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Guardare al mondo attraverso le orecchie: sound studies

2.1 La città uditiva: ascolto ed esperienza urbana

2.1.1 Guardare al mondo attraverso le orecchie: sound studies

Il mondo visivo è talmente preponderante rispetto al mondo sonoro che solo con molta difficoltà riusciamo ad abituarci al fatto che il mondo dei suoni possa essere altro da un semplice passaggio verso il mondo dei colori e delle forme

Rudolf Arnheim194

Nel 1936 Rudolf Arnheim poteva affermare con queste parole l’incontrastata egemonia della vista nella comprensione e interpretazione del mondo. Possiamo considerare questa posizione ancora valida?

Negli ultimi anni, l’esperienza uditiva e il suono sono stati al centro di un numero rilevante di studi in numerosi ambiti disciplinari. Alla base di questa nuova attenzione è possibile rintracciare un approccio di matrice interdisciplinare che incorpora sviluppi recenti in diversi ambiti di studio: dall’antropologia ai

media studies, dalla linguistica agli studi culturali, dalla sociologia alla ricerca

storica, l’attenzione verso il mondo del suono e dell’oralità è progressivamente cresciuta creando le basi per un vasto campo di studi che è stato definito con il nome di sound studies o di auditory culture. Questo eterogeneo panorama di ricerca si propone di definire e sottolineare il ruolo del suono nella nostra esperienza e comprensione del mondo e, rilevando un’insufficienza epistemologica nella conoscenza visiva caratteristica della cultura occidentale moderna, di aprire il campo a quella che Michael Bull e Les Back chiamano “acoustemology” per investigare l’ascolto come modalità di conoscenza e di

193 Veit Erlmann, “But What of the Ethnographic ear? Anthropology, Sound, and the Senses”, in Id. (a cura di), Hearing Cultures. Essays on Sound, Listening and Modernity, Berg, Oxford-New York 2004, p. 2.

194 Rudolph Arnheim, La radio, l’arte dell’ascolto e altri saggi (Rundfunk als Hörkunst un weitere

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

esistenza nel mondo195. Brandon LaBelle motiva l’attuale impulso dei sound

studies con una aderenza e omologia della conoscenza uditiva alla cultura

contemporanea:

Auditory knowledge is a radical epistemological thrust that unfolds as a spatio-temporal event: sound opens up a field of interaction, to become a channel, a fluid, a flux of voice and urgency, of play and drama, of mutuality and sharing, to ultimately carve out a micro-geography of the moment, while always already disappearings, as a distributive and sensitive propagation. […] This makes sound a significant model for also thinking and experiencing the contemporary condition, for as a relational spatiality global culture demands and necessitates continual reworking. […] Auditory knowledge is non-dualistic. It is based on empathy and divergence, allowing for careful understanding and deep involvement in the present while connecting to the dynamics of mediation, displacement, and virtuality196.

Per LaBelle un paradigma conoscitivo uditivo può divenire un filtro interpretativo coerente per una condizione contemporanea caratterizzata da una trasformazione radicale delle esperienze su scala globale che passa attraverso l’espansione e la costituzione in rete dei mercati economici, dei confini nazionali, delle comunicazioni. In altre parole, l’esperienza sonora potrebbe essere considerata omologa alla “simultaneità onnipresente” caratteristica del mondo contemporaneo197.

195 Michael Bull, Les Back, “Introduction: Into Sound”, cit., p. 3. Questi studi – che potrebbero essere considerati come il contraltare uditivo dei visual studies – sebbene in buona parte di matrice anglosassone, stanno prendendo piede anche in Italia. Per Elena Dominique Midolo, ad esempio, “la tendenza all’atrofizzazione della dimensione aurale/orale, quasi annullata dalla portata epistemologica e ontologica del regime scopico, tradizionalmente legato alla sfera cognitiva e razionale del soggetto […] motiva l’urgenza di una riscoperta del valore del suono e dell’ascolto”; Id, Sound Matters. Orizzonti sonori della cultura contemporanea, Vita e Pensiero, Milano 2007, p. 11. Si veda, in particolare, il primo capitolo: “Dal Paradigma scopico al paradigma orale”, pp. 15-42, in cui l’autrice ripercorre la progressiva affermazione, dall’antica Grecia alla modernità, di una visione dicotomica del rapporto fra corpo e mente (che “spesso si è risolta […] nell’affermazione della superiorità epistemologica e metafisica della ragione sui sensi”, p. 19) e di una gerarchia sensoriale basata sulla vista.

