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Le due facce dell’autodeterminazione: consenso e rifiuto

CAPITOLO II: TRATTAMENTI SANITARI E

2. L’autodeterminazione terapeutica

2.1 Le due facce dell’autodeterminazione: consenso e rifiuto

DELL’AUTODETERMINAZIONE: CONSENSO E RIFIUTO.

Anche il tema del consenso informato non trova una disciplina specifica a livello costituzionale, ma si è affermato comunque nel tempo come fondamentale in materia, nella giurisprudenza e nella legislazione.

90 Cfr. Responsabilità medica, diritto e pratica, rivista 2/2018. 91 Cass. civ., sez. III, 15 Maggio 2018, n. 11749.

L’istituto nasce agli inizi del ‘900 negli Stati Uniti92e le ragioni che ne hanno determinato la piena affermazione sono legate a casi di malpractice medica.

In Europa il Codice di Norimberga del 1947 richiama l’informed consent con una dichiarazione di principio che ben può assumersi, in termini più generali, come: “Il consenso dell’essere umano è essenziale93”.

Un ulteriore riferimento si ritrova all’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 1997, il quale stabilisce che «un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve, innanzitutto, una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso».

In ambito europeo il richiamo al consenso è da ravvisare nell’art. 3 CEDU che al comma 2 dispone che «nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:

il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge»

Nell’ordinamento italiano, il riconoscimento del consenso informato è stato un processo lento. In assenza di una regolamentazione generale in materia, l’unico sostegno normativo al consenso era la L. n. 145 del 2001 di autorizzazione alla ratifica

92 Corte Suprema del Minnesota, Mohr v. Williams, 1905. «Il primo e più

importante diritto di ogni libero cittadino, che è alla base di tutti gli altri e che è oggetto di un generale accordo, è il diritto all’inviolabilità della persona o, in altri termini, il diritto a sè stessi; questo diritto vieta rigorosamente al medico o al chirurgo, per quanto esperto e di chiara fama, di violare senza permesso l’integrità fisica del suo paziente».

93 GRASSINI E., PACIFICO R., Il consenso informato: Le basi, la pratica e la

della Convenzione di Oviedo; fino all’entrata in vigore della legge sulle disposizioni anticipate di trattamento nel 2017.

Tuttavia, prima di quest’ultima, vi erano regolamentazioni dell’istituto, ma riguardavano specifiche fattispecie, come la L. 458/1967 sulla modalità di trapianto di rene tra vivi; l’art. 33 della legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale che esige il rispetto, per quanto possibile, del diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura; o ancora l’art. 3 della più recente L. n. 219 del 2005 in materia di attività trasfusionale e della produzione nazionale degli emoderivati.

Vi era anche l’art. 35 del codice di deontologia medica che insieme all’art. 33 disciplinano i modi di acquisizione dello stesso «Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all'art. 33».

Tuttavia, il codice, essendo considerato una “soft law”, non era vincolante.

Dal punto di vista costituzionale il principio si può ricavare dall’art. 32 Cost. che «il consenso informato rappresenta il diritto del paziente a partecipare alle decisioni relative alla scelta del trattamento sanitario94», e dall’art 13 Cost. che afferma l’inviolabilità della libertà personale.

Sul piano giurisprudenziale due sentenze hanno stabilito le basi del principio del consenso informato: la Corte di cassazione con la

94 LONGO E., SIMONCINI A., voce Art. 32, in Aa.Vv., Commentario alla

nota sentenza n. 21748 del 2007 afferma e riconosce l’importanza del consenso quale strumento per assicurare la libera autodeterminazione dell’individuo in ambito medico, ancorandone la disciplina e la tutela a quanto stabilito dalla Costituzione, ma soprattutto riconducendo alla tutela di tale principio la facoltà dell’individuo di rifiutare o interrompere un trattamento sanitario. Un anno dopo la Corte costituzionale che, per la prima volta nella sentenza n. 438 del 2008, qualifica il consenso informato come «vero e proprio diritto della persona» che «trova fondamento nei principi espressi nell'art. 2 […] e negli artt. 13 e 32 Cost.», definendolo «espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico»; statuendo non solo che esso costituisce un diritto della persona, ma «è la sintesi di due diritti fondamentali, vale a dire il diritto all’autodeterminazione e quello alla salute95».

