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Il paziente incosciente

CAPITOLO III: AUTODETERMINAZIONE E FINE VITA

1.3 Il paziente incosciente

L’idea di dover decidere sul fine vita non è ancora culturalmente radicata nel nostro Paese.

Alla luce del fatto che tuttora manchi una banca dati e una campagna di informazione, appare ragionevole ipotizzare che il numero effettivo di disposizioni anticipate, nell’immediato, non sarà elevato e ciò potrebbe dare vita a numerose incertezze.

184 Cfr. G. MONTANARI VERGALLO, Il rapporto medico-paziente. Consenso e

In realtà, il legislatore del 2017 aveva avvertito il problema, tanto che l’On. Mara Mucci aveva presentato un emendamento con il quale chiedeva di aggiungere all’art. 4 il comma 5-bis, che avrebbe avuto il seguente testo: «Nel caso in cui il paziente non sia cosciente e non abbia dettato DAT, né abbia nominato un fiduciario, il coniuge, la parte in unione civile, il convivente o ciascuno dei parenti fino al quarto grado, può rivolgersi al giudice tutelare per chiedere l'autorizzazione all'interruzione dei trattamenti sanitari, ivi comprese la nutrizione l'idratazione artificiali, per assecondare la volontà del paziente stesso, direttamente o implicitamente manifestata nella vita pregressa in modo univoco185».

Questa soluzione avrebbe dato rilievo normativo a tutte quelle ipotesi in cui i familiari o i tutori, facendo risaltare la personalità del soggetto ormai non più capace, potevano ragionevolmente sostenere che lo stesso non avrebbe acconsentito a proseguire la propria vita in quelle determinate condizioni. In buona sostanza, si dava riconoscimento alla lunga vicenda giurisprudenziale che ha condotto a risolvere il caso Englaro, utilizzando i parametri delineati dalla stessa Corte di Cassazione.

Tuttavia, l’emendamento fu respinto e ad oggi si ritrova la regolamentazione dei soli casi di soggetti interdetti e inabilitati186 per i quali, in assenza di disposizioni anticipate di trattamento, è prevista la possibilità che il rappresentante legale o l’amministratore di sostegno187, rifiuti il trattamento, compreso quello salvavita.

185 http://www.camera.it/leg17/126?idDocumento=3599 186 Art. 3, legge 22 dicembre 2017, n. 219.

Nell’eventualità in cui il medico dovesse ritenere che le cure rifiutate dal rappresentante siano invece appropriate e necessarie, la decisione sarà rimessa al giudice tutelare su ricorso del rappresentante legale della persona interessata o del medico o del rappresentante legale della struttura188.

Il giudice tutelare del Tribunale di Pavia189 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 219, nella parte in cui stabilisce che l’amministratore di sostegno in assenza delle disposizioni anticipate di trattamento, possa rifiutare, senza l’autorizzazione del giudice tutelare, le cure necessarie al mantenimento in vita dell’amministrato; poiché in contrasto con gli articoli 2, 3, 13 e 32 della Costituzione. L’ordinanza evidenzia la necessaria partecipazione dell’organo giudicante all’accertamento della volontà del soggetto impossibilitato ad esternarla e lo individua come passaggio essenziale per l’emissione di un provvedimento che ordini il distacco del supporto vitale. Secondo il giudice tutelare, l’amministratore potrà soltanto trasmettere la volontà precedentemente formatasi del soggetto e in ragione dell’inviolabilità del diritto alla salute, nella sua accezione negativa, questo non può essere, in nessun caso, delegato completamente a terzi.

La Corte costituzionale, investita della questione, rileva che la disposizione in esame non disciplina l’istituto dell’amministrazione di sostegno, che rimane ancorato alle norme del Codice civile (artt. 404 ss.), ma regola l’ipotesi

188 Art. 3, com. 5, legge 22 dicembre 2017, n. 219. 189 Tribunale di Pavia, sez. II, RG 933/2008.

in cui questi venga nominato dal giudice a tutela di una persona sottoposta a trattamenti sanitari.

Precisa, infine, che l’art. 3 non attribuisce direttamente all’amministratore di sostegno il potere di esprimere o meno il consenso informato ai trattamenti sanitari di sostegno vitale, ma è il giudice tutelare, al momento della nomina, ad individuare e a circoscrivere i poteri dell’amministratore, anche in ambito sanitario, secondo le caratteristiche del caso e le esigenze della persona protetta.

In conclusione, dal testo definitivo della legge non risulta alcuna disciplina applicabile alla persona incapace di fatto e per cui non è prevista alcuna misura di protezione (amministratore di sostegno o fiduciario), nonostante egli non sia concretamente in grado di autodeterminarsi. È da sottolineare che quella degli interdetti e degli inabilitati costituisce una categoria molto ampia. Soggetti che potrebbero essere affetti, assieme ad altre patologie, da una totale incapacità di comunicare o essere totalmente privi della capacità di discernimento, in tali casi non avrebbero potuto comunque formulare una disposizione anticipata, non avendo mai avuto la possibilità né la capacità di esprimersi. Per questa ragione non è possibile estendere automaticamente la disciplina prevista per gli interdetti o inabilitati a chi, non era limitato ab origine della propria capacità legale, ma si trovi, invece, in una condizione di sopravvenuta incapacità di fatto190.

Si potrebbe allora ritenere che un soggetto divenuto di fatto incapace potrebbe essere sottoposto alla procedura di

190 Così PICCINNI M., Prendere sul serio il problema della “capacità” del paziente

interdizione o di inabilitazione o potrà essergli assegnato un amministratore di sostegno. Tuttavia, questo potrebbe creare ulteriori questioni, come il caso in cui il soggetto, essendo stato in grado di decidere, abbia volontariamente omesso di sottoscrivere una disposizione anticipata, affidandosi così, esclusivamente all’ars medica.

E se il legislatore ha deciso di non prendere posizione in merito, l’unico modo per dare voce al diritto di autodeterminazione terapeutica degli incapaci pare essere quello del giudizio sostitutivo per verificare la volontà presunta, utilizzando i criteri dettati dalla sentenza della Cassazione sul caso Englaro: vissuto del paziente, personalità, convincimenti etici, religiosi culturali e filosofici che ne orientavano comportamenti e decisioni. D’altronde «il caso Englaro non è un “modello” di prassi senza legge, ma un grido al Parlamento191».

Conclusa l’analisi della legge, dei dubbi e delle criticità che ancora aperte, lo studio si sposta sulle vicende umane e cliniche che hanno contribuito alla genesi della legge in materia fine vita.

2. IL CASO WELBY – OGGI: NELLA VIGENZA DELLA