ciprés es alargada, cit., p. 15.

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animalesco e un modello di robustezza filosofica, che solo in rare occasioni cede a incongruenze e pentimenti:

Él entendía que el hombre de cinco o diez siglos antes vivía más en la realidad que el actual. Se afanaba en levantar murallas, conventos o catedrales, porque tenía un concepto más serio de la vida: conservar la existencia, para llegar a Dios. Nuestro maestro condenaba la frivolidad del hombre moderno, el cual se dice hijo de Dios pero cifra toda su ilusión en disfrutar la existencia terrena. En consecuencia, el hombre actual se limitaba a conservar los monumentos del antiguo y únicamente levantaba teatros, cafés y otros lugares de esparcimiento con una raíz exclusivamente material. […] −Don Mateo parece hijo de las piedras de Ávila.8

Il rigore ideologico che lo caratterizza, soprattutto in relazione al suo progetto educativo, viene esplicitamente ridicolizzato da Delibes; don Mateo, “hombre chiquitín que se llamaba como un apóstol de Cristo”9, non a caso vive ad Ávila, città dal sapore profondamente mistico, “escandalosamente blanca, como una monja o una niña vestida de primera Comunión”10; un maestro che raduna attorno a sé giovani generazioni per plasmarle e istruirle all’insegna di una salda cristianità e di una generica atarassia. 11 Le sue sono dunque “primicias pedagógicas”, che assumeranno da subito la forma di un sapere enciclopedico pedestre e astruso, che egli intende impartire con assoluta e fredda meccanicità, e che per questo Delibes condanna e minimizza12:

−¿Sabes leer, Pedro? −comenzó. −Sí, señor. −¿Sabes escribir? −Sí, señor. −¿Sabes sumar? −Sí, señor. −¿Sabes restar? −Sí, señor. −¿Sabes multiplicar? 8 Ivi, p. 62. 9 Ivi, p. 17. 10 Ivi, p. 127.

11 “La felicidad o la desdicha era una simple cuestión de elasticidad de nuestra facultad de desasimiento”, Ivi, p. 80. Sul concetto di distacco emotivo presente nell’opera, utile è l’articolo di María José TALAVERA MUÑOZ, El concepto de desasimiento en ‘La sombra del ciprés es

alargada’, in “Garoza”, 7, 2007, pp. 315−337; cfr. anche Mark J. MASCIA, Spatiality and

Psychology in Miguel Delibes ‘La sombra del ciprés es alargada’, in “Letras peninsulares”, vol. 15, 3, 2002, pp. 615−628.

12 “La educación empieza por disfrazar y termina por uniformar a los hombres”, dirà Delibes in altre occasioni. Cfr. Teófilo APARICIO LÓPEZ, Miguel Delibes. El equilibrio entre la ternura y el

realismo, el humor, la ironía y la angustia existencial, in “Revista de Cultura y Vida Universitaria”, Universidad de Zaragoza, XLIV, 3-4, 1967, p. 22.

113 −Sí..., señor. −¿Sabes dividir? −Sí, señor. −¿Conoces la potenciación? −No, señor.

Sonrió suficientemente y añadió:

−¿Ves, chiquito? De esta manera tan sencilla puedo adivinar en un momento hasta dónde llegan tus conocimientos. (Me libré muy bien de decirle que todo eso podría haberlo sabido sin gastar tanta saliva preguntándome directamente, y de una vez, si conocía las cuatro reglas. En este detalle está perfectamente retratado el procedimiento pedagógico de don Mateo. Era enemigo de conceptos generales, de ideas abstractas. Él quería el conocimiento particular y concreto; la rama, aunque ignorásemos el tronco de donde salía.)13

I medesimi accenni ironici emergono nella sequenza che vede l’arrivo, nella casa del maestro, del piccolo Alfredo, in cui le modalità dell’accoglienza si presentano, esattamente e comicamente, identiche:

Don Mateo, después de carraspear, inició la investigación de los conocimientos del recién llegado. Todo, todo fue exactamente igual que lo fuera conmigo meses antes. −¿Sabes leer, Alfredo? −le dijo.

−Sí, señor. −¿Sabes escribir? −Sí, señor. −¿Sabes sumar? −Sí, señor. −¿Sabes restar? −Sí, señor. −¿Sabes multiplicar? −Sí, señor. −¿Sabes dividir? −Sí, señor. −¿Conoces la potenciación? Algo, señor.

(Esto me avergonzó mucho. Me arrepentí de haber contestado en su día un «no, señor» tan rotundo.)

−¿Y la radicación? −prosiguió el maestro. −No, señor.

−¿Nada?

−En absoluto, señor. −Pero ¿nada, nada...?