È da ricordare che la categoria giuridica del consenso e la sua validità si basano principalmente sull’esistenza di un’attività informativa (non a caso non si dice consenso, senza dire anche informato) da parte del medico che consenta al paziente di scegliere se sottoporsi o meno ad un trattamento sanitario96.

Come già anticipato, è solo nel dicembre 2017 che il legislatore italiano ha posto fine alla propria inerzia legislativa in materia di consenso informato, approvando la legge 22 dicembre 2017, n. 219. Il comma d’apertura dell’art. 1 recita «La presente legge, nel rispetto dei principi di cui agli articoli 2, 13 e 32 della Costituzione e degli articoli 1, 2 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, tutela il diritto alla vita, alla

95 Corte Cost., Sent. 15 dicembre 2008, n. 438.

96 GRAZIADEI M., Il consenso informato e i suoi limiti, in Lenti - Palermo Fabris

salute, alla dignità e all'autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge». Tale riferimento ad una pluralità di diritti fondamentali riconosce al consenso il ruolo sia di garanzia principale per la tutela dell’autonomia personale, inibendo ogni tipo di prevaricazione e violenza non voluta dal paziente, sia di strumento volto ad agevolare una relazione e un’interazione di tipo cooperativo tra medico e paziente97.

Il consenso informato diventa un momento di incontro relazionale tra due persone, ciascuna caratterizzata dal proprio spessore morale e professionale, ma soprattutto diventa una garanzia affinché la relazione terapeutica, pur restando in parte asimmetrica, si mantenga umana e quanto più possibile personale ed empatica98.

Il consenso, secondo quanto espresso nell’art. 1 della L. n. 219, deve essere “libero” e “informato”.

Sul diritto di informazione, non occorre dilungarsi ulteriormente, si vuole solo ribadire che è indispensabile per porre il paziente nella condizione di effettuare una scelta consapevole.

Le informazioni devono ricomprendere la situazione patologica del malato, il trattamento consigliato, i benefici ed i rischi ad esso connessi, le conseguenze derivanti dal mancato intervento, nonché gli eventuali trattamenti alternativi con relativi rischi e benefici. Un altro importante elemento è, appunto, la consapevolezza della scelta, le informazioni devono «adattarsi al suo livello culturale

97 CANESTRARI S., La relazione medico-paziente nel contesto della nuova legge

in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento (commento all’art.1), in BioLaw Journal – Rivista di BioDiritto, 2018.

98 CASONATO C., La migliore legge oggi possibile, in The Future of Science and

mediante un linguaggio a lui comprensibile, secondo il suo stato soggettivo ed il grado delle conoscenze specifiche di cui dispone99» così che il soggetto, adeguatamente informato, possa apprendere appieno i piani di cura.

Sulla libertà, questa è imprescindibile. Il consenso deve essere immune da vizi e privo di costrizioni o condizionamenti esterni. Deve essere personale, quindi espresso dalla persona destinataria del trattamento, salvo i casi di minori o incapaci.

È dovuta una riflessione sull’attualità del consenso.

Questa ulteriore caratteristica risulta indispensabile quando il soggetto è cosciente ed è in grado di fornire quel consenso informato, libero, consapevole e appunto attuale.

Il legislatore del 2017 nel prevedere le “disposizioni anticipate di trattamento” ha delineato una disciplina per quelle situazioni in cui il soggetto, incosciente, non è in grado di prestare il consenso come appena delineato; ha voluto fornire, inoltre, un’interpretazione in senso “logico” e non solo “cronologico” dell’attualità stessa100. Non sono mancate critiche rivolte a questa modalità di espressione del consenso “ora per allora”, l’inattualità delle dichiarazioni, «rese in condizioni così diverse da quelle in cui la persona si troverà, costituisce uno scoglio molto grave all’applicazione effettiva, non finzionistica, del principio di autonomia101»

