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Aiuto al suicidio

CAPITOLO III: AUTODETERMINAZIONE E FINE VITA

4. Il caso Antoniani Settembre 2019

4.1 Aiuto al suicidio

Nell’ambito della vicenda giudiziaria che vede imputato il Sig. Marco Cappato sono molte le affinità con il caso del Dott. Riccio visto in precedenza, tra cui la consapevolezza e l’attualità della propria manifestazione di volontà ribadite attraverso comunicazioni pubbliche di Welby e Fabo. È diversa però la fattispecie contestata.

Per Mario Riccio, che aveva praticato il distacco del respiratore artificiale al quale era legata la vita di Piergiorgio Welby si era ipotizzata una responsabilità per omicidio del consenziente ex art. 579 c.p., mentre nei confronti di Marco Cappato si sta procedendo per istigazione o aiuto al suicidio ex art. 580 c.p., visto che Fabiano Antoniani, aveva ricevuto assistenza alla morte volontaria.

Occorre una premessa terminologica: nell’eutanasia è il medico a provocare, direttamente o indirettamente, la morte. In quella attiva il sanitario somministra un farmaco cd. letale, di solito attraverso una iniezione endovenosa. Nell’eutanasia passiva, invece, il medico si limita a sospendere il trattamento lasciando che la malattia segua il suo corso. L’eutanasia attiva è vietata nel nostro ordinamento, mentre quella passiva è prevista dalla legge n. 219 del 2017 che consente di decidere a quali trattamenti sanitari prestare il proprio consenso.

Il suicidio assistito rappresenta una particolare variante di eutanasia attiva, diretta e volontaria. Il medico prescrive sì il farmaco necessario alla morte, ma non compie materialmente l’atto, poiché è il paziente stesso che in base alle sue capacità motorie immette la sostanza letale e provoca la propria morte, medicalmente assistita.

La Corte d’Assise227 di Milano, chiamata a decidere sul caso Cappato contesta, in primo luogo, il perimetro applicativo dell’art. 580 c.p., ritiene che la disposizione, incriminando le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo alla determinazione o rafforzamento del proposito suicidario, si ponga in contrasto con gli art. 3, 13 comma 1 e 117 Cost., in relazione agli art. 2 e 8 della CEDU.

I giudici milanesi guardano al suicidio come strumento volto all’esercizio di una libertà dell’individuo: pertanto, solo azioni dirette a pregiudicare l’autodeterminazione dello stesso costituirebbero offesa al bene giuridico tutelato dalla disposizione di cui all’art. 580 c.p.

Inoltre, il trattamento sanzionatorio previsto dalla stessa norma non distingue le condotte di agevolazione che non incidano sul processo deliberativo dell’aspirante suicida, dalle più gravi condotte di istigazione, ponendosi dunque in contrasto con i principi di ragionevolezza e proporzionalità della pena in relazione all’offensività del fatto, derivanti dagli art. 3, 13, 25 comma 2 e 27 comma 3 Costituzione.

La punizione delle condotte di aiuto al suicidio che non abbiano inciso sul proposito dell’interessato sarebbe non solo ingiustificata, ma altresì lesiva delle disposizioni della Costituzione a tutela della vita, della libertà personale, nonché dell’autodeterminazione individuale in materia di trattamenti terapeutici228. Per questi motivi la Corte d’Assise solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.

La Corte costituzionale, investita della questione, con un’ordinanza ad “incostituzionalità differita229” abbandona la strada della declaratoria di inammissibilità della questione sollevata, per suggerire al Parlamento «tempi, modi e luoghi dell’intervento legislativo idoneo a colmare il ravvisato vulnus costituzionale230».

La Consulta ritiene che il divieto contenuto nell’art. 580 c.p. mantenga un’attualità nel tutelare «le persone che attraversano difficoltà e sofferenze, anche per scongiurare

228 Cfr. FORCONI M., “La Corte d’Assise di Milano nel caso Cappato: sollevata

questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.”, in www.penalecontemporaneo.it

229 Così BIGNAMI M., “Il caso Cappato alla Corte costituzionale: un’ordinanza ad

incostituzionalità differita”, in Questione Giustizia, nov. 2018.