196 Brandon LaBelle, Acoustic Territories. Sound Culture and Everyday Life, cit., p. XVII. Su questo tema, si veda anche la nostra intervista con l’autore: Elena Biserna, “Brandon LaBelle. Da dove vengono e dove vanno i suoni?”, in Digimag, n. 56, giugno-luglio 2010, http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1830 (ultimo accesso 13 settembre 2011).

197 L’espressione “omnipresent simultaneity” è una citazione dalla psicoanalista Edith Lecourt utilizzata per qualificare l’esperienza sonora nella sua analisi dell’esperienza uditiva nella fase prenatale. Cit. in Steven Connor, “The Modern Auditory I”, cit., pp. 214.

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Ma che cosa differenzia un paradigma uditivo da uno visivo e che contributo può offrirci per l’analisi dell’esperienza urbana?

Steven Connor, richiamandosi a Martin Jay, parla di “regime epistemologico dell’occhio” come matrice conoscitiva della cultura occidentale moderna e di una associazione fra vista e pensiero stesso come fil rouge della ricerca filosofica cartesiana e post-cartesiana198. Per Connor, “visualismo significa distanza, differenziazione e dominazione”. Lo studioso anglosassone mette quindi in luce tre aspetti considerati strettamente implicati in una interpretazione visiva della conoscenza e fortemente interrelati.

In primo luogo la conoscenza visiva è una conoscenza “a distanza”, che implica un “soggetto-spettatore” separato dal reale, dall’oggetto, come se lo esperisse attraverso una finestra, per utilizzare una metafora albertiana199. Distanza, quindi, oggettivizzazione del mondo e separazione radicale fra oggetto e soggetto. Anche Salomé Voegelin si esprime in termini simili:

Vision, by its very nature assumes a distance from the object, which it receives in its monumentality. Seeing always happens in a meta-position, away from the seen,

198 Steven Connor, “The Modern Auditory I”, cit., pp. 203-204. In questo saggio, al contrario, Connor richiama alcune aree dell’esperienza – dalle tecnologie uditive come radio e telefono alla fine del XIX secolo, all’esperienza della prima guerra mondiale – che mostrano una maggiore importanza del senso dell’udito o una identificazione fra senso del sé e orecchio. Anche Elena Dominique Midolo sottolinea il ruolo delle tecnologie uditive nel periodo culminante della modernità: se l’era moderna si fonda su “logiche e retoriche della visione […] possiamo affermare come la dimensione dell’ascolto divenga centrale proprio all’apice della modernità. La fine del XIX secolo, nel periodo a cavallo tra gli ultimi decenni dell’ottocento ed il primo conflitto mondiale, testimonia lo sviluppo di tecnologie la cui influenza e impatto sulla società e il suo ambiente sono in toto di natura uditiva: il grammofono, la radio, il telefono”; Id., Sound Matters.

Orizzonti sonori della cultura contemporanea, cit., p. 30.

La convivenza di diverse definizioni e periodizzazioni rende necessaria una precisazione sull’interpretazione di epoca moderna a cui ci atteniamo in questo testo. Indichiamo come moderno il periodo compreso fra il XV e il XIX secolo, che ha inizio con il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e che, nelle note ipotesi di Marshall McLuhan e Walter Ong, è caratterizzato, sul piano tecnologico, dall’invenzione della stampa a caratteri mobili. Nella storia dell’arte questo periodo vede l’affermazione della prospettiva a punto di fuga centrale mentre, sul piano filosofico, si afferma il razionalismo soggettivo cartesiano, spesso considerati, nella loro mutua relazionalità, il modello visuale egemonico della modernità. Martin Jay parla di “Cartesian perspectivalism” in Id., “Scopic Regimes of Modernity”, in Hal Foster (a cura di), Vision and

Visuality, Bay Press, 1988, p. 4 (in questo saggio, Jay riconosce altri due “regimi scopici” nella

modernità identificati, rispettivamente, nella pittura fiamminga e nel barocco).

199 “Alla vista viene associata la mente razionale, il pensiero astratto, la logica distaccata che porta a guardare la realtà attraverso lenti oggettive”: Elena Dominique Midolo, Sound Matters. Orizzonti

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine however close. And this distance enables a detachment and objectivity that presents itself as truth200.