Certo, nessuno può garantire con assoluta certezza che, se la persona potesse esprimersi, confermerebbe quanto dichiarato in precedenza. Le disposizioni anticipate mirano, infatti, «a fornire uno strumento in situazioni in cui l’attualità del consenso

99 Cass. civ., sez. III, Sent. 4 febbraio 2016, n.2177

100 PENASA S., Disposizioni anticipate di trattamento, in Aa.Vv., Consenso

informato e DAT: tutte le novità, a cura di RODOLFI M., CASONATO C., PENASA S., Milano, 2018

101 NICOLUSSI A., Al limite della vita: rifiuto e rinuncia ai trattamenti sanitari, in

semplicemente non può esserci: si tratta di un presupposto fattuale rispetto al quale un’alternativa – purtroppo – non esiste. Rispetto a questo elemento di fatto, sussistono due ipotesi: o si affida l’espressione delle proprie indicazioni ad un momento precedente l’evento determinante l’incapacità, oppure si affidano le scelte terapeutiche a terzi (medico o fiduciario) 102».

Il paziente può prestare il proprio consenso al trattamento sanitario, ma può anche rifiutare lo stesso.

Passando a quello che Modugno definisce il cd. risvolto negativo della salute103. È bene ricordare che l’altro versante dell’autodeterminazione è rappresentato dal diritto di non curarsi, di essere malato; un diritto di rifiutare le cure anche se queste sono assolutamente necessarie a preservare la vita.

Del resto, anche il non-scegliere è una scelta, “la personalità, già prima di scegliere, è interessata alla scelta, e quando la scelta si rimanda, la personalità sceglie incoscientemente104”

Particolarmente complesso è il tema del “rifiuto” quando un soggetto che si trova in imminente pericolo di vita può essere salvato solo da un intervento del medico105, che però, appunto, il paziente, rifiuta.

Si pensi al rifiuto dell’emotrasfusione. In tale contesto il rifiuto può essere dettato da motivazioni ideologico-religiose e il richiamo è in particolare alla Congregazione Geovista, la quale, sulla base dell’interpretazione letterale dell’Antico Testamento106, stabilisce il divieto di sottoporsi a trasfusioni di sangue.

102 PICIOCCHI C., Dichiarazioni anticipate di trattamento: dare “forma al vuoto”

in attesa di una legge, in Rivista Aic, 2016.

103 MODUGNO F., op. cit.

104 S. KIERKEGAARD, Aut aut, Milano, 2002.

105 CAGGIA F., Autodeterminazione del paziente e irrilevanza del consenso dei

familiari, Danno resp., 1998.

Tale rifiuto viene ritenuto dalla giurisprudenza più recente non solo lecito e incensurabile nel merito, ma un vero e proprio diritto che costituisce esercizio della libertà di autodeterminazione in relazione alla propria salute garantita dagli artt. 13 e 32 Cost., nonché della libertà di professare liberamente la propria religione, diritto, garantito dall’art. 19 Cost., incomprimibile dall’attività del medico la quale anche quando sia diretta a salvaguardare la vita del paziente, non può porsi come limite al libero esercizio della libertà religiosa dello stesso e alla sua autodeterminazione terapeutica107. Il rifiuto di emotrasfusioni o di trattamenti sanitari può, comprensibilmente, generare perplessità nei medici e causare conflitto interiore con quello che riterrebbero opportuno fare secondo la loro “scienza e coscienza”. Tuttavia, il legislatore è chiamato a garantire protezione a colui che ha il “solo” diritto di decidere: il paziente.

Più discusso, in presenza di una patologia inguaribile, appare il rifiuto al trattamento il cui scopo è quello di tenere in vita il soggetto a prescindere dalle possibilità effettive di guarigione, o addirittura “artificialmente”. È questo il caso del malato terminale che chiede l’interruzione delle cure, perfettamente conscio delle conseguenze.

In questi casi la libertà di autodeterminazione diventa espressione della dignità umana, intesa come rispetto della persona; il diritto a rifiutare le cure è espressione del diritto alla vita, inteso come principio della qualità della stessa.

In questo contesto il malato mette da parte la patologia, torna ad essere “soltanto” uomo e prende coscienza di cos’è per lui la vita, degna di essere vissuta108.

