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Akio Suzuki: Oto-date

Oto-date è un dispositivo minimale di ascolto nello spazio urbano.

Realizzato per la prima volta nel 1996 a Berlino in occasione della prima edizione di Sonambiente a cura di Matthias Osterwold, Georg Weckwerth e Christian Kneisel, questo lavoro sarà poi presentato nuovamente in numerose città europee e asiatiche: a Wakayama (Giappone, 2005), nei quartieri Saint-Germain-des-Prés e Montparnasse di Parigi (2005), a Torino e Bolzano (2006) e, in forma diversa, a Enghien-les-Bains (1997), Kehl/Strasburgo (1997) e Chu-Wei (Taiwan, 2002), al National Museum of Modern Art di Kyoto (2007) e a Hong Kong (2010). Il titolo è una compressione dei termini giapponesi oto (suono), date (preparazione del tè) e tate (punti) ed è un gioco di parole con nodate, che indica una speciale cerimonia del tè all’aperto. Il significato di questo neologismo si avvicina, quindi, a “godere dei suoni all’aperto”.

324 Fran Tonkiss, “Aural Postcards. Sound, Memory and the City”, in Michael Bull, Les Back (a cura di), The Auditory Culture Reader, Berg, Oxford 2003, p. 305 (traduzione mia).

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Si tratta, infatti, di una serie di punti del tessuto urbano selezionati da Suzuki sulla base delle particolari caratteristiche acustiche, dell’intensità sonora e della possibilità di esperire intensi fenomeni di eco (durante la prima realizzazione del progetto nella Fischerinsel a Berlino furono rintracciati 25 punti). Queste “stazioni di ascolto” sono segnalate attraverso un marchio dipinto sull’asfalto, al suolo (fig. 13). Il fruitore è invitato a percorrere lo spazio urbano, a fermarsi sui punti di ascolto e ad ascoltare la riflessione e l’interazione del soundscape urbano con le architetture dell’ambiente costruito. Oto-date articola il camminare in una dialettica di percorso e pausa, stabilendo delle interruzioni nell’attraversamento dello spazio, delle soste ritmiche e intermittenti.

Fig. 13: Akio Suzuki, Oto-date, Torino 2006. Courtesy of the artist and e/static.

Rispetto a Listen – in cui il pubblico è guidato dall’artista stesso che determina percorso, ritmo, inizio e fine dell’esperienza – Oto-date si mostra maggiormente indeterminato e aperto. Suzuki, nel descrivere la versione realizzata a Parigi (che comprendeva due percorsi diversi, uno dei quali consigliato per la notte, l’altro per il giorno), scrive:

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine Les deux parcours diurne et nocturne évoqués ici n’ont pas besoin d’être suivis dan l’ordre ou en continuité. Chacun est libre de joindre les points d’écoute comme bon lui semble, de choisir le moment d’aller sur un point ou de mêler les parcours entre eux. Du petit matin à la soirée, entre le crèpuscole et l’aube, du printemps à l’hiver, différentes intensités sonores et lumineuses renouvellent l’écoute et la perception de la ville et de ses habitants325.

In Oto-date, infatti, la fase performativa, sebbene presente, precede il momento della ricezione: è il momento della ricerca, dell’esplorazione acustica dello spazio, in cui l’artista individua i punti con maggior densità di eco “gettandovi” dei suoni e realizzando degli eventi sonori con un tamburo a fessura in bamboo per testare la risposta dell’ambiente. Si tratta quindi di un’esplorazione volta a mappare lo spazio urbano, a leggerne la struttura uditiva, e l’interazione materiale fra eventi acustici e strutture architettoniche.

Il risultato, però, non è riversato su di una mappa, un diagramma o una rappresentazione, ma si realizza nella costruzione di un dispositivo (benché minimale e lo-fi) impresso nello spazio stesso. Le stazioni di ascolto sono indicate da loghi realizzati con stencil e vernice che prendono ispirazione dai segnali dipinti a terra lungo gli attraversamenti stradali nella regione di Tango, dove vive l’artista, per segnalare ai passanti di fermarsi e prestare attenzione326. Il segnale originale, un cerchio che contiene due impronte di scarpe, è trasformato avvicinando la sagoma dei piedi al profilo di due orecchie. Il pubblico, quindi, è chiamato letteralmente a seguire le orme (e le orecchie) dell’artista nella sua esplorazione spaziale.