Questo dualismo fra oggetto e soggetto e le possibilità auto-definitorie e auto-riflessive del soggetto moderno stesso (cristallizzate nel noto cogito ergo

sum cartesiano) implicano anche il terzo aspetto sottolineato da Connor: quella

possibilità di dominio sul reale che è la prerogativa dell’uomo moderno. Per lo studioso, “il controllo che la modernità esercita sulla natura dipende da questa esperienza del mondo come entità separata dal sé e dalla definizione del sé nell’atto stesso della separazione che la vista sembra promuovere”201. Sulla stessa linea si pone Roberto Barbanti che attribuisce alla visione tre caratteristiche principali: separatezza, fissità e linearità. La conoscenza visiva, per il il teorico dell’arte, interpreta il mondo

come un universo atemporale, compiuto in ogni sua più piccola parte e totalmente “pre-visto” e “pre-vedibile”. Un universo, quindi che è fisso nel suo essere, lineare nel suo divenire e separato da ogni possibile influenza esterna o interna (il soggetto che percepisce è esso stesso predeterminato e non può, in alcun caso, decidere nulla)202.

È in primo luogo questa netta separazione fra oggetto e soggetto, per gli interpreti di questa linea di pensiero, a essere messa in crisi da un paradigma uditivo: il suono è pervasivo, si diffonde nello spazio, lo satura, ed è per sua natura relazionale, coinvolge ogni corpo gli si frapponga, ne rende osmotici i confini, malleabili le demarcazioni. Il suono non è né un oggetto materiale, né una proprietà o un attributo degli oggetti ma, al contrario, è generato dalle relazioni

200 Salomé Voegelin, Listening to Noise and Silence. Towards a Philosophy of Sound Art, Continuum, New York-London 2010, pp. XI-XII.

201 Steven Connor, “The Modern Auditory I”, cit., p. 204. Anche il filosofo tedesco Peter Sloterdijk richiama questa capacità di auto-osservazione del soggetto moderno in relazione agli sviluppi della filosofia moderna: “Gli occhi sono il prototipo organico della filosofia. Il loro arcano sta nel fatto che essi non solo possono vedere, ma possono anche vedere se stessi vedere”; Peter Sloterdijk, Critica della ragion cinica (Kritik der zynischen Vernunft, 1983), Garzanti, Milano 1992, p. 58.

202 Roberto Barbanti, “Meccanicismo e determinismo: Ovvero come lo sguardo, fissandosi sulle cose, ha prodotto una visione del mondo riduttiva”, in Antonello Colimberti (a cura di), Ecologia

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reciproche fra oggetti e soggetti203. La sfera dell’udibile sarebbe così dominata da leggi profondamente diverse da quelle del visibile; leggi che contraddicono e rovesciano alcune delle dicotomie radicate nel pensiero occidentale: soggetto/oggetto, dentro/fuori, sé/mondo. Michael Bull nota a proposito: “L’uditivo – nella gerarchia dei sensi nel mondo occidentale – si colloca dopo la vista e, comunque, tenta di disturbare le epistemologie ispirate alla vista che diamo per scontate: la chiara distinzione fra soggetto e oggetto, dentro e fuori, sé e mondo”204.

La conoscenza sonora, all’interno della letteratura afferente ai sound studies, sembrerebbe quindi differenziarsi da quella visiva in primo luogo per questo dissolvimento delle nette demarcazioni fra sé e reale, sé e mondo, soggetto, oggetto e contesto. Steven Connor utilizza un’immagine molto suggestiva paragonando la soggettività uditiva a una membrana: “Il sé definito in termini di ascolto […] è un sé immaginato non come un punto, ma come una membrana; non come un’immagine, ma come un canale attraversato dalle voci, dai rumori e dalle musiche”205. Questa definizione del sé come membrana, che include ed è attraversata dall’“altro” propone una interpretazione del soggetto in termini relazionali e dinamici: il soggetto non definibile in modo univoco e una volta per tutte, ma costantemente dissolto e ricreato, continuamente riprodotto206.

203Casey O’Callaghan, Sounds. A Philosophical Theory, Oxford University Press, Oxford 2007.

204 Michael Bull, “Auditory”, in Caroline A. Jones (a cura di), Sensorium. Embodied Experience,

Technology, and Contemporary Art, The MIT Press, Cambridge 2005, p. 112 (traduzione mia). 205 Steven Connor, “The Modern Auditory I”, cit., p. 207 (traduzione mia).

