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PAZIENTI UMANI Autodeterminazione e scelte di fine vita

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di Laurea

PAZIENTI UMANI

Autodeterminazione e scelte di fine vita

Candidata:

Relatore:

Emilia Iannella

Prof. Luca Righi

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INDICE

INTRODUZIONE ... 3

CAPITOLO I: IL DIRITTO ALLA SALUTE TRA STORIA E COSTITUZIONE. 1. L’evoluzione della nozione di salute: dall’“assenza di malattia” al “benessere”. ... 5

1.1 La salute nel novero dei diritti fondamentali di 2a generazione ... 10

1.2 L’indisponibilità del diritto alla salute. ... 14

2. La genesi dell’articolo 32 Costituzione. ... 19

2.1 L’art. 32 Costituzione tra programmaticità e precettività. . 27

CAPITOLO II: TRATTAMENTI SANITARI E AUTODETERMINAZIONE: CONSENSO INFORMATO E TSO. 1. Dal paternalismo del medico all’alleanza terapeutica. ... 31

2. L’autodeterminazione terapeutica ... 36

2.1 Le due facce dell’autodeterminazione: consenso e rifiuto. 39 3. Eccezione alla volontarietà del trattamento: i TSO. ... 49

3.1 TSO e rispetto della persona umana ... 54

3.2 Un caso discusso: i vaccini. ... 57

CAPITOLO III: AUTODETERMINAZIONE E FINE VITA TRA COSCIENZA E INCOSCIENZA DEL PAZIENTE. 1. Fine vita e D.A.T.: la legge 22 Dicembre 2017, n. 219. ... 62

1.1 L’obiezione di coscienza. ... 72

1.2 Accanimento terapeutico... 76

1.3 Il paziente incosciente ... 78

2. Il caso Welby – Oggi: nella vigenza della L. 219... 83

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4. Il caso Antoniani - Settembre 2019. ... 97

4.1 Aiuto al suicidio. ... 99

5. Una morte dignitosa. ... 108

CONCLUSIONI ... 113

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INTRODUZIONE

Il dibattito sulle questioni etico-giuridiche alla base dell’equilibrio tra autodeterminazione e trattamenti sanitari è, oggi, particolarmente acceso, anche a causa del progresso scientifico e tecnologico in ambito medico. Esso ricomprende molteplici “temi caldi”, dal consenso informato al contrapposto rifiuto al trattamento, in particolare in relazione alle scelte di fine vita, approdando alle disposizioni anticipate di trattamento, tematiche che hanno invaso e diviso l’opinione pubblica.

Lo scenario offerto dalla medicina contemporanea pone nuove sfide al diritto, che in passato si limitava ad accertare la nascita e la morte come evento, ed oggi è chiamato a definire il confine tra “l’essere vivo” e “vivere”, ovvero di stabilire se la pura sopravvivenza mediante macchinari artificiali può essere intesa come vita1.

Il presente elaborato intende analizzare la cornice giuridica e il confine della stessa per comprendere anzitutto la nuova e poliedrica accezione del diritto alla salute e il mutato assetto relazionale nel dualismo medico-paziente dove oggi padroneggia la consensualità della relazione di cura.

Il lavoro svolge una riflessione sull’eccezione alla regola della volontarietà del trattamento e su come essa si destreggia tra la curatela della collettività e il limite invalicabile della dignità personale. Nell’ultima parte lo studio si concentra sull’esame della l. 22 dicembre 2017, n. 219, recante “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

1 PIZZETTI F.G., Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori

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L’analisi si occupa di fotografare quali principi in materia sono stati recepiti e garantiti dal legislatore all’interno della normativa e quali invece sono rimessi all’interpretazione giurisprudenziale.

Infine, attraverso l’analisi sintetica dei casi storici verificatisi nel nostro Paese, che hanno segnato la nascita e l’evoluzione dell’intervento legislativo sul fine vita, si guarderà proprio a queste vicende con gli occhi di oggi per comprendere a pieno la portata della legge recente sulle D.A.T. e carpirne criticità e dubbi interpretativi.

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CAPITOLO I: IL DIRITTO ALLA SALUTE TRA STORIA E COSTITUZIONE.

1. L’EVOLUZIONE DELLA NOZIONE DI SALUTE: DALL’“ASSENZA DI MALATTIA” AL

“BENESSERE”.

Il concetto di salute è particolarmente complesso da delineare: è stato ed è in continua evoluzione poiché intimamente legato alle condizioni sociali ed ambientali, nonché allo sviluppo e perfezionamento della scienza medica.

Contrapporre la salute alla malattia è inevitabile. Taluni hanno sostenuto che non è possibile distinguere l’una dall’altra poiché è la malattia, e non la salute, a manifestarsi come ciò che è oggettiva da sé e che “ci viene incontro”, in breve “ciò che ci invade2”. Al contrario la salute non desta attenzione ma è nascosta in ogni individuo. Proprio per queste sue caratteristiche è la malattia che maggiormente ha, in origine, destato l’attenzione della scienza e dello Stato.

Ripercorrendo le tappe che hanno condotto all’affermazione del diritto alla salute, si osserva il legame sempre più stretto tra medicina e politica, a partire dalle forme embrionali di sanità pubblica in epoca romana, passando per l’istituzionalizzazione medievale della pratica medica, l’istituzione di politiche sanitarie in tema di prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche, nonché, con la nascita dell’eugenetica, la produzione novecentesca di atti normativi volti al controllo demografico, sino a giungere alla considerazione della salute come bene da proteggere all’interno di

2 GADAMER H.G., Dove si nasconde la salute, Raffaello Cortina Editore, Milano,

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programmi di welfare. Nonostante la medicina abbia sempre considerato la malattia in termini individuali, lo stretto legame con la salute pubblica allarga le prospettive della medicina agli aspetti sociali.

Dando inizio all’analisi storica, a partire dall’unificazione nazionale, si evince che la legislazione liberale del neonato Regno d’Italia affrontava il problema della salute essenzialmente in termini di vigilanza igienica e sicurezza pubblica ed appariva strumentale agli interessi dello Stato; mentre il benessere dei cittadini era considerato un fatto privato, legato ad “un’idea solitaria di libertà individuale, priva di spessore sociale”3.

La dottrina, inoltre, riteneva evidente che ad ognuno spettava “di vegliare da sé medesimo alla conservazione della propria salute, non essendo compito dello Stato di surrogarsi all’individuo e di provvedere a tutti i bisogni”4.

È solo nel 1907 con il Regio Decreto n. 636 che venne approvato il primo testo unico in materia sanitaria e che guardava alla salute in termini di completo benessere fisico e mentale5.

Nel periodo fascista la politica igienico-sanitaria veniva strumentalizzata dal regime, il medico era visto come un ingranaggio necessario dell’organizzazione corporativa dello Stato Fascista6 e il campo della medicina era quello della previdenza sociale e dell’assistenza sanitaria.

3 ROSSI S., Dal consenso informato al diritto del paziente di autodeterminarsi alla

cura: radici di un percorso costituzionale, in Aa.Vv., La responsabilità medica, a cura di TODESCHINI N., Torino, 2016.

4 CAMMEO F., Sanità pubblica, Parte I, Principi generali, fonti ed organi

dell’amministrazione sanitaria, in Aa.Vv., Primo trattato completo di diritto amministrativo italiano, a cura di ORLANDO V. E., vol. IV, Milano, 1905.

5 COSMACINI G., Medicina e sanità in Italia nel ventesimo secolo. Dalla

‘spagnola’ alla seconda guerra mondiale, Bari, 1989.

6 FOÀ C., Parole inaugurali, in Corso di medicina corporativa, svolto per iniziativa

della Società italiana di medicina sociale, sezione tecnica del Sindacato fascista dei medici della provincia di Milano, sotto l’egida della R. Università di Milano, Milano, 1937.

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Questa impostazione era dovuta alla tradizionale visione della salute come stato di “non-malattia”, quindi assenza di malessere, menomazioni o processi patologici e dove per malattia, in un’ottica previdenziale, si intende “qualsiasi alterazione dello stato di salute di durata superiore a tre giorni, che richieda l’assistenza medica o chirurgica o la somministrazione di mezzi terapeutici7”.