L’impronta è anche una delle modalità più ricorrenti di rappresentazione/documentazione delle pratiche peripatetiche nell’arte della

325 Akio Suzuki, “oto-date 2004, Paris”, in Akio Suzuki. Résonances. Ossip Zadkine, Paris Musées, Paris 2005, p. 19.

326 Matthias Osterwold, “Akio the Cat”, in Bernd Schulz, Akio Suzuki (a cura di), “A”. Sound

Works. Throwing and Following, catalogo della mostra, Stadtgalerie Saarbrücken, Saarbrücken

1998, p. 46. Osterwold racconta alcuni degli stratagemmi utilizzati dall’artista per realizzare i suoi stencil sul suolo (nascondersi in una scatola di cartone, chiudere con delle strisce bianche e rosse una cabina telefonica finché la vernice non si fosse asciugata). Le avventure di Suzuki sono raccontate anche in una serie di manga (fig. 16) in cui l’artista si raffigura in forma di gatto mentre vernicia i segnali nella città, nella cabina telefonica, fra le colonne della Galleria Nazionale, rischiando di essere sorpreso da una guardia. Alla fine del fumetto l’artista dichiara: “My tricks will never end as long as the festival lasts. Forgive me, Berlin” (Idem, p. 47).

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seconda metà del XX secolo. Nel primo capitolo abbiamo accennato a Footsteps

on Paper di Stanley Brouwn, una collezione di impronte dei passanti su carta, e a Ground Mutations – Shoe Prints di Dennis Oppenheim, che invece utilizza

l’impronta sulla neve come segno, benché effimero, del passaggio dell’artista. Ancora nel 1969 Oppenheim realizza A Sound Enclosed Land Area in cui registra i propri passi per le strade di Milano su nastro magnetico per poi diffonderli nello spazio espositivo. In quest’ultimo lavoro, l’impronta è traslata nell’incisione sonora della performance realizzata nello spazio urbano che, come nota Nick Kaye, si realizza in “uno scambio fra il corpo e il sito” posizionando il corpo “al centro di un processo di documentazione”327.

Akio Suzuki propone un’impronta dal valore completamente diverso: è un’impronta che chiede di essere ri-percorsa, per-formata. Non è soltanto la documentazione, la traccia di un’azione (l’esplorazione e la mappatura spaziale dell’artista alla base della selezione dei punti di ascolto), quanto l’invito, per il pubblico, a fermarsi, a prestare attenzione e compiere un’azione: ascoltare. Come afferma Shin Nakagawa, “Ci viene richiesto di sentire piuttosto che di comprendere e di agire piuttosto che guardare”328.

Da questo punto di vista il segnale impresso da Suzuki sul terreno ha una funzione molto simile al timbro “LISTEN” utilizzato da Neuhaus, alle sue cartoline e poster appesi per le strade di New York, alle bende che il musicista spagnolo Francisco Lopez utilizza in Blind City ma, a confronto con questi lavori,

Oto-date si presenta come un dispositivo più aperto e indeterminato. Mike

Bullock afferma:

The marks on the ground are a score for us to perform, to create a listening piece for ourselves, and the phenomenal substance of that piece will be determined by the

327 Nick Kaye, Site Specific Art: performance, place and documentation, Routledge, New York 2000, pp. 152-153. Kaye continua: “diffusa nella galleria, questa registrazione dell’attività fisica di Oppenheim, è proposta come una mappa e un ricordo di un luogo particolare, e la traccia di un sito è mediata in un altro” (traduzione mia). Kaye sottolinea quella decontestualizzazione dell’esperienza dell’artista nello spazio di cui abbiamo parlato a proposito del field recording.

328 Shin Nakagawa, “From Concept to Action”, in Bernd Schulz, Akio Suzuki (a cura di), “A”.

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine instrument (our ears) and the setting. He gives us setting and instruction, just as a composer would. We bring the instrument and realize the piece329.