206 Questa decostruzione della dicotomia soggetto/oggetto trova corrispondenza nelle correnti “antioculocentriche” del pensiero filosofico e sociale del XX secolo – dalla decostruzione del soggetto nella psicoanalisi di Jacques Lacan, all’analisi dei dispositivi panottici di potere di Michel Foucault – analizzate da Martin Jay in Downcast Eyes (Martin Jay, Downcast Eyes. The

Denigration of Vision in Twentieth-Century French Thought, cit.). Come afferma Martin Jay,

“Cartesian perspectivalism has, in fact, been the target of a widespread philosophical critique, which has denounced its privileging of an ahistorical, disinterested, disembodied subject entirely outside of the world it claims to know only from afar”; (Martin Jay, “Scopic Regimes of Modernity”, cit., p. 10). Fra questi, Maurice Merleau-Ponty è probabilmente il pensatore che può essere considerato maggiormente vicino a questa modalità epistemologica. Ne La Fenomenologia

della percezione, interpreta la percezione come esperienza primaria, pre-discorsiva, del mondo

fondata sul corpo: il corpo e i sensi sono considerati in rapporto osmotico di implicazione reciproca col mondo, il nostro tramite con il reale, e il paradigma retinico viene rovesciato a favore di una concezione della percezione olistica: come afferma in Senso e Non Senso, “La mia percezione non è […] una somma di dati visivi, tattili, auditivi, io percepisco in modo indiviso con il mio essere totale, colgo una struttura unica della cosa, un’unica maniera di esistere, che parla contemporaneamente a tutti i miei sensi”. Per Merleau-Ponty il corpo è implicato nella percezione e comprensione del mondo in una unità sostanziale fra sensi e intelletto; Maurice Merleau-Ponty,

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La ridefinizione del soggetto al centro dei sound studies contiene i presupposti per una decostruzione del modello spaziale dominante dell’età moderna: lo spazio omogeneo, uniforme e misurabile teorizzato da René Descartes, concretizzatosi negli assi cartesiani e perfettamente omologo alla prospettiva albertiana a punto di fuga centrale (a sua volta fondata su un’interpretazione visuale della percezione spaziale). Se la gabbia prospettica riduce il soggetto della conoscenza a un’unità scorporizzata, monoculare, puntiforme e fissa, l’esperienza sonora, in questi contributi, sembrerebbe rovesciare questa interpretazione e rappresentazione dello spazio. Per Steven Connor,

The rationalized “Cartesian grid” of the visualist imagination, which positioned the perceiving self as a single point of view, from which the exterior world radiated in regular lines, gave way to a more fluid, mobile and voluminous conception of space, in which the observer-observed duality and distinctions between separated points and planes dissolve207.

L’ascolto convoglia una consapevolezza spaziale a 360 gradi e fornisce informazioni non solo sulla natura degli oggetti che popolano il mondo ma, prima di tutto, sulle loro relazioni e interazioni reciproche, il loro costante divenire, la molteplicità di eventi che avvengono simultaneamente.

Spazio cartesiano e spazio sonoro sono anche al centro della riflessione di Marshall McLuhan e della sua analisi degli effetti dei media e delle tecnologie sull’organizzazione cognitiva umana. La stampa, per il massmediologo canadese, sancisce l’atto di nascita dell’uomo tipografico, l’uomo civilizzato, caratterizzato

Senso e Non Senso, Milano, il Saggiatore, 1962, p. 71; Id., Fenomenologia della Percezione

(Phénoménologie de la Perception, Paris, Gallimard, 1945), Milano, Bompiani, 2003.

Dovremmo quindi considerare il postmoderno, come propone Thomas Docherty, come l’epoca che “scopre la necessità e si organizza attorno al primato dell’orecchio e dell’ascolto””? (Thomas Docherty, After Theory, Edimburgh University Press, Edinburgh 1996, p. 172). Gran parte dei contributi che compongono la bibliografia afferente ai sound studies, in realtà, rifiuta ogni semplicistica dicotomia fra la vista interpretata come senso moderno e l’udito come senso anti- post- o pre-moderno. Connor, ad esempio, interpreta l’uditivo come insufficienza, come senso che richiede sempre il completamento degli altri sensi e che, proprio per questo, può essere al centro del recupero contemporaneo: è proprio l’apertura dell’udito all’interazione con un’economia dei sensi non gerarchica, per Connor, a rendere questa prospettiva attuale nell’analisi dei processi culturali.