Una volta abbandonata questa risalente e limitativa nozione, si fa strada una visione in senso positivo della salute, intesa come stato di benessere biologico e psichico della persona da preservare e da sostenere.

Se il presupposto diventa quello per cui ognuno ha il diritto a raggiungere la migliore condizione di salute che sia possibile8, e se ci si riferisce ad una condizione non soltanto statica, ma anche dinamica e relazionale, ecco che la nozione di salute diventa capace di esprimere uno stato complessivo dell’individuo, che “non richiede soltanto interventi di cura, ma anche interventi di tessitura di una trama relazionale e affettiva, senza la quale non vi è un’autentica salute”9.

L’evoluzione sul piano definitorio del concetto di salute viene consacrata nel nostro ordinamento nel 1948 dalla Carta costituzionale nell’art. 32 Cost. che tutela la salute come bene giuridico, considerato oggetto, complessivamente, tanto dell’interesse individuale quanto di quello collettivo.

Tuttavia, sin dalla sua entrata in vigore, l’art. 32 Cost. è stato da alcuni attratto nell’ambito applicativo dell’art. 38 comma 2 Cost. secondo cui “i lavoratori hanno diritto a che siano preveduti ed

7 CINELLI M., Diritto della previdenza sociale: Dodicesima edizione interamente

rivista e aggiornata, Giappichelli editore, 2015.

8 BOBBIO G., Morino M. (a cura di), Lineamenti di Diritto Sanitario, CEDAM,

2010.

9 LUCIANI M., Brevi note sul diritto alla salute, in CHIEFFI L. (a cura di), Il

diritto alla salute alle soglie del terzo millennio. Profili di ordine etico, giuridico ed economico, Torino, 2003.

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assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”.

Il diritto alla salute finiva così per essere ridotto nei limiti di un problema assicurativo e configurato in termini di diritto dei lavoratori all’assistenza sanitaria pubblica e si concretizzava nella previsione anticipata di mezzi idonei a consentire la copertura di determinati rischi considerati inevitabili.10

In questa prospettiva la malattia rappresenta un presupposto dell’intervento statale, un fatto all’insorgere del quale lo Stato è tenuto ad attivarsi per garantire al lavoratore alcune prestazioni anche di natura sanitario-assistenziale.11 Questa impostazione previdenziale del diritto alla salute si basa sulla connessione tra idoneità fisica e potenzialità produttiva della popolazione, che conduceva ad oscurare la piena rilevanza del diritto alla salute, quale diritto dell’individuo che trova garanzia costituzionale indipendentemente dall’intervento pubblico finalizzato alla sua tutela. Di conseguenza la prestazione sanitaria garantita al lavoratore diventava uno degli strumenti attraverso cui lo Stato soddisfaceva il diritto del singolo ad ottenere “mezzi adeguati alle (proprie) esigenze di vita.12

All’inizio degli anni ’70 si assiste ad un cambiamento di questa prospettiva, dovuto soprattutto alla giurisprudenza: la salute inizia ad assumere rilievo in un contesto più ampio, non solo sul luogo di lavoro ma anche negli ambienti di vita.

Nella direzione di un diritto all’ambiente salubre, gli interventi di tutela si sono estesi fino ad assicurare migliori condizioni

10 MONTUSCHI L. – VINCENZI AMATO D., Commento all’art. 32 Cost., in

Branca (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna-Roma, 1976.

11 MORANA D., La salute nella Costituzione italiana. Profili sistematici, Milano,

2002.

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ambientali, sul presupposto che la salute non è da intendersi come una situazione momentanea dell’essere psico-fisico dell’individuo, ma deve riferirsi anche alla sfera esterna in cui questi si muove, vive e lavora, e che costituisce il principale fattore condizionante del mantenimento o della perdita dello stato di salute.13

Nello stesso periodo la giurisprudenza14 iniziava ad affermare l’opponibilità erga omnes del diritto alla salute qualificandolo come diritto primario ed assoluto, aggiungendo che non può considerarsi condizionato o influenzato ad alcun rapporto giuridico15; la stessa dottrina sottolineava come tale diritto può essere minacciato dalle pubbliche autorità così come dai privati.16

La salute oggi è racchiusa in una formula “contenitore” che ha avuto la funzione e il merito di aprire al diritto una dimensione nuova, fatta di situazioni e conflitti che riguardavano la sfera personale, la tutela degli individui, le loro decisioni e i loro atti di disposizione17. La stessa Cassazione stabilisce il principio per cui la salute non si esaurisce nella “mera euritmia organo-funzionale ma in uno stato di completo benessere che coinvolge gli aspetti interiori della vita quali avvertiti e vissuti dal soggetto stesso18”. L’accoglimento di una nozione di salute ad ampio raggio, fondata sulla consapevolezza che si tratta di un bene la cui tutela è volta a rimuovere uno dei principali ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana19, emerge anche dall’analisi della dimensione sovranazionale della sanità.

13 Cfr. LUCIANI M., voce Salute, in Enc. giur., vol. XXVII, Roma, 1991. 14 Corte Cost., Sent. 12 luglio 1979 n. 88.

15 Cass. Civ., S.U. Sent. 21 marzo1973, n.796.

16 Cfr. LOMBARDI G., Potere privato e diritti fondamentali, Torino, 1970. 17 SANTOSUOSSO A., Gli sviluppi del diritto alla salute in Italia, in ‹‹L’Arco di

Giano››, 1994.

18 Sent. n. 208, in Quadrimestre, 1988.

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Nella definizione accolta dall’ONU in sede di costituzione dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS): la salute rappresenta “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di malattia. Il possesso del migliore stato che è capace di raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano”.

Il diritto alla salute mira a garantire non solo l'essere ma anche il “benessere” dell’uomo, poiché l’aspetto biologico dell’individuo si fonde con quello psicologico, sociale e ambientale.

1.1 LA SALUTE NEL NOVERO DEI DIRITTI FONDAMENTALI DI 2A GENERAZIONE

Secondo una classificazione che utilizza un criterio cronologico, operata dalla dottrina costituzionale, i diritti umani sono diritti storici, nati in determinate circostanze, caratterizzate da lotte per la difesa di nuove libertà contro antichi poteri.

Il catalogo di questi diritti si trasforma a seconda di nuovi interessi e bisogni sentiti dalla società; e la storia di questo mutevole elenco può essere scandita in “quattro generazioni”20.

La prima generazione si sarebbe sviluppata intorno al “paradigma proprietario del confine”, la seconda intorno al paradigma del “pieno sviluppo della persona”.

La “terza generazione dei diritti fondamentali” sarebbe, invece, contraddistinta dall’autodeterminazione soggettiva come “potere

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di controllare le modalità di costruzione della propria sfera personale”, la quarta legata al “progresso scientifico21”.

Lo scopo di questa distinzione generazionale dei diritti a prima vista può sembrare quello di fissarli in una dimensione storica, eppure nasconde un’ulteriore classificazione:

- Diritti forti, quelli di 1°a generazione, sono i diritti di libertà, le cd. liberta classiche da una lettura contrattualistica e individualistica americana-francese. Sono diritti definiti naturali e oggi tutelati dal diritto internazionale: il diritto alla vita, il diritto di proprietà, il diritto di difesa. Infine, vengono definiti forti poiché non necessitano di un intervento dello Stato a garanzia degli stessi.

- Diritti deboli, quelli di 2°a generazione, sono i diritti che emergono nello stato sociale e hanno avuto un pieno riconoscimento con le costituzioni della seconda metà del Novecento. Questa categoria ricomprende i diritti economici, sociali e culturali, in cui rientra anche il diritto alla salute. Sono definiti deboli poiché sono i tipici diritti che costano, i cd.

diritti a prestazione poiché richiedono una prestazione da parte

dello Stato affinché metta in atto gli strumenti per renderli effettivi22.