Se i segnali di Suzuki possono essere interpretati come uno spartito, come proposto da Bullock, è chiaro che ci troviamo di fronte a un sistema di notazione completamente diverso rispetto alla tradizione compositiva. I segni di Suzuki sono indirizzati a un esecutore diffuso, allargato, che si identifica col passante; propongono di ascoltare piuttosto che di produrre suoni, seguendo Cage in quel processo di spostamento della prassi creativa dalla produzione alla ricezione di cui abbiamo parlato anche a proposito di Max Neuhaus. Sono spartiti che, piuttosto che richiedere virtuosismo nell’esecuzione, propongono gesti banali e quotidiani come negli scores realizzati dagli artisti legati a Fluxus o da Bruce Nauman e, in seguito, nelle mappe con istruzioni per soundwalks incluse nelle pubblicazioni del World Soundscape Project330; a differenza di questi ultimi, però, le istruzioni di Suzuki sono un ideogramma impresso direttamente nello spazio reale.

Oto-date sollecita la libera improvvisazione del fruitore che ha la

possibilità di costruire una propria sequenza personale, di decidere le modalità della propria partecipazione e determinare la forma della propria esperienza. Non solo il pubblico è libero di scegliere un percorso personale, di fermarsi per un arco di tempo da lui determinato, di procedere con un proprio ritmo, a qualsiasi ora del giorno; il fruitore è anche libero di ignorare la richiesta di Suzuki o, pur non essendo a conoscenza del progetto, di interrogarsi sulla presenza dei misteriosi simboli nello spazio urbano.

L’artista lascia dei segni del suo passaggio, del suo processo di lettura delle interazioni fra suono e spazio urbano, lasciando al semplice passante o al visitatore consapevole la libertà di accogliere il suo invito ad ascoltare attraverso questi punti privilegiati, ripercorrendo le orme della sua esplorazione uditiva dello spazio. Le stazioni di ascolto si configurano come delle finestre uditive aperte sul

329 Mike Bullock, “Akio Suzuki’s Oto-date”, in Akio Suzuki. Ki-date, catalogo della mostra, Ichinomiya City Memorial Art Museum of Setsuko Migishi, 2009.

330 Si vedano Liz Kotz, “Post-Cagean Aesthetics and the ‘Event’ Score”, in October, n. 95, inverno 2001, pp. 54-89 e Jean-Yves Bosseur, Sound and the Visual Arts. Intersections between Music and

Plastic Arts today, Dis Voir, Paris 1993 e, in particolare, il primo capitolo: “The Eyes and Musical

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paesaggio sonoro urbano; forniscono una cornice per l’esistente; invece di aggiungere materiali al reale, vi indirizzano l’attenzione, come nelle celebri cartoline di Yoko Ono Hole to see the sky through (1964-71).

Fig. 14: Akio Suzuki, Oto-date, Torino 2006. Courtesy of the artist and e/static.

D’altronde, per Suzuki, l’ascolto del reale è alla base del suo percorso creativo sin dalle prime ricerche negli anni Sessanta. In una intervista afferma “l’elemento comune di tutte le mie performance era il desiderio di ‘diventare l’ascoltatore’”331. È questa necessità di ascoltare l’esistente, prima ancora che produrre suoni, ad allineare l’artista all’audience, a renderlo partecipe della stessa situazione (e a trovare, anni dopo, una radicale realizzazione in Oto-date). La prima performance realizzata dall’artista nel 1963 alla stazione di Nagoya,

Throwing, from Staircase è indicativa di questa attitudine all’ascolto: l’artista

331 Akio Suzuki in Nobuhisa Shimoda, “Continuing Along the Stepping Stones. Interview with Suzuki” (1993), in Bernd Schulz, Akio Suzuki (a cura di), “A”. Sound Works. Throwing and

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semplicemente getta dalle scale della stazione degli oggetti eterogenei per ascoltarne il ritmo. La serie di performance dell’artista chiamate Self-Study Events sono incentrate sull’ascolto della natura e su interventi minimi e gesti quotidiani in cui il “gettare” ha un ruolo privilegiato: in Visiting the Bach (anche in questo caso il titolo è un gioco di parole con il nome del compositore: bach è il termine tedesco per “ruscello”) l’artista, ogni volta che incontra un corso d’acqua, vi getta una foglia di bamboo per assaporarne il suono. “Gettare suoni nella natura assomiglia a mettere un fiore reciso in un vaso. Se si seguono questi suoni, si trova la musica originale della natura”, afferma l’artista332.

