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Una morte dignitosa

CAPITOLO III: AUTODETERMINAZIONE E FINE VITA

5. Una morte dignitosa

Così “tentammo un giorno di trovare un modus moriendi che non fosse il suicidio né la sopravvivenza234

Paradossalmente, proprio quando la tecnologia medica è sempre più capace di posticipare, dilatare, sospendere e a volte invertire il naturale processo del morire, le persone sono sempre meno libere di prendere decisioni riguardo alle modalità e ai tempi della propria morte.

La Corte costituzionale nell’ordinanza di rimessione, analizzata nel paragrafo precedente, ha precisato che non è ricavabile dall’art. 2 della Costituzione, né dall’art. 2 CEDU, un diritto ad ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire.

Tuttavia, il proposito non tanto è quello di ricercare le fondamenta del diritto a morire in sé, piuttosto quello di individuare il diritto a morire con dignità.

Se è vero che la Corte EDU nel tutelare il diritto alla vita non garantisce un “diametralmente opposto” diritto alla morte, è altrettanto vero che gli ordinamenti che consentono il suicidio assistito non violano di per sé l’art. 2 CEDU235.

234 MONTALE E., dal Diario del '71 e '72.

235 Corte europea dei diritti umani, Caso Pretty c. Regno Unito, Sent. 29 aprile

Qualche anno dopo la stessa Corte accentua tale ratio e afferma che «il diritto di un individuo di decidere quando e in che modo porre fine alla propria vita, a condizione che egli sia in grado di orientare liberamente la propria volontà a tal fine e di agire di conseguenza, è uno degli aspetti del diritto al rispetto della vita privata ai sensi dell’art. 8 della Convenzione236 ».

La sussistenza di tale diritto, riconducibile all’art. 8, non impedisce agli Stati di regolare con una certa discrezionalità le diverse ipotesi che la Corte accorda ad essi, attraverso il riconoscimento di un margine di apprezzamento ampio, in ragione della delicatezza e complessità della materia. In Europa, infatti, le normative sul fine vita sono molto diversificate: in Italia è rappresentata dalla regolamentazione sulle DAT, in altri Stati (Svizzera, Olanda, Belgio e Lussemburgo) si pratica da tempo il suicidio medicalmente assistito, in altri ancora (Belgio e Olanda) è prevista in casi ben definiti l’eutanasia in età pediatrica.

La riflessione a margine dei casi precedentemente delineati conduce l’elaborato ad analizzare la controversa relazione tra il diritto all’autodeterminazione e la dignità umana. Appare necessario un cenno al concetto di dignità al fine di definirlo. La dignità ha molteplici significati, innanzitutto è rispetto della persona, si fonda sull’habeas corpus, è una dote dell’individuo in quanto tale, ma è anche autodeterminazione, il singolo può compiere le scelte che

236 Corte europea dei diritti umani, Haas c. Svizzera, Sent. 20 gennaio 2011, ric. n.

riguardano la propria vita. Essa è anche intesa come pari dignità sociale, non c’è alcuno che è più degno di altri.

La dignità nasconde un “doppio volto237” e questo differenzia le tesi in dottrina.

Secondo un primo filone di pensiero, che tende ad una soggettivazione della dignità, i profili soggettivi, volitivi e psicologici della persona assumono una predominanza determinante238 e il processo di soggettivazione colloca esclusivamente “nella persona il luogo della sua determinazione239”.

Secondo questa tesi è possibile rilevare una dicotomia fra “l’esistenza biologica” e “l’esistenza dignitosa” e ravvede, nel combinato disposto fra gli artt. 32 e 2 Cost., la facoltà del soggetto di giudicare la propria esistenza e nel qual caso in cui non corrispondesse al proprio progetto di vita, in virtù del principio di autodeterminazione, potrebbe porvi termine240.

Il secondo filone, in una dimensione oggettiva, guarda alla dignità umana come strumento di bilanciamento degli altri diritti, arrivando a riconoscerla quale diritto super- costituzionale241. La dignità, dunque, appare come un elemento intrinseco dell’uomo e la sua presenza persiste dal momento della nascita al momento della morte, al di là delle condizioni fisiche e cliniche in cui si trova il soggetto.

237 L’espressione ripresa da BECCHI P., Il doppio volto della dignità, in Rivista

internazionale di filosofia del diritto, 2012.

238 CERRI A., Osservazioni a margine del caso Englaro, in astrdonline.it, 2009. 239 RODOTÀ, Il diritto di avere diritti, Roma-Bari, 2013.