Da ciò si comprendono le difficoltà riscontrate nel riconoscere il diritto alla salute come diritto fondamentale, poiché da questo catalogo erano esclusi i diritti sociali, al contrario vi rientravano le libertà classiche. Luciani ritiene che si potrebbe

21 MARINI G., Il consenso, in RODOTÀ, ZATTI (a cura di) Trattato di biodiritto –

Ambito e fonti del biodiritto, Milano, Giuffrè, 2010.

22 In realtà, oggi è difficile ritrovarsi in questa distinzione poiché anche i primi

diritti costano e necessitano un intervento dello Stato, basti pensare al sistema giurisdizionale a garanzia del giusto processo.

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sostenere l’a-socialità dei diritti fondamentali solo identificando questi ultimi con i soli diritti naturali, pertinenti in quanto tali all’uomo nella sua astratta e isolata individualità. Tuttavia, dai lavori preparatori della Costituzione italiana risulta chiara la volontà dei costituenti di evitare un legame troppo stretto con il diritto naturale23.

È proprio da un’analisi della seduta del 24 aprile 1947 dei lavori preparatori che vediamo per la prima volta il carattere fondamentale accanto al diritto alla salute, dopo un primo intervento dell’On. Sullo che così argomentava la proposta di soppressione dell’allora art. 26 Cost.: “La ragione per cui è stata presentata da noi questa proposta di soppressione [… ] è che questo articolo 2624 non afferma in realtà né diritti di libertà, né diritti sociali.”

Il presidente Terracini chiede all’On. Caronia di argomentare la proposta di emendamento: «La Repubblica si propone la tutela della salute come un fondamentale (corsivo nostro) diritto dell’individuo…».

Caronia espresse una “meritata lode alla Commissione dei settantacinque che non ha dimenticato di consacrare nella Costituzione i principi fondamentali riguardanti la tutela della salute, dando così una preventiva risposta a Sullo, che vorrebbe escludere dalla Costituzione ogni cenno ad una delle più alte funzioni dello Stato e ad uno dei diritti più sacrosanti del cittadino25.”

23 Cfr. LUCIANI M., op. cit.

24 Era questa la prima numerazione dell’articolo che si sarebbe dovuto occupare del

diritto alla salute.

25 Cfr. con il dibattito sull’art. 26 del Progetto di Costituzione della Repubblica, in

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Dunque, il riferimento alla “fondamentalità” del diritto alla salute è stato introdotto in un momento succedaneo rispetto al primo progetto presentato in Assemblea.

Va ricordato a questo punto che la Carta costituzionale richiama l’aggettivo in questione oltre che nei primi dodici articoli e a quelli richiamati all’art. 117, comma 3, solo nell’art. 32 Cost., questo a riprova del fatto che l’opportunità di inserirlo sia stata ben ponderata e che l’intento dei Costituenti fosse quello di rafforzare ed elevare la garanzia accordata alla salute26.

L’altra problematica relativa alla possibilità di delineare il diritto alla salute come diritto fondamentale è data dal fatto che i diritti sociali e i diritti di libertà si basano su due principi diversi: i primi sul principio di libertà variamente espresso nelle disposizioni costituzionali, i secondi sul principio di eguaglianza espresso all’art. 3, comma 2, Cost.

Tuttavia, i due principi non sono da intendersi come contrapposti, alcuni autori ritengono che il principio di libertà rappresenti un presupposto necessario affinché tutti i cittadini a parità di condizioni possano godere delle libertà costituzionali27; altri ritengono che negli ordinamenti democratici i due principi non solo si limitano e si condizionano a vicenda, ma l’eguaglianza diventa il modo di essere delle libertà28. Secondo Corasanti un diritto fondamentale assume rilevanza solo se calato in una puntuale dimensione sociale dove perdura l’integrazione tra eguaglianza e libertà29.

26 MORANA D., op. cit. 2002.

27 CRISAFULLI V., Individuo e società nella Costituzione italiana, in Il diritto del

lavoro, Roma, 1954.

28 BARILE P., Diritti dell’uomo e libertà fondamentali, Bologna, 1984. 29 CORASANITI A., Note in tema di diritti fondamentali, in Dir. e soc., 1990.

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Infine, è da segnalare che senza alcun dubbio il diritto alla salute rientra nel catalogo dei diritti inviolabili, tuttavia occorre fare attenzione a non confondere il carattere della fondamentalità con quello dell’inviolabilità, poiché questo è da intendersi come maggior “protezione” nei confronti del potere di revisione costituzionale30.

Fa notare Morana che il carattere dell’inviolabilità riferito al diritto alla salute si coglie maggiormente in caso di contrasto dello stesso con altri diritti costituzionalmente garantiti e quindi nei confronti di altri diritti di libertà che “si collocano logicamente, anche se non gerarchicamente, su un piano subordinato rispetto a quello della salute.31

1.2 L’INDISPONIBILITÀ DEL DIRITTO ALLA SALUTE.

Come sottolineato dal paragrafo precedente il diritto alla salute viene espressamente presentato nell’art. 32 Cost. come un diritto fondamentale. La dottrina maggioritaria32 ritiene, inoltre, che il diritto alla salute sia intrasmissibile, imprescrittibile, irrinunciabile e indisponibile.

Quanto al carattere dell’intrasmissibilità è innegabile che la salute sia un bene così legato alla persona, che non possa essere trasferito ad altri, al pari di altri beni come il nome o la stessa vita.

30 GROSSI P., Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione

italiana, Padova, 1972.

31 MORANA D., op. cit., 2002. 32 LUCIANI M., op. cit.

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Il secondo carattere, quello dell’imprescrittibilità, fa sì che l’inerzia del titolare del diritto non comporti la sua perdita od estinzione. Rappresenta il “modo di essere della persona e come tale necessariamente fruito fintantoché la persona esiste” 33; pertanto l’individuo ben potrà astenersi e rifiutare le cure per un dato periodo, e successivamente potrà chiedere che gli vengano invece somministrate.

L’irrinunciabilità è dovuta al fatto che essendo il diritto alla salute ancorato al diritto alla vita, questo non ammette alcun atto abnegante. Per cui il soggetto può rifiutare le cure, per un periodo limitato o per sempre, ma in alcun modo, può estinguere il suo diritto ad essere in salute.

Quanto al carattere dell’indisponibilità, occorre fare una distinzione poiché ci sono casi in cui il diritto è assolutamente indisponibile ed altri in cui lo è solo relativamente. La riflessione permette di anticipare una sfumatura del principio di autodeterminazione: le scelte che il singolo compie in relazione al proprio corpo.

Già prima dell’entrata in vigore della Costituzione esisteva una disciplina sia civile che penale diretta al mantenimento dell’integrità biologica: l’art. 5 del codice civile prevede che «gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume»; gli artt. 581 e 582 del codice penale sanzionano atti che cagionano una lesione al bene salute, “lesioni e percosse” l’uno e “lesione personale” l’altro. Ci si chiede, dunque, se tale disciplina sia compatibile con quanto

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stabilito dall’art. 32 Cost. che ha segnato un passaggio epocale, riconoscendo la “posizione centrale alla tutela e alla realizzazione della persona umana [… ] intesa come qualcosa di assolutamente unico e non separabile, composto di corpo e mente34”.

Risulta necessario bilanciare le due posizioni (codicistica e costituzionale) per comprendere i limiti entro i quali gli atti di disposizione del proprio corpo sono consentiti.

La questione di partenza è di carattere etico e giuridico: attiene all’inquadramento del corpo e delle sue parti tra le res in

commercium, cioè tra gli oggetti di situazioni giuridiche

soggettive disponibili secondo gli strumenti negoziali35. Tuttavia, la concezione unitaria della persona umana, dettata dalla Carta costituzionale, impone il superamento di una visione patrimonialistica della persona, e l’efficacia dei contratti aventi ad oggetto il corpo umano è prevalentemente negata in ragione dell’incompatibilità tra libertà assoluta dell’individuo e vincoli di natura contrattuale36. L’indisponibilità qui appare assoluta, tuttavia il divieto di compiere atti di disposizione mediante atti negoziali non limita la libertà del soggetto, ma la rafforza, in quanto “impedisce di subordinarla ad esigenze o interessi di carattere economico37”. Il diritto all’integrità psico-fisica ha assunto rilievo in quanto tutela il corpo come espressione della persona umana; la libera (relativa) disponibilità di tale diritto si riferisce alle relazioni intersoggettive e trova la sua giustificazione nello sviluppo della personalità.