230 CUPPELLI C., “Il caso Cappato, l’incostituzionalità differita e la dignità

il pericolo che coloro che decidono di porre in atto il gesto estremo e irreversibile del suicidio subiscano interferenze di ogni genere», tuttavia è consapevole che oggi possano rientrare nel campo di applicazione della fattispecie prevista dall’art. 580 c.p. vicende umane che non erano pensabili all’epoca in cui la norma è stata scritta, «il riferimento è, più in particolare, alle ipotesi in cui il soggetto si identifichi in una persona (1) affetta da una patologia irreversibile e (2) fonte di sofferenze fisiche o psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (3) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (4) capace di prendere decisioni libere e consapevoli» e per cui l’aiuto al suicidio rappresenta «l’unica via d’uscita per sottrarsi, nel rispetto del proprio concetto di dignità della persona, a un mantenimento artificiale in vita non più voluto e che egli ha il diritto di rifiutare in base all’art. 32, secondo comma, Cost.» poiché la continua evoluzione della scienza medica delle tecniche ad essa connesse risultano capaci di «strappare alla morte pazienti in condizioni estremamente compromesse, ma non di restituire loro una sufficienza di funzioni vitali231».

La Corte costituzionale ha inteso circoscrivere il suo giudizio alle sole ipotesi, come quella in cui versava Fabo, in cui vi sia una dipendenza parziale da trattamenti di sostegno vitale, ossia ogniqualvolta l’interruzione dei trattamenti di sostegno vitale non determini il decesso in tempi rapidi e in ogni caso quando ricorrono le quattro condizioni delineate.

Nella decisione, rinviata al settembre 2019 con la seguente motivazione «l'attuale assetto normativo sul fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un'appropriata disciplina, la Corte costituzionale ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell'articolo 580 codice penale, sull'aiuto al suicidio, all'udienza del 24 settembre 2019», si ravvisa come il divieto di aiuto al suicidio, in talune ipotesi, rappresenti una lesione di un preteso diritto a scegliere le «modalità per congedarsi dalla vita», conformi alla «propria visione della dignità del morire».

Numerose sono state le proposte di legge depositate a seguito della sentenza, eppure a distanza di un anno dalla decisione della Consulta manca ancora un testo base. La prima proposta, di iniziativa popolare rubricata “Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell’eutanasia”, antecedente all’ordinanza analizzata e organizzata dall’Associazione Luca Coscioni, è stata depositata il 13 settembre 2013 grazie a quelli che ormai sono diventati oltre 130mila cittadini. Formata da 4 articoli (di cui due superati con l’approvazione della legge 219) permette l’assistenza medica al suicidio, anche sotto forma di eutanasia attiva, ai pazienti maggiorenni, capaci di intendere e volere, affetti da una malattia produttiva di gravi sofferenze, inguaribile o con prognosi infausta inferiore a diciotto mesi.

La proposta Cecconi (misto), presentata l’11 febbraio 2019 introdurrebbe la disciplina dell’eutanasia all’interno della legge sul biotestamento, con il rischio di apertura agli emendamenti. Fermi restando i requisiti per l’accesso al trattamento eutanasico previsti dalla proposta popolare, e ripresi dalla Consulta con l’ordinanza n. 207 del 2018, questa proposta prevede anche un regolamento successivo da emanare con decreto del Ministero della Salute per stabilire modalità e tempi del sostegno psicologico e sociale da prestare al paziente e ai suoi familiari; procedure di attuazione dell’eutanasia, compresi i farmaci per un trattamento senza dolore o sofferenze; requisiti strutturali minimi delle strutture sanitarie pubbliche idonee a praticare l’eutanasia e modalità di accertamento dei requisiti all’accesso.

Il 7 marzo 2019 viene presentata la proposta Rostan/Conte (LeU), sottoscritta da poco più di un terzo dei deputati di Liberi e Uguali, anche questa proposta introdurrebbe la disciplina dell’eutanasia all’interno della legge sul biotestamento, mettendo dunque a rischio anche quest’ultima con l’apertura agli emendamenti. All’interno della legge 219/2017 si introdurrebbe la possibilità di trattamento eutanasico con gli stessi requisiti di accesso previsti in precedenza.

La proposta Sarli/Trizzino (M5S), presentata il 30 maggio 2019 e sottoscritta da poco meno della metà dei deputati M5S nelle Commissioni Giustizia e Affari Sociali.