El señor Lesmes quedó satisfecho, una vez más, de su procedimiento inquisitivo.14 Delibes colpisce il sistema educativo moderno, rappresentato qui dalla figura di don Mateo Lesmes, il quale non viene apertamente descritto in termini negativi, ma il peso delle sue azioni e dei suoi pensieri, dell’ideologia di cui egli

13 DELIBES, La sombra del ciprés es alargada, cit., pp. 18−19.

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stesso si fa portavoce, viene delineato ricorrendo allo strumento ironico e quindi chiaramente lasciato al giudizio del lettore. La volontà riprensiva dell’autore lo spinge, inoltre, a mettere a nudo anche le debolezze più intime del personaggio, i suoi più bassi istinti, avvicinandolo al profilo di una maschera sgraziata e sciatta, quasi triviale, come emerge dalla divertente sequenza che descrive i festeggiamenti per i primi successi scolastici raggiunti dai due giovani allievi:

Alfredo y yo nos pusimos nuestros trajes de marinero, luciendo, por el escote, los petos rayados de azul y blanco que nos daban cierta apariencia de animales exóticos. […] Corrió la alegría en aquella cena como en ninguna otra ocasión. Para don Mateo nuestros aprobados tenían, si cabe, mayor importancia que para nosotros. En la prueba se ventilaba sencillamente el ser o no ser de él y del resto de su distinguida familia. El hecho de salir airosos trascendía a la ciudad, pequeña y comentadora, en provecho de su academia y de su eficiencia pedagógica. Don Mateo llegó a los postres con un visible júbilo bailándole en el rostro. No trataba de disimularlo; estaba satisfecho y su contento irradiaba de él como la luz y el calor del sol, naturalmente. Brindó con champaña por nuestro futuro, añadiendo que sería apacible si no ambicionábamos demasiado. «Siempre es más fácil perder que ganar −terminó−, y por eso conviene quedarse en poco.» Le aplaudimos y cuando se sentó se puso a migar el pan de los peces en su palma tersa y morena. Cortó, además, un pedazo de pastel de hojaldre, estimando que nuestros amigos acuáticos también tenían derecho a festejar esta solemnidad familiar. Después, doña Gregoria hubo de sujetarlo. Trataba de cambiar el agua de la pecera por vino blanco, alegando que también los peces debían disfrutar de este privilegio excepcional. Poco más tarde, nuestra patrona se lo llevó a la cama mientras Martina miraba extrañada a su padre en quien, seguramente, sorprendía una alegre vitalidad desacostumbrada. Así concluyó el día en que conmemoramos nuestro primer éxito estudiantil.15

L’inclemenza autoriale raggiunge, in poche righe, effetti eloquenti: dietro la leggera e apparente ilarità dell’episodio, Delibes critica lo sterile conformismo borghese, che pretende di forgiare nuovi talenti solo per dimostrare la propria, indiscutibile, autorevolezza, e non certo per un sincero e partecipe altruismo; allo stesso tempo, punta di nuovo il dito sul personaggio di don Mateo, dipinto in termini spassosi e scoperto nelle sue più grossolane esigenze. È quello che emerge quando il maestro viene ripreso nel suo primitivo rapporto con il cibo; il tempo storico in cui si situa il romanzo, infatti, è caratterizzato da terribili carestie e la penuria alimentare viene più volte sottolineata dal protagonista, ma trattata anch’essa con generica distanza. L’atmosfera familiare viene associata a ritualismi che riflettono il profilo di miserabili e conformistiche esistenze: “Las comidas

115 eran siempre las mismas. Me refiero al clima, no al contenido, aunque éste, realmente, tampoco fuese muy variado”.16 A questo ambiente desolato si associa, in più occasioni, anche il mondo animale, costretto a condividere il fatale destino dell’uomo e ad accontentarsi di pasti mediocri (“el primer plato”, sostiene Pedro, era “generalmente a base de purés o sopas”, p. 23), a subire le ripercussioni di una crisi economica ormai irrefrenabile: “La coacción económica gravitaba, pues, sobre nosotros. Hasta la propia Fany supo de la insatisfacción estomacal y de las mordeduras del hambre”.17 L’indigenza è totale, onnicomprensiva, se richiede privazioni reciproche:

Apenas si algo sólido, fuera del pan, llegaba a nuestras bocas, y cuando llegaba era pesado y medido previamente, de forma que la alimentación del animal había de hacerse a costa del propio sacrificio. Con todo, como mi hambre en los primeros tiempos fue tan escasa como mis ilusiones, Fany pudo mantener erguido su liviano cuerpecillo gracias a mi estómago inapetente y a mi magnánima voluntad.18

Costringe però anche a fare i conti con l’ansia dell’accaparramento quotidiano, di cui don Mateo rappresenta, ancora una volta, una straordinaria e grottesca sintesi:

[…] don Mateo Lesmes. Su pequeña humanidad, lenta de costumbre para todo, se movía inquieta, apresurada, a las horas de las comidas. Y no es que comiese con glotonería. Al contrario. Su comida era siempre frugal y el vértigo que ponía en devorarla parecía provenir de una idea innata en él de que no valía la pena perder el tiempo para cosa de tan leve importancia como era el comer.19

Risultati pressoché identici Delibes li raggiunge anche quando descrive il resto della famiglia Lesmes: gli atteggiamenti di doña Gregoria, la moglie del maestro, ricordano i meccanici profili bergsoniani, che vedono l’agire dell’uomo come un ripetersi monotono di azioni e consuetudini, spesso causa del “riso”, e avvicinano il suo profilo a quello, imbruttito e distorto, prodotto dalla caricatura:

[…] doña Gregoria era […] un ama de casa excepcional. Si exceptuamos su mutismo hermético, que únicamente se rompía cuando había de pedir o criticar algo, la esposa de mi maestro apenas si tenía tacha. Físicamente no merecía un suspiro; moralmente era una mujer completa: ordenada, hacendosa, limpia, piadosa y madrugadora. Diariamente se las veía con la cocina, y sus quehaceres domésticos

16 Ivi, p. 22.

17 Ivi, p. 160.

18 Ivi, p. 160.

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en ella eran tan historiados, que empalmaba, sin interrupción, unos con otros: el desayuno, la comida y la cena.20

Il ritratto della donna fa da contrappunto a quello del marito; mentre egli rappresenta l’archetipo – alla rovescia – del buon precettore, doña Gregoria incarna il modello della perfetta “matrona”, la cui imponenza è circoscritta però all’ambito domestico, dove vive in assoluta e rassegnata dipendenza dal marito:

Doña Gregoria, como un eco sincero y fiel de su marido; era también una mujer tristona. Lo que no sé es si lo era de natural o por reflejo. Podría ocurrir que tanto don Mateo como su mujer lo fuesen por naturaleza, y precisamente ello hubiese constituido el punto de atracción que acabara por llevarlos al altar. Tampoco era difícil que el pesimismo innato en alguno de ellos se hubiese transferido a su consorte en virtud de la todavía no expuesta teoría de los «caracteres comunicantes». Teoría que tenía su perfecta aplicación en un matrimonio sólidamente avenido como era el de mis anfitriones, aunque ambos se empeñasen en disimularlo.21

Anche a doña Servanda, sposa di don Felipe, entrambi parenti di famiglia, Delibes riserva un ritratto ironicamente felice e in netta opposizione a quello del marito, aitante capitano della Marina Mercantile: “Eran marido y mujer, aunque por su apariencia podría habérseles tomado perfectamente por madre e hijo. Ella era gruesa, barriguda, de aspecto sesentón y cansino; él un magnífico tipo de hombre, ancho, corpulento […]”.22 E se, “En el terreno de la dialéctica doña Servanda era terca como una mula”23, il suo profilo risulta pressoché inevitabile se consideriamo che la professione del marito lo porta continuamente fuori di casa, mentre lei, che dimostra nei suoi confronti la più assoluta indifferenza, è costretta ad accontentarsi del proprio, monotono e bizzarro, ruolo di “ama de casa”:

Doña Servanda, la esposa del marino, solía dormirse en las tertulias de sobremesa, en las que su marido tensaba los nervios de Alfredo y míos con sus estupendos relatos. Se dormía con sus manazas gordas y chatas tumbadas sobre su vientre hinchado, respirando de una forma tan brutal que las tempestades que el marino describía con fiel detalle encontraban en los resoplidos de la dama una representación sincera y próxima de la potencia del huracán.24

20 Ivi, p. 28. 21 Ivi, pp. 28−29. 22 Ivi, p. 85. 23 Ivi, p. 88. 24 Ivi, p. 87.

117 Il nucleo familiare dei Lesmes comprende anche Martina, una bimba di tre anni, curiosa e loquace, la cui ingenuità fa da specchio al candore della cagnolina Fany, che Pedro definisce, e non tanto ironicamente, “lo mejor de la familia”25, una simpatica “perrita ratonera con psicología de gato”26, che conquista da subito il cuore dei due giovani studenti; soprattutto quello di Alfredo, il più fragile e malaticcio, che si appoggia ai nuovi affetti, così come all’amicizia di Pedro, per colmare un senso di “orfandad” che non comprende e non accetta.27 Anche l’universo infantile, ad ogni modo, viene trattato con una certa ironia da Delibes: ironia che emerge nella loro particolare maniera di rapportarsi al mondo e di considerare anche le più dolorose esperienze della vita, come quella della morte. Alfredo si ammala presto nel romanzo e i primi segni evidenti della sua infermità si vedono nel repentino dimagrimento che lo colpisce; e quando Pedro tenta di parlargliene, il giovane amico gli risponde con assoluta e scherzosa trasparenza, nel tentativo di occultare “preoccupazioni” ben più serie per lui, come lo è l’assenza della madre. La sequenza chiarisce, infatti, come Delibes cerchi sempre di temperare le tensioni più forti con un riso delicato o con battute che hanno il chiaro sapore dello sfogo liberatorio; un riso che riserva, prima di tutto, ai suoi personaggi, ma che di riflesso si estende, poi, anche ai lettori:

−Estás muy delgado −insistí aún.

Y eso qué importa. El mundo tiene que ser así, unos gruesos y otros delgados, unos altos y otros bajos, unos ricos y otros pobres, unos malos y otros buenos... ¿No comprendes que de otra manera seria aburridísimo?

Sonaron sus carcajadas con más violencia que antes. Hubiese querido meterle por aquella boca tan abierta la preocupación del peso extractada en una píldora de