34 Ibid.

35 D’ARRIGO C.M., Il contratto e il corpo: meritevolezza e liceità degli atti di

disposizione dell’integrità fisica, in Familia, 2005.

36 PESANTE M., voce Corpo umano (atti di disposizione), in Enc. dir., Milano,

10/1996.

37 D’ADDINO SERRAVALLE P., Atti di disposizione del corpo e tutela della

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Infine, sorge l’esigenza di chiarire la relazione che intercorre tra salute e integrità fisica, poiché non solo queste sono state nel tempo sovrapposte e corrispondenti, ma la tutela di questa particolare situazione soggettiva, legata alla salute, è quella a cui l’ordinamento ha assicurato la protezione più risalente e costante38.

La dottrina è pressoché unanime nel ritenere che i due concetti non debbano essere confusi39, seppur una parte minoritaria ritiene che “qualunque malattia compromette l’equilibrio dell’essere fisico dell’uomo, così incidendo sull’integrità dell’organismo naturale dell’uomo stesso40”.

È da osservare che non sempre le menomazioni dell’integrità fisica comportano proporzionali o eguali menomazioni della salute, vi sono ipotesi in cui il godimento della libertà di salute si realizza attraverso una lesione dell’integrità, finalizzata al miglioramento del proprio stato di salute o del proprio benessere psicofisico. È questo il caso degli interventi chirurgici finalizzati al mutamento di sesso: la lesione dell’integrità serve a garantire il riequilibrio psicofisico della persona attraverso il superamento del conflitto tra identità sessuale, fisica e psichica41.

La salute non si esaurisce nell’integrità fisica, e viceversa quest’ultima non si dissolve nella salute, ma a ben vedere ci sono ipotesi in cui si sovrappongono e questo avviene quando

38 LUCIANI M., op. cit.

39 ROMBOLI R., La libertà di disporre del proprio corpo, art. 5, estratto dal

volume delle persone fisiche artt. 1-10, Zanichelli editore, 1988.

40 DE CUPIS A., I diritti della personalità, in Trattato di diritto civile e

commerciale Cicu-Messineo, Milano, 1982.

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l’integrità fisica rientra nella nozione di salute; sono i casi in cui la lesione dell’integrità comporta una modifica della normale funzionalità dell’organismo o l’alterazione dell’equilibrio psicofisico del soggetto42.

E se è vero che il concetto di integrità esprime una qualificazione dello stato di salute così come viene “fotografato” in un dato momento, esistono ipotesi di alterazione dell’integrità psicofisica che non limitano la libertà di salute come un semplice taglio di capelli; o i casi più complessi di prelievi ematici a fini probatori che invece incidono sulla libertà personale e sono minime prestazioni personali imposte da un normale e legittimo mezzo istruttorio43.

In conclusione, la differenza tra le due nozioni si fa evidente quando si prende come riferimento unitario la salute e si vada ad osservare la conservazione o il mutamento della stessa, basti pensare a come la scelta di curarsi o non curarsi incide immediatamente sulla prospettiva futura dello stato di salute, e si riflette di necessità sull’integrità della persona, variazione questa che si avverte concretamente solo in un momento succedaneo.

Da ciò discende, dunque, che l’integrità psico-fisica costituisce oggetto del diritto alla salute, in quanto esprime essenzialmente un concetto biologico e di natura statica, “come espressione di qualcosa di esteriore da conservare44”; mentre la salute, si apprezza in una dimensione dinamica, volta a realizzare il più completo sviluppo della personalità umana,

42 MORANA D., op. cit., 2002.

43 Corte Cost., Sent. 24 marzo 1986, n.54 44 ROMBOLI R., op. cit, 1988.

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che varia da soggetto a soggetto ed in relazione al grado di evoluzione della società.

La tutela dell’integrità fisica è in continua evoluzione, si ispira ormai a principi diversi da quelli che hanno ispirato l’attuale disciplina codicistica.

Oggi assurge a ruolo di principio generale di tutela della persona e la sua violazione comporta un risarcimento del cd. danno biologico, un danno subito a causa della lesione del bene salute e che nell’accezione odierna prescinde dalla capacità di produzione di reddito del danneggiato45.

2. LA GENESI DELL’ARTICOLO 32 COSTITUZIONE.

La Carta Costituzionale italiana per lungo tempo è stata l’unica Costituzione del dopoguerra a contenere una disposizione che non solo conferisce rilievo costituzionale all’interesse della salute dei cittadini ma ne dà anche una disciplina.

La prima Sottocommissione non si concentrò molto sul diritto alla salute, poiché non mancavano opinioni contrarie alla sua introduzione, come quella dell’On. Nitti, esponente del fronte liberale, che si oppose all’art. 32 sulla base di argomentazioni pratiche: inserire un diritto alla salute dell’individuo è una “presa in giro”, non è possibile considerando la situazione dell’Italia del dopoguerra «in cui manca e per parecchi anni mancherà un po’ di tutto. E noi assumiamo proprio adesso, improvvisamente, l’impegno di assicurare tutte queste cose che non potremo, per parecchi anni assicurare? Ora, credete

45 La Corte di Cassazione in numerose sentenze nel decennio 81-91 ha riconosciuto

il principio di autonoma risarcibilità del danno alla salute come danno all’integrità psicofisica ritenendo che esso si ricollega direttamente all’art. 2043 c.c.

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che sia buona procedura promettere in nome della Repubblica ciò che non si può mantenere? [… ] Non promettere nulla non potendo mantenere: questa dovrebbe essere la prima regola di onestà46».

Questa osservazione47 venne poi superata, perché al di là della situazione finanziaria, e al di là di quello che era possibile fare in quel momento, prevalse un approccio di prospettiva: l’idea di uno stato che interviene, che sia attore; questo perché l’art. 32 era una declinazione concreta di un principio fondamentale, ovvero il principio di uguaglianza dell’art. 3 Cost., quindi la tutela delle condizioni di salute rappresentava un intervento concreto per garantire l’uguaglianza sostanziale.

L’attuale testo dell’art. 32 Cost. si deve al Gruppo medico parlamentare che propose 3 diversi articoli:

1. «Lo Stato tutela la salute come un diritto essenziale e fondamentale di ogni essere umano e come interesse della collettività; promuove lo sviluppo della coscienza igienica; assicura le condizioni necessarie perché l'assistenza sanitaria si effettui in modo adeguato per tutti».

2. «Lo Stato assolve tali compiti per mezzo dei sanitari, mediante appositi istituti di previdenza facenti capo ad un unico organo centrale tecnico-sanitario, distinto dagli altri organi del potere esecutivo».

3. «Nessun cittadino può essere sottoposto a pratiche sanitarie non autorizzate dalla legge; la quale non potrà mai

46 Dibattito sull’art. 26 del Progetto di Costituzione della Repubblica, in Atti

Assemblea costituente, seduta del 19 aprile 1947

47 La considerazione di Nitti ebbe un riflesso pratico successivamente, perché

proprio la situazione del Paese nel dopoguerra rappresenta uno dei motivi per cui inizialmente dottrina e giurisprudenza preferirono un’interpretazione

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consentire che le pratiche sanitarie siano esplicate oltre i limiti imposti dal rispetto della personalità umana48». Proposta poi condensata in un unico articolo che inizialmente era l’art. 26, composto da soli due commi: «La Repubblica tutela la salute, promuove l’igiene e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessun trattamento sanitario può essere reso obbligatorio se non per legge. Sono vietate pratiche lesive della dignità umana».