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da un forte individualismo, dalla specializzazione delle funzioni e dalla frammentarietà rispetto alla società, in un mondo regolato da una visione lineare del tempo e da uno spazio omogeneo di tipo euclideo. Con l’avvento delle tecnologie di tipo elettromagnetico – telegrafo, telefono, radio, televisione – però, il senso della vista è “detronizzato” ed emerge quella che Walter Ong, allievo di McLuhan, chiama “second orality”208. Le categorie spazio-temporali caratteristiche della modernità vengono reinterpretate da McLuhan alla luce dei cambiamenti in atto: i media comunicativi e i mezzi di trasporto odierni permettono uno scambio di informazioni istantaneo e simultaneo annullando il concetto di distanza e di temporalità lineare; “Le nostre estensioni elettriche scavalcano lo spazio e il tempo”209, afferma McLuhan, e permettono una nuova unione collettiva, una partecipazione immediata all’esperienza altrui, amplificando e ramificando profondamente il nostro apparato sensoriale. Lo spazio determinato da queste possibilità è definito da McLuhan in termini radicalmente oppositivi rispetto al modello cartesiano: è uno “spazio acustico”, dinamico, pieno, privo di limiti definiti, privo di centro e periferia e percepibile in modo organico attraverso tutti i sensi210. Se, in McLuhan, lo spazio visuale è associato alle nozioni di asincronia, staticità, sequenzialità, linearità, tecnologia meccanica, specializzazione, isotropia, funzione di contenitore, lo spazio acustico è associato ai termini opposti: sincronia, dinamismo, simultaneità, non linearità, tecnologia elettronica, olismo, anisotropia, funzione di rete. Lo spazio acustico è creato dagli oggetti stessi e dalle loro relazioni e, quindi, è dinamico, in continuo flusso: “Con lo spazio acustico non c’è un vuoto da riempire, ma, invece, uno

208 Walter J. Ong, Oralità e Scrittura. Le tecnologie della parola (Orality and Literacy: The

Technologizing of the Word, Methuen, New York 1988), Il Mulino, Bologna 2002, p. 191.

“Imponendo rapporti non visualizzabili, che sono conseguenza della velocità istantanea, la tecnologia elettrica detronizza il senso della vista e ci restituisce la sinestesia e le strettissime implicazioni tra gli altri sensi”, in Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare (Understanding Media: The Extensions of Man, McGraw Hill, 1964), Net, Milano 2002, p. 121.

209 Idem, p. 115.

210 Edmund Carpenter, Marshall McLuhan, “Spazio Acustico”, in Id. (a cura di) La

Comunicazione di massa (Explorations in Communications, Beacon Press, Boston 1951), La

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spazio creato dalle relazioni reciproche fra gli elementi così come si sviluppano nel tempo”211.

La definizione di “spazio acustico” McLuhaniano evidenzia il carattere processuale e temporale della spazialità compresa in termini uditivi: l’ascolto interrompe, distrugge la fissità della rappresentazione a favore del flusso, del cambiamento nel tempo, conferisce all’oggetto una dinamica temporale.

Anche Michel Chion, nella sua analisi del ruolo del suono nel cinema, riflette sugli effetti temporalizzanti del suono sull’immagine e sulla percezione di movimento e temporalità: il suono è sempre “traccia di un movimento o di un tragitto” e quindi sempre temporalmente orientato, costantemente in trasformazione212.

I suoni possono essere esperiti soltanto nel loro “farsi”, nelle dinamiche del loro continuo cambiamento nello spazio e nel tempo, in una dimensione fluida, in perpetua trasformazione, instabile e transitoria. In una parola, sono eventi o, meglio, catene di eventi in costante riconfigurazione, “accadimenti o avvenimenti che hanno luogo in un ambiente popolato da oggetti e corpi che interagiscono fra loro”213.

Se, come sintetizza Roberto Barbanti, “l’evento vibratorio-acustico, il contesto nel quale accade e il soggetto percipiente sono tutt’uno e ‘compongono’ il suono percepito nella sua durata irriducibile”214; se, quindi, l’ascolto ridefinisce la relazione fra oggetto, soggetto e contesto, cosa comporterebbe, allora, guardare alla dimensione urbana attraverso questa prospettiva?

Applicare un paradigma uditivo all’urbano porterebbe a interpretare la città e chi la attraversa come elementi di un processo relazionale e contingente di definizione reciproca; a pensare alla città stessa come a un campo di eventi effimeri, temporali, in continua ridefinizione, in rapporto biunivoco con chi la abita; a tenere conto del fatto che “una geografia uditiva è una geografia

211 Gordon Gow, “Spatial Metaphor in the Work of Marshall McLuhan”, in Canadian Journal of

Communication, vol. 26, n. 4, 2001, http://www.cjc-online.ca/index.php/journal/ article/viewArticle/1254/1251 (ultimo accesso 7 ottobre 2011).

212 Michel Chion, L’Audiovisione. Suono e immagine nel cinema (L’audio-vision. Son et image au

cinéma, Nathan, Paris 1990), Lindau, Torino 2001, p. 19.

213

Casey O’Callaghan, Sounds. A Philosophical Theory, cit., p. 11 (traduzione mia).

214 Roberto Barbanti, “Meccanicismo e determinismo: Ovvero come lo sguardo, fissandosi sulle cose, ha prodotto una visione del mondo riduttiva”, cit., p. 95