Fig. 15: Akio Suzuki, Space in the Sun, Amino-Kyoto 1988. Foto: Akio Suzuki, 2011. Courtesy of the artist.

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Questa interpretazione del suono come espressione della spiritualità della natura appartiene alla tradizione scintoista ma è legata anche a una visione non dualistica né polarizzata del rapporto fra suono, ambiente e soggetto: “Suoni e rumori sono il mezzo attraverso cui si rivela il carattere processuale della natura, un processo in cui è implicata ogni cosa, inclusa la vita umana”333.

Il rapporto fra soggetto, suono e ambiente è centrale nella ricerca di Suzuki fin dagli esordi e si appoggia a una interpretazione relazionale di questi termini, in cui il soggetto è parte della natura (che non è quindi oggettualizzata) ma che si rivela come processo attraverso l’universo della sonorità. Suono e ambiente sono quindi due termini profondamente interconnessi, per Suzuki. Già la prima performance nella stazione di Nagoya è in realtà la traduzione in azione di un concetto minimale incentrato sul rapporto fra suono e architettura: la convinzione che, se si getta un oggetto da una scala ben bilanciata, si debba ottenere un ritmo piacevole (Suzuki, in questo periodo, pensava ancora di diventare architetto e lavorava in uno studio).

Il curatore Bernd Schulz sottolinea come sia proprio questo elemento a differenziare l’attitudine all’ascolto di John Cage da quella di Suzuki:

Suzuki’s openess to the sounds of nature is connected with a meditative basic stance that does not exclude the self as radically as does Cage’s. For Suzuki, it isn’t enought to simply open one’s ears to the unespected […]; rather, the objectively existing acoustic qualities of a site also have to be taken into consideration. Like hardly anyone else, he seeks the tonal qualities that are part of the atmosphere of a site, a room or specific materials334.

L’eco, il fenomeno acustico alla base di Oto-date, è espressione di questo rapporto all’ambiente ed è, per Suzuki, oggetto di ricerca costante. Negli anni Settanta l’artista inizia a sperimentare la possibilità di produrre l’eco attraverso degli strumenti realizzando infine Analapos, la cui struttura è metaforicamente definita simile a “quella di due specchi uno di fronte all’altro, che si riflettono

333 Bernd Schulz, “Throwing and Following. Akio Suzuki’s Sound Concept”, in Id., Akio Suzuki (a cura di), “A”. Sound Works. Throwing and Following, cit., pp. 22-23.

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all’infinito”. Alla fine degli anni Ottanta questo strumento assume dimensioni abitabili con Space in the Sun (1988, fig. 15), un precedente diretto di Oto-date: si tratta di un dispositivo architettonico per ascoltare i suoni della natura dall’alba al tramonto e “purificare l’ascolto”, progettato e costruito nell’arco di 18 mesi335.

Space in the Sun è un ambiente delimitato da due pareti in mattoni alte 3,2 m e

lunghe 17,4 m a distanza di 7 m l’una dall’altra, privo di soffitto in modo da raccogliere, riflettere e lasciare circolare i suoni della natura.

Fig. 16: Akio Suzuki, Oto-date, Hong Kong, 2009. Foto: Akio Suzuki. Courtesy of the artist.

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Da questo punto di vista sembrerebbe possibile interpretare Oto-date come il risultato di un percorso graduale dell’artista dalla performance alla costruzione di dispositivi di ascolto che equiparano l’autore al pubblico rendendolo a sua volta un semplice ascoltatore, per arrivare, infine, alla semplice ricerca di punti di ascolto già esistenti, da offrire al fruitore. In Oto-date l’eco è cercata e ritrovata nell’ambiente costruito della metropoli, senza necessità di strutture realizzate ex

novo. L’eco è anche una delle figure sonore che Brandon LaBelle utilizza come

filtro per parlare dei territori acustici della metropoli contemporanea. Nota LaBelle:

If sound generally occurs through displacement, moving from a point in time to another, the echo renders this to such degree as to make concrete the vectorizing, temporality of sound […] The echo brings back the original event, though, reshaped or reconfigured, thereby returning sound and rendering it a spatial object: the echo turns sound into sculpture, making material and dimensional its reverberating presence336.