Il comma 1 prospettava una lettura strutturalmente differente da quello attuale, che confinava il diritto alla salute, inteso come “interesse della collettività”, nell’ambito dedicato all’igiene e alla salute pubblica; il comma 2, invece, aveva una formulazione ed un contenuto più simile a quello odierno. Da questa primordiale formulazione il ruolo essenziale del diritto alla salute, come norma cardine dell’ordinamento costituzionale, non emerge in concreto e come afferma Santosuosso, «il diritto alla salute dell’individuo è soltanto una pretesa, di incerta definizione e di difficile attuazione, verso i doveri e le funzioni di salute pubblica dello Stato49».

È importante osservare che se fosse stato scritto per l’impostazione dell’epoca non avrebbe comportato alcuna rivoluzione per il sistema sanitario, e probabilmente nessun cambiamento di approccio e mentalità rispetto al tema salute, questo perché l’art. 32 Cost. nella sua “semplicità” rappresenta la pietra miliare della rivoluzione copernicana che avvenne qualche decennio più tardi (’60 - ‘70) rispetto alla sua entrata in vigore.

48 https://www.nascitacostituzione.it/02p1/02t2/032/index.htm

49SANTOSUOSSO A., Autodeterminazione e diritto alla salute: da compagni di viaggio a difficili conviventi, in Notizie di Politeia, 1997.

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Alla formulazione presentata alla “Commissione dei settantacinque”, venero avanzati numerosi emendamenti e di vario genere, l’eterogeneità degli stessi rappresenta tutta la poliedricità del diritto alla salute e le difficoltà che la Commissione ebbe nel racchiudere in soli due commi la quantità smisurata di situazioni che esso sottende.

Tra i vari emendamenti c’era l’introduzione di una parte dedicata al rapporto fra medico e paziente50, che però fu respinto.

Infine, una volta vinta la questione51 della dipendenza dei diritti sociali da quelli di libertà e la presunzione di identità fra quest’ultimi ed i diritti fondamentali, il testo definitivo dell’attuale art. 32 prese vita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

Si coglie la multidimensionalità della norma in cui sono distinguibili cinque polimorfe situazioni giuridiche soggettive:

1. Diritto fondamentale dell’individuo; la scelta del termine non è casuale, individuo vuol dire persona, essere umano senza ulteriori qualificazioni e viene utilizzato per esaltare la salute come elemento fondamentale.

50 Tale proposta, il cui portavoce era l’On. Caronia, proveniva dal “gruppo dei

medici”, che volevano inserito tale concetto, che però non fu menzionato, poiché rientrante all’interno del rapporto tra privati, curante e paziente.

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Inoltre, individuo è diverso da cittadino, che avrebbe cementato la salute come diritto che costa e in quanto tale strettamente collegato alla fiscalità generale52, senza contare che il termine cittadino avrebbe escluso gli stranieri, regolari e irregolari.

Infine, con il termine individuo la costituzione ha delineato la salute allo stesso modo della libertà di religione o di pensiero, come qualcosa, quindi, che riguarda la persona in quanto tale.

2. Interesse della collettività; l’art. 32 è l’unico che riporta il termine collettività. Le questioni interpretative su questo aspetto sono lineari sotto il profilo soggettivo della definizione: collettività è il complesso dei consociati dove il benessere dell’uno, diviene il benessere di tutti ed un bene sociale da difendere53.

Quanto al profilo oggettivo, questo desta delle problematiche: la collettività funge da contraltare rispetto all’individualità, e questo può limitare il campo delle scelte connesse alla salute individuale; ma può anche ampliarlo, basti pensare agli interessi diffusi che non sono diritti soggettivi o interessi legittimi, e che il singolo potrà far valere solo inserito all’interno di un’aggregazione sociale.

3. Cure gratuite agli indigenti; se tutti gli individui hanno diritto alla salute come diritto fondamentale, questi soggetti, gli indigenti, hanno un diritto alla salute gratuito.

52 Poiché sono le decisioni di bilancio, ex art. 81 Cost., che determinano le

opportunità di godimento dei diritti, il legislatore ha tentato negli ultimi anni di contemperare le esigenze finanziare con la tutela della salute, bilanciando gli interessi costituzionalmente protetti nei limiti oggettivi: risorse organizzative e finanziarie, tenendo presente la delineazione dei LEA.

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Sull’introduzione della locuzione si discusse molto in Assemblea costituente, poiché il termine indigente avrebbe avuto un duplice effetto: da una parte circoscrive ad un nucleo limitato di soggetti il principio della gratuità delle cure, e dall’altra rimette al legislatore l’individuazione di quali soggetti ricadano in tale categoria.

La questione da affrontare è se si tratta di una nozione assoluta, parametrata alla sola capacità reddituale del soggetto, o se invece debba intendersi in senso (anche) relativo, valutando cioè ulteriori elementi connessi al costo delle cure ed alla gravità delle patologie54. Significativa, a tal proposito, è la Sent. n. 309/1999 in cui la Corte Costituzionale aderisce ad una lettura in senso relativo del termine indigenza; sottolinea, infatti, come la definizione dei presupposti soggettivi, oggettivi e procedurali cui ancorare il diritto degli indigenti a cure gratuite si traduca in «valutazioni alle quali non sono estranei margini di discrezionalità apprezzabili solo dal legislatore», e la stessa nozione di indigenza «non possiede un significato puntuale e sempre identico a se stesso» dato che i criteri con cui valutare tale concetto «possono variare a seconda della maggiore o minore onerosità della cura. [… ] Il valore espresso dall’articolo 32 della Costituzione, nel suo puntualizzarsi in un diritto fondamentale del cittadino, può assumere accentuazioni diverse e graduate che dipendono anche dalla gravità della patologia e dall’entità dei rischi connessi dal differimento della terapia55».

54 MORANA D., La salute come diritto costituzionale, Giappichelli editore,

Torino, 2015.

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Ci sono, dunque, cure indispensabili alla vita del soggetto che questi, pur non essendo indigente secondo altri parametri, non può affrontare.

4. Libertà positiva e negativa di cura; qui si entra nell’area dell’autodeterminazione del soggetto, la libertà individuale di scegliere in relazione alle cure. Il profilo positivo si sostanza nella decisione sul “se curarsi” e in tal caso di preferire un trattamento piuttosto che un altro.

Il cd. risvolto negativo56 rappresenta il diritto di non essere curato, ad essere e rimanere malato.

Nel comprendere le diverse situazioni in cui è coinvolto l’interesse del singolo si notano certamente delle complicazioni, poiché il diritto di non curarsi non è configurabile laddove la situazione patologica del singolo può ledere, anche solo indirettamente, la salute della collettività57.

5. L’obbligo di sottoporsi a trattamenti sanitari in base a specifiche disposizioni di legge; se la regola generale in materia di trattamenti sanitari è quella della volontarietà, questo rappresenta l’eccezione. Come si vedrà l’obbligo può darsi solo al fine di preservare la salute come interesse della collettività58.

In realtà, c’è un sesto punto da affrontare: è interessante analizzare le vicissitudini che hanno portato alla chiusa dell’art. 32, che rappresenta il principio limitativo della legislazione impositiva di trattamenti sanitari obbligatori:

56 MODUGNO F., Trattamenti sanitari «non obbligatori» e Costituzione, in Dir.

soc., 1982.

57 LUCIANI M., voce salute.

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«La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana».

La dicitura iniziale era “rispetto della personalità umana”, sostituita da un emendamento presentato dagli On. Rossi Paolo e Moro, che in un primo momento era così concepito: «Non sono ammesse pratiche lesive della dignità umana».

Lo stesso Moro spiegò che intendeva riferirsi alla pratica della sterilizzazione eugenetica59; fortemente criticato e respinto, l’emendamento fu modificato e infine approvato come segue «La legge non può imporre pratiche lesive della dignità

umana».

La formulazione fu criticata sotto vari aspetti, primo fra tutti la genericità «vorrei chiedere ai formulatori di quest’articolo se mi sanno indicare delle pratiche sanitarie che non siano lesive della dignità umana60»; sul piano della superfluità in costituzione «si è ritenuto trattarsi di un dettaglio in cui la Costituzione non dovrebbe entrare61», o ancora sul piano dell’inappropriatezza «una norma simile non esiste in nessuna Costituzione del mondo62».