107 GRIBAUDI M. N., Consenso e dissenso informati, Giuffrè, 2012.

108 Cfr. VISENTIN D., Una scelta difficile: diritto di morire o dovere di vivere? in

L’aspetto consensuale, come sottolineato, domina le relazioni di cura tra medico e paziente, al punto tale da configurare un vero e proprio «diritto di perdere la salute, di ammalarsi, di non curarsi, di vivere le fasi finali della propria esistenza secondo canoni di dignità umana propri dell’interessato, finanche di lasciarsi morire», senza che ciò si traduca in una forma di eutanasia «esprimendo piuttosto tale rifiuto un atteggiamento di scelta, da parte del malato, che la malattia segua il suo corso naturale109».

L’art, 1 comma 5 della L. n. 219 del 2017 accogliendo questa interpretazione giurisprudenziale dispone il diritto di rifiutare «in tutto o in parte, […] qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso» e «promuove ogni azione di sostegno al paziente medesimo»; dunque, la rinuncia alle cure non significa mai abbandono terapeutico.

Il comma successivo ha suscitato talune perplessità in merito alla vincolatività, per il medico, della volontà del paziente; dispone, infatti, che «il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente di rifiutare il trattamento sanitario o di rinunciare al medesimo».

Secondo parte della dottrina la norma apre la strada alle pratiche eutanasiche, dove si introduce una regolamentazione del dissenso informato che consente il rifiuto e la rinuncia ad ogni forma di trattamento sanitario, anche salvavita come alimentazione e idratazione, con il dovere da parte del medico di assecondare la

richiesta, anche laddove ciò comporti direttamente la morte del paziente110.

Per contro, Eusebi fa notare che «la legge n. 219 del 2017 non impone esiti applicativi di tipo eutanasico, sebbene possa non impedirli. Per cui, appare fondamentale l’impegno onde far sì che simili esiti non si realizzino di fatto. Andranno soprattutto curate, pertanto, le condizioni previe affinché nessun malato venga a ritrovarsi in condizioni di abbandono o resti privo dei presìdi finalizzati al contrasto della sofferenza111».

È bene chiarire che nel caso del rifiuto di cure, il decesso è conseguenza diretta del percorso naturale e fisiologico della malattia e soltanto indiretta dell’interruzione della terapia.

L’espressa disciplina del “rifiuto informato” assume, dunque, una duplice funzione: da una parte essa assurge a strumento attraverso cui si manifestano le scelte personalissime del malato sul proprio corpo e sulla propria salute, dall’altra vale a risolvere definitivamente la questione inerente alla responsabilità del medico, il quale, di fronte ad un rifiuto raccolto nelle modalità stabilite dalla legge, non potrà essere oggetto di alcun addebito di responsabilità.

Un’ultima riflessione sul dissenso riguarda le caratteristiche viste in precedenza, e quindi informato, libero, consapevole e attuale. Questi profili, per quanto fossero basilari e indispensabili nel consenso, si intensificano nell’ambito del rifiuto.

110 NAVARINI C., Audizione innanzi alla Commissione Igiene e Sanità del Senato

della Repubblica nell’ambito dell’indagine conoscitiva in merito all’esame del Disegno di Legge n. 2801.

111 EUSEBI L., La forzatura nel processo Cappato e la legge sulle disposizioni

L’informazione appare ancor più determinante poiché il soggetto deve essere perfettamente consapevole circa le conseguenze della scelta.

Il rifiuto privo di costrizioni esterne e immune da vizi è imprescindibile.

L’inattualità per quanto comporti una certa problematicità al momento del consenso, la si avverte ancor di più quando il paziente nega il suo assenso all’avvio di un trattamento sanitario o alla sua continuazione.

D’altronde «la conclusione paradossale del non attribuire valore giuridico-vincolante alle DAT è che, per escludere la possibilità del rischio di inattualità derivante dallo sfasamento temporale tra il momento in cui sono state redatte e quello in cui vengono applicate, si mortifica, fino ad annullarla, l’autonomia del malato, finendo col far prevalere (ancora) il paternalismo del medico su una manifestazione di volontà comunque espressa112».