La proposta permette di avanzare richiesta di suicidio assistito o eutanasia al soggetto “maggiore di età, capace di intendere e di volere, affetto da una condizione clinica

irreversibile, ovvero da una patologia a prognosi infausta che non sia di natura psichiatrica o psicologica, tale da procurargli sofferenze evidenti, insostenibili e irreversibili «Suicidio assistito ed eutanasia rientrerebbero nei livelli essenziali di assistenza, quindi le relative prestazioni sono erogate gratuitamente […] senza alcuna compartecipazione alla spesa da parte del paziente». In questa proposta si prevede la possibilità di obiezione di coscienza per i medici. Vi è poi un rimando a futuri decreti del Ministero della Salute per ciò che riguarda: l’individuazione delle strutture idonee con determinazione dei requisiti strutturali minimi; le procedure necessarie per determinare le modalità e i tempi con i quali deve essere assicurato il sostegno psicologico e sociale al paziente e ai suoi familiari; le modalità di custodia e archiviazione delle richieste di suicidio medicalmente assistito e di trattamento eutanasico.

Il 5 giugno 2019 è stata presentata la proposta Pagano/Turri (Lega) che mantiene il reato di aiuto al suicidio e smonta la legge sul biotestamento. Chi aiuta al suicidio un’altra persona, solo nel caso in cui questa sopravviva attraverso strumenti di sostegno vitale e solo se chi lo aiuta convive stabilmente con questa persona, commette un reato punito dai 6 mesi ai 2 anni di carcere. Per tutti gli altri, come nel caso di Marco Cappato per l’aiuto prestato a Dj Fabo, viene mantenuto il reato dai 5 ai 12 anni di carcere.

Con questa proposta si modifica anche la legge sulle DAT, introducendo nutrizione e idratazione artificiali forzate e si prevede inoltre un albo dei medici obiettori nei confronti delle DAT.

Infine, la recentissima proposta Cirinnà, presentata il 25 settembre 2019 e composta di tre articoli, “sull’aiuto medico al morire e la tutela della dignità nella fase finale della vita”.

Il provvedimento interviene sul delitto di aiuto al suicidio previsto dall'articolo 580 del Codice penale che secondo Cirinnà «non assicura più il bilanciamento tra il valore della vita e la tutela dell'autodeterminazione garantita dall'articolo 32 della Costituzione».

Il Ddl ha «inserito la possibilità del farmaco letale»: l’induzione farmacologica di un preparato che conduce il paziente alla morte e che rappresenta una possibile scelta, solo a quei malati affetti da «patologia irreversibile», «fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili» e comunque capaci «di prendere libere decisioni».

La stessa Cirinnà parla di questa come una «proposta in più tra le tante già depositate», aggiungono i firmatari del disegno di legge che non ci sono «linee di partito su questo tema, ma solo diverse sensibilità» e chiedono che «queste sensibilità si incontrino», attraverso una sintesi del Parlamento all’insegna della «trasversalità232».

In attesa di verificare se sul punto esista effettivamente, tale trasversalità, interviene la Corte costituzionale che proprio il 25 settembre 2019 ha sancito che non è perseguibile «chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da

232 CIRINNA’ M., conferenza stampa di presentazione del Ddl in materia di tutela

una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli233». Inoltre, la Corte «ha subordinato la non punibilità al rispetto delle modalità previste dalla normativa sul consenso informato, sulle cure palliative e sulla sedazione profonda continua (articoli 1 e 2 della legge 219 del 2017) e alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente».

Cappato, era accusato di avere violato l’articolo 580 c.p., che punisce chiunque determini «altri al suicidio o rafforzi l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevoli in qualsiasi modo l’esecuzione».

Con questa sentenza storica, dunque, la Corte ha stabilito che non è sempre punibile chi aiuta una persona a porre fine alla propria vita, tuttavia la non punibilità è subordinata al rispetto delle condizioni fissate dalla stessa e che riguardano il rispetto della normativa vigente in tema di:

- consenso informato (art. 1 della legge n. 219/2017); - cure palliative e sedazione profonda continua (art. 2

della legge n. 219/2017);

- verifica delle condizioni richieste e delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale, sentito il parere del comitato etico territorialmente competente.

La Consulta, sollecitando nuovamente il Parlamento a legiferare sul tema, ha sottolineato che la sua decisione è arrivata «in attesa dell’indispensabile intervento del legislatore».