Infine, dunque, fu attuata un’ulteriore modifica, che portò alla forma attuale «rispetto della persona umana» comprensiva di tutti quei valori essenziali dell’esistenza di ogni individuo: dignità umana, vita, integrità psico-fisica, e riservatezza.

59 Politiche sociali razziste attuate dalla Germania nazista, aventi come fine il

miglioramento della razza mediante l'eugenetica.

60 On. Giuia, Atti Assemblea costituente, seduta del 17 aprile 1947 61 On, Grassi, Atti Assemblea costituente, seduta del 28 gennaio 1947

62 On. Martino Gaetano, Atti Assemblea costituente, seduta del 24 aprile 1947; ad

oggi basti ricordare l’incipit della Legge fondamentale per la Repubblica federale tedesca “La dignità dell'uomo è intangibile. È dovere di ogni potere statale rispettarla e proteggerla”.

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2.1 L’ART. 32 COSTITUZIONE TRA

PROGRAMMATICITÀ E PRECETTIVITÀ.

Nell’ambito del concetto di salute e della sua consacrazione come diritto fondamentale all’interno della Carta costituzionale, ha un ruolo essenziale la discussione interpretativa sulla natura programmatica o precettiva della norma qui in esame.

Difatti, la reale portata dell’art. 32 Cost. stentò ad affermarsi, ed è comprensibile che l’entrata in vigore della Costituzione non abbia coinciso con la sua completa attuazione, a ben vedere, soprattutto in relazione a qualche disposizione particolarmente impegnativa a cagione della sua ampiezza e della natura delle difficoltà che vi si frappongono, quello della attuazione potrebbe anche rivelarsi un compito da giudicare mai esaurito63.

Tra le concause della manchevole applicazione dell’art. 32 c’è l’assetto organizzativo e finanziario del dopoguerra64, ma anche l’equivoco interpretativo del diritto alla salute come diritto programmatico, poiché considerato diritto sociale. Come fece notare Calamandrei in fase di lavori preparatori “in Italia, al momento attuale, non si ha né l'intenzione, né la possibilità di accompagnare l'affermazione di ognuno dei cosiddetti diritti sociali con l'enunciazione dei mezzi pratici posti a disposizione del cittadino per farli valere: ne deriva che i cosiddetti diritti sociali non sono veri diritti, ma sono soltanto programmi, desideri65”.

63 GROSSI P., Attuazione e inattuazione della Costituzione, Milano, 2002. 64 Prospettato da Nitti, vd. supra.

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La visione iniziale della norma portava dunque a ritenere che questa avesse contenuto programmatico e non precettivo, lettura a cui si contrappone quella dalla Corte costituzionale nella sua prima sentenza66, nella quale guarda alle disposizioni costituzionali come tutte norme direttamente applicabili.

Ad ogni modo, adottare l’una o l’altra soluzione non aveva un valore meramente nozionistico, ma portava invece ad un diverso sistema di tutele.

Identificare una norma come programmatica comporta comunque delle conseguenze:

- essa stabilisce un vincolo giuridico (e non meramente politico) a carico del legislatore;

- provoca l’illegittimità costituzionale delle norme gerarchicamente subordinate con esse incompatibili;

- e infine, concorre alla determinazione dei principi generali dell’ordinamento, utilizzabili sia per il superamento delle lacune, sia in sede di interpretazione sistematica67.

Questi, secondo Crisafulli, sono dei “punti fermi”, grazie ai quali una norma programmatica, «lungi dall’essere priva di efficacia o ad efficacia differita, è idonea a produrre la serie suddetta di effetti sin dal momento della sua entrata in vigore68».

Il sistema a tutela della salute, dopo l’entrata in vigore della Carta costituzionale, era quello mutualistico, differenziato sul territorio e non rappresentativo della reale traccia dei

66 Corte cost., Sent. 14 giugno 1956, n. 1.

67 D’ATENA A., Lezioni di diritto costituzionale, Torino, 2012.

68 CRISAFULLI V., Le norme “programmatiche” della Costituzione, Milano,

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costituenti. Questo, fino alla L. 23 dicembre 1978, n 833, che rappresenta una rivoluzione per il sistema sanitario, e con la quale il diritto alla salute esce dall’area puramente assicurativa, affermandosi a tutti gli effetti come diritto primario ed assoluto.

Ai fini dell’esposizione è utile ricordare che i principi della generalità dei destinatari (tutti i cittadini indistintamente), della globalità delle prestazioni (prevenzione, cura e riabilitazione) e dell’eguaglianza al trattamento alla base del novellato sistema, portarono a momenti di profonda crisi e rottura sul piano organizzativo, erogativo e finanziario, e ad indebitamenti sempre maggiori.

L’esigenza di coniugare costantemente la domanda crescente di salute con la limitatezza delle risorse disponibili, portò ad un nuovo modo di pensare l’assistenza sanitaria, in cui le aziende sanitarie sono chiamate a garantire i LEA quali definiti dal PSN nel rispetto dei principi della dignità della persona umana, dell’equità nell’accesso all’assistenza, della qualità della cura, della loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze, nonché dell’economicità nell’impiego delle risorse disponibili, in un contesto caratterizzato da bisogni crescenti a fronte di risorse non sempre sufficienti.

Questo, influenzato dal maturato criterio interpretativo dell’art. 32, ovvero come norma relativamente precettiva: è vero che il cittadino vanta pur sempre un diritto alla tutela della salute, tuttavia tale diritto non è assoluto, ma relativo in quanto limitato, di fatto, dalle risorse economiche destinate a tale scopo.

A conclusione dell’analisi dell’art. 32 i toni ottimistici dell’On. Camangi: «bisogna vederlo nella sua grandiosità, nella

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grandiosità per la quale la pubblica salute deve essere veramente – come ho sentito dire - la suprema legge per la tutela di quel patrimonio fondamentale della Repubblica che è la salute fisica dei cittadini. [...] Io non penso che quanto auspicato possa realizzarsi rapidamente. Molti altri postulati della nostra Costituzione richiederanno del tempo per attuarsi completamente. Quello che importa è affermare il principio e iniziarne volonterosamente l'attuazione69».

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CAPITOLO II: TRATTAMENTI SANITARI E AUTODETERMINAZIONE: CONSENSO INFORMATO E

TSO.

1. DAL PATERNALISMO DEL MEDICO ALL’ALLEANZA TERAPEUTICA.

Il rapporto terapeutico che si instaura tra il medico e il paziente costituisce uno degli aspetti fondamentali del processo di cura e in generale dell’attività medica.

Secondo la tradizione ippocratica tale rapporto si basa su due principi: il dovere del medico di curare bene l’ammalato e l’obbligo del paziente di rimettersi completamente e passivamente alle scelte del medico70.

Il dualismo medico-paziente, tipico di tale impostazione, era basato interamente su una concezione paternalistica della relazione di cura, in cui il malato si affida pienamente al medico che decide sì nell’interesse e a beneficio del paziente, ma sostituendo completamente la propria volontà “medica” a quella del suo assistito71; d’altronde la stessa etimologia del termine paziente indica “colui che subisce passivamente l’altrui azione”.

Dunque, il paziente era concepito come un mero destinatario delle terapie, da soggetto di cura ne diventa l’oggetto.

Viene meno anche lo spazio dedicato alle relazioni umane individuali.

70 MONTANARI VERGALLO G., Il rapporto medico-paziente. Consenso e

informazione tra libertà e personalità, Giuffrè, 2008.

71 Cfr. DONATELLI P., Paternalismo, in E. LECALDANO (a cura di), Dizionario

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Nel XX secolo, il modello paternalistico comincia a subire profonde modifiche. Inizia ad affermarsi l’idea che nonostante l’individuo sia manchevole di competenze in campo medico, non può non esser chiamato a esprimere le proprie opinioni e preferenze sui trattamenti sanitari ai quali voglia o meno essere sottoposto72.