Infine, se si ritiene che il rifiuto preventivo vada equiparato al dissenso attuale, allora il medico ha l'obbligo di rispettarlo, altrimenti può essere chiamato a rispondere dei fatti conseguenti la sua condotta.

3. ECCEZIONE ALLA VOLONTARIETÀ DEL TRATTAMENTO: I TSO.

“Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento

sanitario, se non per disposizione di legge”

Articolo 32, comma 2, Costituzione.

112 ADAMO U., Il vuoto colmato, Le disposizioni anticipate di trattamento trovano

Come precedentemente delineato, la regola generale in materia di trattamenti sanitari è quella della volontarietà degli stessi, lo si evince anche dall’art. 33, comma 1, della l. n. 833 del 1978, il quale stabilisce che «gli accertamenti ed i trattamenti sanitari sono di norma volontari». L’eccezione alla regola, ai sensi dell’art. 32, secondo comma, Cost., può sussistere solo nei casi in cui la legge disponga l’obbligatorietà del trattamento, al fine di preservare «la salute come interesse della collettività113»

Dal punto di vista nozionistico per “trattamento sanitario obbligatorio” si intende ogni attività di carattere diagnostico o terapeutico volta a prevenire o a curare una malattia, laddove si tratti di una misura resa obbligatoria da una legge.

Fatta questa premessa, è opportuno chiedersi se e in quali casi è ammissibile «che taluno sia obbligato e/o costretto a sottoporsi a un determinato trattamento sanitario114».

La dottrina115 e la giurisprudenza nel corso degli ultimi decenni hanno tracciato i parametri di legittimità del TSO.

Deve essere previsto da una legge: la riserva di legge116, di cui all’art. 32 Cost., affida al legislatore il potere di decidere quali siano i trattamenti sanitari che possono essere obbligatori; questi, prende sì una decisione di carattere giuridico, ma essa è fondata su un presupposto di fatto: valide e comprovate sperimentazioni derivanti dalla scienza medica. Di conseguenza, solo un pericolo

113 Corte cost., sent. 22 giugno 1990, n. 307, in Giur. cost., 1990.

114 CRISAFULLI V., In tema di emotrasfusioni obbligatorie, in Dir. e soc., 1982. 115 Così MODUGNO F., op. cit.; SANDULLI A.M., La sperimentazione clinica

sull’uomo; CARLASSARE L., L’art. 32 della Costituzione e il suo significato; VINCENZI AMATO D., op. cit.; LUCIANI M.,op. cit.; PEZZINI B.,op. cit.

116 Che secondo Crisafulli è di carattere relativo, per Pace, invece, è di carattere

di eccezionale gravità, per intensità, estensione e incontrollabilità, può condurre al sacrificio di diritti fondamentali e inviolabili. Il TSO Non deve incidere negativamente sulla salute di chi vi è assoggettato e il fine del trattamento deve essere quello di evitare un pericolo o un danno per la salute della collettività. Dal combinato disposto del primo e del secondo comma dell’art. 32 Cost. si comprende che nell’imposizione di un trattamento sanitario obbligatorio debbano coesistere l’interesse dell’individuo alla salute e quello della collettività.

Deve essere espresso in modo determinato: la legge deve stabilire i principi e i coefficienti essenziali della disciplina (presupposti, soggetti, limiti), deve imporre un singolo e specifico trattamento sanitario e può obbligare solo a quel determinato trattamento; non è possibile un’ipotetica legge che, anziché determinare il singolo e specifico trattamento reso obbligatorio, sancisca un generale obbligo di curarsi e di mantenersi in buona salute.

Sul piano giurisprudenziale, la Corte costituzionale nel corso degli anni ’90 ha delineato i principi cardine della disciplina.

La sentenza n. 307 del 1990, statuisce che «la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacché è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. [… ] Un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è

assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili117».

Per quanto riguarda l’ipotesi di un danno alla salute del soggetto sottoposto al trattamento sanitario obbligatorio, nella medesima sentenza, la Corte costituzionale sottolinea la necessità di «un corretto bilanciamento fra le due suindicate dimensioni del valore della salute, salute come diritto fondamentale dell’individuo e