Questa dinamica dell’eco, che contraddice la vettorialità temporale del suono facendo ritornare l’evento al mittente in una forma ri-modellata dallo spazio in cui si trasmette, stabilisce una relazione circolare fra spazio, tempo, suono e soggetto. In Oto-date, quindi, è la relazione fra lo spazio costruito e gli eventi sonori, espressione della processualità della città e della vita dei suoi abitanti, a essere offerta all’ascoltatore sotto forma di percorso attraverso punti di ascolto privilegiati. Come afferma Caterine Grout,

Such an approach opens up a relation to the world that is without hierarchy, judgements of value or taste, one on which each thing, construction or infrastructure, each person and natural elements cohabits with the other […] When we feel that our body is one of the components of the sound moment (by its presence, by the resonance of our ribcage, by the addition of our breath etc.) we are in a state of openness to the world which is that of landscape. It corresponds […] to listening with the body337.

336 Brandon LaBelle, Acoustic Territories, cit., pp. 6-7.

337 Caterine Grout, “Through the Landscape Through Us”, in Akio Suzuki. Résonances. Ossip

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È questa relazione corporea al reale, che si nutre dalla concezione orientale del soggetto come parte di un tutto più ampio, la sfida alla base di Oto-date338. Suzuki non ci chiede uno sforzo, non ci obbliga a una particolare modalità di relazione al mondo (per questo non benda né timbra il pubblico). Suzuki suggerisce al fruitore di aprirsi all’ascolto e a una forma diretta e corporea di relazione al reale. L’artista definisce Oto-date come: “Una proposta di fermarsi nei luoghi segnalati e aprire i propri sensi”, un percorso di “rinnovamento dell’ascolto e della percezione della città”339. Un’apertura sensoriale al reale che fa parte della poetica dell’artista, come abbiamo visto, sin dagli esordi e che si configura come necessità relazionale all’ambiente.

Fig. 17: Akio Suzuki, Oto-date, disegni tratti dalla pubblicazione edita dalla Akademie der Künste, Berlin 1996.

L’artista Paul Panuysen afferma, “per Akio Suzuki la percezione meditata, l’osservazione della riflessione del suono nell’ambiente e l’ascolto profondo sono una modalità di meditazione e il punto di partenza per ridefinire e riadattare continuamente l’equilibrio fra sé e mondo. La sua arte è parte di questo processo”340. Oto-date rappresenta il tentativo di estendere al fruitore questa forma di interazione con l’urbano come esperienza vissuta attraverso il corpo e i sensi; un’esperienza che passa attraverso due azioni ordinarie e banali, l’ascolto e il cammino, e che trova le sue ragioni nella rivelazione della relazione fra

soundscape, ambiente quotidiano, caratteristiche acustiche dello spazio e fruitore.

338 Il lavoro di Akio Suzuki, manifestando una sensibilità marcatamente orientale, articola e al contempo rende evidente la prospettiva prettamente occidentale su cui si assesta questa ricerca.

339 Akio Suzuki cit. in http://www.floraberlin.de/soundbag/index67.html (ultimo accesso 30 ottobre 2011).

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CAPITOLO III

Passeggiate mediate

The Sony Walkman has done more to change human perception than any virtual reality gadget. I can’t remember any technological experience since that was quite so wonderful as being able to take music and move it thorugh landscapes and architecture

William Gibson341

Nel secondo capitolo abbiamo esaminato la dimensione sonora della città e le modalità di relazione con lo spazio urbano messe in campo da una prospettiva uditiva. Abbiamo introdotto le pratiche di ascolto del soundscape e analizzato i progetti di due artisti – Max Neuhaus e Akio Suzuki – che costruiscono percorsi di esplorazione della città immergendo il fruitore-passeggiatore nella temporalità e nella transitorietà dell’urbano. In questa costellazione di ricerche, l’ascolto viene posto al centro dei processi di lettura e di relazione con la città, talvolta in polemica ed esplicita opposizione all’oculocentrismo della cultura occidentale, e