Tra gli anni ’70 e ’90 si sono verificati «tre mutamenti radicali nella vecchia struttura dell’etica medica73».

Essi riguardano:

- la sede del processo decisionale dal medico al paziente; - lo sviluppo senza precedenti della capacità tecnologica medica,

che aumenta notevolmente il grado e la complessità delle decisioni cliniche e politiche nella cura della salute;

- l’introduzione di considerazioni economiche come forze primarie nelle decisioni individuali e politiche circa la salute e le cure mediche, creando con ciò un conflitto tra le regole dell’economia e le regole dell’etica medica tradizionale74. Si prende, dunque, coscienza dell’asimmetria informativa che caratterizza il rapporto medico-paziente: per colmarla il medico è chiamato a ridurre il gap conoscitivo del paziente e ad illustrare, informare e prospettare il trattamento curativo, affinché questi, titolare dell'interesse che la prestazione terapeutica è volta a salvaguardare, sia in grado di esprimere coscientemente il proprio consenso75.

72 Cfr ZATTI P. Il diritto a scegliere la propria salute in Nuova Giur. Civile

Commentata, 2000.

73 PELLEGRINO E. D., THOMASMA D. C., Per il bene del paziente. Tradizione

e innovazione dell’etica medica, Milano, 1992

74 Cfr. ibid.

75 Cfr. BALESTRA L., Efficacia del testamento biologico e ruolo del medico, in

AA. VV, Testamento biologico. Riflessioni di dieci giuristi, Fondazione Umberto Veronesi- Il sole 24 Ore, Milano, 2006.

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La relazione si trasforma, dunque, in un’“alleanza terapeutica76”: un rapporto tra soggetti aventi pari dignità, fondato sulla fiducia e sul rispetto, con l’unico scopo di affrontare i problemi e le difficoltà del paziente.

Questa alleanza può essere definita come un «nucleo di forti relazioni civili, etiche, giuridiche e tecnico-professionali, ogni volta uniche e irripetibili, in cui l’autonomia e la responsabilità della persona si incrociano con l’autonomia e la responsabilità dei professionisti della salute nell’esercizio della loro funzione di cura e di garanzia77». Risulta, quindi, un rapporto basato su relazioni che non riguardano unicamente la salute, ma coinvolgono anche altri aspetti della vita e dell’identità dell’individuo e che per la loro natura sono soggetti ai mutamenti della cultura e della società nel tempo.

Ad oggi il rapporto medico-paziente appare come una situazione tendenzialmente paritaria, dove aleggia un equilibrio tra il dovere di cura del medico e il rispetto dei diritti fondamentali del paziente. Tuttavia, è opportuno osservare che negli ultimi tempi il rapporto medico-paziente si è andato spersonalizzando, poiché l’attività medica non è più opera di un singolo soggetto, ma di un’organizzazione di persone; questo ha comportato diverse difficoltà sul piano della responsabilità e della ricerca dell’errore. Lungi dall’analizzare in questa sede la questione della responsabilità in campo medico, si vuole puramente fotografare l’esigenza sempre maggiore di assicurare una tutela particolareggiata all’individuo che diviene paziente.

76 Espressione coniata dal prof. Edward Bordin nel 1979.

77CASONATO C., CEMBRANI F., Il rapporto terapeutico nell’orizzonte del

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È un processo circolare di partecipazione dove il consenso informato svolge una funzione di sintesi tra diritto alla salute e autodeterminazione; «l'esigenza di ricevere informazioni complete sul trattamento sanitario proposto dal medico (e sulle terapie alternative) garantisce la libera e consapevole scelta del paziente e quindi la sua stessa libertà personale78».

Inoltre, sono rilevanti le disposizioni contenute nell’art. 31 del codice deontologico della professione medica, le quali subordinano al consenso, esplicitamente espresso dal paziente, la comunicazione a terzi di informazioni sanitarie che lo riguardano79.

In piena conformità con l’idea che la libertà di scelta e l’esercizio dell’autonomia degli individui trovino un limite invalicabile nel danno che ne possa derivare ad altri, lo stesso articolo dispone il principio che la tutela della riservatezza possa venir meno "allorché sia in grave pericolo la salute o la vita di altri".

Informazione, consenso e riservatezza rappresentano, dunque, le tre nozioni chiave alla base del profondo cambiamento dal tradizionale modello paternalistico, oggi qualificabile come liberale, incentrato sul principio di autonomia, al quale è sotteso il convincimento che la volontà degli individui adulti e capaci non possa essere compressa o annullata, nemmeno quando il fine che ci si propone è quello di fornire al soggetto i mezzi per raggiungere il miglior stato di salute possibile; soprattutto quando sono in gioco decisioni relative alla propria salute e, in generale, agli interventi sul proprio corpo.

78 MORANA D., op. cit.

79 Principio affermato, dallo stesso codice deontologico, agli articoli 9, 10 e 11,

rispettivamente dedicati al "segreto professionale", alla "documentazione e tutela dei dati" e alla "comunicazione e diffusione dei dati".

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Assumendo che ogni individuo ha il diritto di essere curato, «egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente all’art. 32, secondo comma, della Costituzione80»

L’obbligo informativo ha dunque valore costituzionale, per la sua violazione è previsto un risarcimento autonomo, distinto rispetto al danno alla salute, poiché cagionato da errore medico e in quanto l’interesse tutelato rientra nella previsione dell’art. 2059 del Codice civile81.

Recentemente, l’evoluzione nel rapporto fra medico e paziente ha destato l’attenzione del legislatore che lo ha disciplinato nella L. n. 219 del 2017 che tra i suoi obiettivi principali ha teso a rafforzare e garantire l’autodeterminazione e la dignità del paziente, come presupposto delle scelte di quest’ultimo quanto ai trattamenti sanitari.

Il legislatore del 2017 ha sentito la necessità di assicurare una previa informazione, esauriente ed accessibile, disponendo che «ogni persona ha il diritto di conoscere le proprie condizioni di salute e di essere informata in modo completo, aggiornato e a lei comprensibile [… ] nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell'eventuale rifiuto del trattamento sanitario e dell'accertamento diagnostico o della rinuncia ai medesimi82». Particolare attenzione, infine, è data al modo di comunicare tali informazioni, che può influenzare la scelta terapeutica: il tono di

80 Corte Cost., Sent. 23 dicembre 2008, n. 438. 81 Cass., Sent. 31 maggio 2003, n. 8827 e n. 8828. 82 Art.1, comma 3, L. 22 dicembre 2017, n. 219.

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voce, lo sguardo o un semplice gesto possono rassicurare o meno il paziente; riflessione, questa, che la L. 219 esprime con una formula elegante e ricca di significato: «Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura83».

2. L’AUTODETERMINAZIONE TERAPEUTICA

È stato detto acutamente che nel mare del rapporto terapeutico, il paziente che si autodetermina diviene «l’unico timone della barca […] nella cui vela soffiano venti diversi: le indicazioni del medico, le concezioni, i desideri e le aspettative del paziente stesso.84»

La metafora dà avvio all’analisi del principio di autodeterminazione che riconosce ad ogni individuo la capacità di compiere scelte autonomamente ed in maniera indipendente. Il termine “autodeterminazione” appare per la prima volta nella Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, nel 1791, ripreso poi nel Trattato di Versailles del 1919 dove viene coniata l’espressione “autodeterminazione dei popoli”.

Occorre, innanzitutto, chiedersi se l’autodeterminazione sia un diritto e, in tal caso, se sia un diritto costituzionalmente garantito. Nella nostra Carta costituzionale il termine in questione non è presente; questa segue bensì una logica basata su diritti e libertà, non dà una definizione unitaria di scelta, ma tutela e garantisce la discrezionalità dell’individuo in merito a determinate questioni, che si reputano dover essere protette sempre e comunque.

83 Art.1, comma 8, L. 22 dicembre 2017, n.219; riprende quanto già disciplinato dal

Codice di Deontologia medica del 2014 (all’art. 20).