240 STAIANO S., Legiferare per dilemmi sul fine vita: funzioni del diritto e

moralità del legislatore, in federalismi.it., n. 9/12

241 RUGGERI A., Il testamento biologico e la cornice costituzionale (prime

In tal modo, secondo questa tesi, non sussiste alcuna separazione fra il biologico ed il personale e la dignità assurge a limitazione dell’autodeterminazione.

A livello giurisprudenziale, sovranazionale, assumono rilievo alcune pronunce in cui la dignità viene configurata come limite all’autodeterminazione individuale.

Partendo dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea che, nel celebre caso Omega242, ha riconosciuto come la dignità umana, integrando il concetto di ordine pubblico, può limitare la libertà di prestazione dei servizi.

Sulla stessa scia, si colloca la sentenza della Corte Suprema tedesca nel vietare la pratica dei “peep-shows243” ritenuti lesivi della dignità delle donne, nonostante queste fossero consenzienti244.

Infine, il Consiglio di Stato francese vieta il lancio di persone affette da nanismo, sostenendo che l’impiego di persone con diversità fisiche per questione ludiche, per quanto consenzienti, comporti una lesione di quella dignità innata dell’uomo. Tali questioni, pur non attenendo ad una questione di fine vita, risultano adatti a spiegare la logica della tesi, sia perché sono espressioni della dignità in senso oggettivo, sia perché chi sostiene questa interpretazione asserisce come i soggetti, anche quando ne fanno richiesta, non debbano essere aiutati a morire, bensì accompagnati (attraverso cure palliative) nel morire.

242 Corte di Giustizia europea, 14 ottobre 2004, C-36/02, Omega

243 Si tratta di spettacoli che potevano essere osservati solo da apposite cabine,

attraverso uno spioncino.

244 Bundesverwaltungsgericht 64, 274, 1981; e Bundesverwaltungsgericht 84, 314,

È proprio sul fine vita, invece, che si colloca una sentenza, tutta italiana, che per quanto abbia fatto discutere fa altrettanto riflettere. La Cassazione penale, sulle condizioni di detenzione di Salvatore “Totò” Riina, citando più volte “il senso di umanità” della pena, riconosce il “diritto a morire dignitosamente245”.

Lungi dal voler analizzare la sentenza dal punto di vista penalistico, si vuole puramente portare all’attenzione che la Corte sul piano della dignità del morire abbia guardato unicamente all’individuo, che prima di essere reo, è un essere umano.

In conclusione, al di là del rischio di una eccessiva oggettivazione o soggettivazione della dignità, non è possibile assimilare situazioni giuridiche diverse: da un lato, il diritto soggettivo a rifiutare le cure che può comportare, in talune circostanze, il “lasciarsi morire”, dall’altro, una libertà di porre fine alla propria vita che non equivale ad un obbligo dello Stato e di terzi di darvi esecuzione.

CONCLUSIONI

Giunti alla fine del percorso sulle criticità e sui dubbi lasciati dal legislatore nel 2017 appare evidente che ogni vuoto dell'ordinamento è pericoloso e pone indirettamente un limite all'autodeterminazione nelle scelte di fine vita.

In tale contesto non si tratta di attribuire ad un soggetto la possibilità di scegliere la morte piuttosto che la vita, ma di permettergli di esercitare a pieno il proprio diritto alla salute, nella sua più ampia accezione di completo benessere fisico mentale e sociale e nei limiti dell’art. 32 comma 2° della Costituzione che sancisce il rispetto della persona umana.

E se tale rispetto rappresenta un limite alla presenza del diritto, questo dovrebbe comunque rispecchiare la condizione concreta dell’essere umano calandolo nella realtà in cui vive.

D’altra parte, per mettere al centro della medicina le persone e la loro semplice umanità, lo Stato non può rinunciare a tutelare tutti i soggetti, difendendo la fondamentale uguaglianza senza dimenticare che sotto la malattia, dietro il paziente c'è un essere umano.

Pertanto, il monito al legislatore è quello di considerare la L. 219 non come un traguardo nelle scelte di fine vita, ma come punto di partenza, per trovare una strada, quanto più possibile tracciata e sicura, per guidare e tutelare le scelte e delineare, secondo diritto, i margini di quei punti, lasciati “aperti” dal legislatore: precisare se e in che modo l’obiezione di coscienza entra in gioco nell’ambito del fine vita, chiarire quando la terapia diviene accanimento terapeutico e tracciare una disciplina applicabile all’incapace di fatto.

Nonché seguire le attualissime linee guida dettate dalla Corte costituzionale in merito all’aiuto al suicidio al fine di normatizzare che questo, a determinate condizioni, non è punibile.

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