84 MARZOCCO V., Il diritto ad autodeterminarsi e il “governo di sé”, in Aa.Vv., Il

diritto alla fine della vita, Principi, decisioni, casi, a cura di D'ALOIA A., Napoli, 2012

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Volgendo l’analisi al Codice civile si osserva che neanche qui si trovano riferimenti all’autodeterminazione, seppur si riferisca variamente al diritto e alle disposizioni del singolo.

È solo dall’interpretazione dei testi che si estrae un riferimento all’autodeterminazione, in particolare dall’art. 2 Cost.

A lungo la dottrina si è interrogata sulla funzione del secondo articolo della Costituzione: una parte riteneva che fosse una norma “di chiusura” e quindi come un catalogo chiuso che richiama tutti i diritti e le libertà fondamentali tutelati espressamente dalla Costituzione.

L’altra parte, prevalente, valuta la disposizione come norma “di apertura” che guarda alla funzione dell’art. 2 come “quella di aprire la categoria dei diritti a valori e interessi nuovi che vanno emergendo nella vita sociale, culturale, e politica del Paese; a valori che determinano la Costituzione materiale85”.

Il secondo indirizzo viene seguito anche dalla Corte costituzionale che nelle sue pronunce, ampliando le garanzie della persona, ha sancito nuove fattispecie:

“il diritto ad essere sé stessi86”; “il diritto alla vita87”.

Il principio si collega ad altre importanti norme costituzionali: l’art. 13 Cost.: la scelta “afferisce alla libertà morale del soggetto ed alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità corporea, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile dall'art. 13 Cost.88”;

85 BARBERA A., Art. 2, in G. Branca (a cura di), Commentario della Costituzione.

Principi fondamentali, Artt. 1-12, Zanichelli.

86 Corte Cost., Sent. 24 gennaio 1994, n. 13.

87 Corte Cost. Sent.18 febbraio 1975, n. 27; Sent. 30 gennaio 1997, n. 35; Sent. 25

giugno 1996 n. 223.

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l’art. 32 Cost.: il combinato disposto dei commi primo e secondo fondando l’autodeterminazione terapeutica del malato, esprime il diritto di ciascun soggetto a governare la propria vita e il proprio corpo, sia positivamente, autorizzando i trattamenti sanitari, sia negativamente, rifiutando gli stessi.

Dunque, il principio di autodeterminazione, pur non essendo previsto espressamente e non avendo una definizione unitaria, risulta essere implicito nel nostro ordinamento, essendo funzionale al godimento dei propri diritti, in piena libertà.

Un riferimento all’autodeterminazione si rinviene nell’art. 8 CEDU inserito nel primo comma alla dicitura “Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata”.

Nel leading case in materia, Pretty vs. Regno Unito, la Corte afferma che la nozione di “personal autonomy” è un principio importante nell’ermeneutica dell’art. 8, il quale statuisce il diritto di gestire liberamente la propria vita, inclusa la facoltà di compiere atti ritenuti fisicamente o moralmente dannosi o di natura pericolosa per l’individuo interessato89.

Su questa scia si inserisce il legislatore del 2017 con L. n. 219 il cui filo conduttore è la valorizzazione dell’autodeterminazione, consacrando risolutivamente quest’ultima come diritto fondamentale dell’individuo anche in ambito terapeutico, attraverso la massima espressione del principio: consenso e dissenso.

A conclusione, il diritto all’autodeterminazione differisce dal diritto alla salute; tale diversità è resa palese dalle elementari

89 Corte europea dei diritti dell’uomo, IV sez., Decisione del 29 aprile 2002, Caso

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considerazioni secondo cui, pur sussistendo il consenso consapevole, ben può configurarsi responsabilità da lesione del diritto alla salute se la prestazione terapeutica sia tuttavia inadeguatamente eseguita.

La lesione al diritto all’autodeterminazione non necessariamente comporta la lesione del diritto alla salute, come accade quando manchi il consenso, ma l’intervento terapeutico sortisca un esito assolutamente positivo90. Secondo la giurisprudenza recente «il consenso informato, diritto irretrattabile della persona, deve essere sempre acquisito dal sanitario, salvi i casi d'urgenza, e il risarcimento del danno per la lesione del diritto all'autodeterminazione prescinde dalla riscontrata correttezza tecnica dell'intervento medico praticato. Alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità, la lesione del diritto al consenso informato dà luogo a conseguenze dannose risarcibili, consistenti nella perdita della possibilità di autodeterminarsi in ordine alle scelte da prendere in relazione all'intervento sanitario91».

2.1 LE DUE FACCE

DELL’AUTODETERMINAZIONE: CONSENSO E RIFIUTO.

Anche il tema del consenso informato non trova una disciplina specifica a livello costituzionale, ma si è affermato comunque nel tempo come fondamentale in materia, nella giurisprudenza e nella legislazione.

90 Cfr. Responsabilità medica, diritto e pratica, rivista 2/2018. 91 Cass. civ., sez. III, 15 Maggio 2018, n. 11749.

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L’istituto nasce agli inizi del ‘900 negli Stati Uniti92e le ragioni che ne hanno determinato la piena affermazione sono legate a casi di malpractice medica.

In Europa il Codice di Norimberga del 1947 richiama l’informed consent con una dichiarazione di principio che ben può assumersi, in termini più generali, come: “Il consenso dell’essere umano è essenziale93”.

Un ulteriore riferimento si ritrova all’art. 5 della Convenzione di Oviedo del 1997, il quale stabilisce che «un intervento nel campo della salute non può essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato consenso libero e informato. Questa persona riceve, innanzitutto, una informazione adeguata sullo scopo e sulla natura dell’intervento e sulle sue conseguenze e i suoi rischi. La persona interessata può, in qualsiasi momento, liberamente ritirare il proprio consenso».

In ambito europeo il richiamo al consenso è da ravvisare nell’art. 3 CEDU che al comma 2 dispone che «nell’ambito della medicina e della biologia devono essere in particolare rispettati:

il consenso libero e informato della persona interessata, secondo le modalità definite dalla legge»

Nell’ordinamento italiano, il riconoscimento del consenso informato è stato un processo lento. In assenza di una regolamentazione generale in materia, l’unico sostegno normativo al consenso era la L. n. 145 del 2001 di autorizzazione alla ratifica

92 Corte Suprema del Minnesota, Mohr v. Williams, 1905. «Il primo e più

importante diritto di ogni libero cittadino, che è alla base di tutti gli altri e che è oggetto di un generale accordo, è il diritto all’inviolabilità della persona o, in altri termini, il diritto a sè stessi; questo diritto vieta rigorosamente al medico o al chirurgo, per quanto esperto e di chiara fama, di violare senza permesso l’integrità fisica del suo paziente».

93 GRASSINI E., PACIFICO R., Il consenso informato: Le basi, la pratica e la

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della Convenzione di Oviedo; fino all’entrata in vigore della legge sulle disposizioni anticipate di trattamento nel 2017.

Tuttavia, prima di quest’ultima, vi erano regolamentazioni dell’istituto, ma riguardavano specifiche fattispecie, come la L. 458/1967 sulla modalità di trapianto di rene tra vivi; l’art. 33 della legge n. 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale che esige il rispetto, per quanto possibile, del diritto alla libera scelta del medico e del luogo di cura; o ancora l’art. 3 della più recente L. n. 219 del 2005 in materia di attività trasfusionale e della produzione nazionale degli emoderivati.

Vi era anche l’art. 35 del codice di deontologia medica che insieme all’art. 33 disciplinano i modi di acquisizione dello stesso «Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all'art. 33».

Tuttavia, il codice, essendo considerato una “soft law”, non era vincolante.

Dal punto di vista costituzionale il principio si può ricavare dall’art. 32 Cost. che «il consenso informato rappresenta il diritto del paziente a partecipare alle decisioni relative alla scelta del trattamento sanitario94», e dall’art 13 Cost. che afferma l’inviolabilità della libertà personale.

Sul piano giurisprudenziale due sentenze hanno stabilito le basi del principio del consenso informato: la Corte di cassazione con la

94 LONGO E., SIMONCINI A., voce Art. 32, in Aa.Vv., Commentario alla

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