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Soundscape e percorso

2.1 La città uditiva: ascolto ed esperienza urbana

2.1.3 Soundscape e percorso

[Il “ritmoanalista”] è sempre all’ascolto, ma non sente solo parole, discorsi, rumori e suoni; è capace di ascoltare una casa, una strada, una città, come si ascolta una sinfonia, un’opera. Ovviamente, cerca di conoscere come questa musica è composta, chi la suona e per chi

Henri Lefebvre232

Questa costellazione di ricerche ci ricorda che la città non è solo un agglomerato di edifici, né solo un paesaggio visibile, ma anche un paesaggio orale, una geografia di eventi in continua ridefinizione. Come nota Fran Tonkiss, sia Benjamin sia Simmel si soffermano sull’esperienza visiva della metropoli moderna, ma la città moderna “non è solo spettacolare, è sonora”233. L’esperienza urbana quotidiana di inizio secolo, era caratterizzata anche da un forte impatto in

231 Già nel 1957 Steen Eiler Rasmussen, architetto, urbanista e teorico danese, intitola Hearing

Architecture l’ultimo capitolo della raccolta di saggi pubblicata nell’edizione inglese con il

significativo titolo di Experiencing Architecture [Steen Eiler Rasmussen, L’Architettura Come

Esperienza (Om at opleve arkitektur, G. E. C., Copenhagen 1957), Pendragon, Bologna 2006].

Bisognerà poi aspettare gli anni Novanta per trovare altri contributi di rilievo a questa bibliografia: Juhani Pallasmaa, Gli Occhi della Pelle. L’architettura e i sensi (The Eyes of the Skin.

Architecture and the Senses, John Wiley & Sons, Chichester 1996), Jaca Book, Milano 2007;

Elisabeth Martin, Pamphlet Architecture 16. Architecture as a Translation of Music, Princeton Architectural Press, New York 1994; Mikesch W. Muecke, Miriam S. Zach (a cura di),

Resonance: Essays on the Intersection of Music and Architecture, Culicidae, Ames 2007; Colin

Ripley con Marco Polo, Arthur Wrigglesworth, In the Place of Sound. Architecture, Music,

Acoustics, Cambridge Scholars, Newcastle 2007; Barry Blesser, Linda-Ruth Salter, Spaces Speak, Are You Listening?: Experiencing Aural Architecture, The MIT Press, Cambridge 2006; Valeria

Merlini (a cura di), “La città suonante/Die klingende Stadt”, atti del simposio, in Atlas, n. 31, 2007; Ted Sheridan, Karen Van Lengen, “Hearing Architecture. Exploring and Designing the Aural Environment”, in Journal of Architectural Education, vol. 57, n. 2, pp. 37-44; Immersed.

Sound and Architecture, numero speciale di OASE a cura di Pnina Avidar, Raviv Ganchrow, Julia

Kursell, n. 78, maggio 2009; Ricciarda Belgiojoso, Costruire con i suoni, cit. Studi empirici sono portati avanti in seno al Cresson: Pascal Amphoux, Aux écoutes de la ville. Enquête sur trois villes

suisses, Cresson, Grenoble 1991; Gregoire Chelkoff, Entendre les espaces publics, Cresson,

Grenoble 1992.

232 Henri Lefebvre, Catherine Régulier, “Attempt at the Rhythmanalysis of Mediterranean Cities” (“Essai de rythmanalyse des villes méditerranéennes”, in Peuples Méditerranéens, n. 37, 1986), in Id., Rhythmanalysis. Space, Time and Everyday Life, Continuum, London-New York, 2004, p. 87 (traduzione mia).

233 Fran Tonkiss, “Aural Postcards. Sound, Memory and the City”, in Michael Bull, Les Back (a cura di), The Auditory Culture Reader, cit., p. 304 (traduzione mia).

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine

termini uditivi: dall’introduzione di motori, macchine, suoni riprodotti, rumori “umani”, di origine “culturale”. Alla luce dell’interesse crescente per la dimensione sonora dello spazio urbano, quali possono essere i punti di convergenza o risonanza fra il paesaggio sonoro e i molteplici vettori interpretativi emergenti nella letteratura dedicata al camminare?

Sono ormai numerosi gli studi sul soundscape urbano che, in una prospettiva storica, evidenziano le trasformazioni del paesaggio sonoro nella città moderna industriale234: in The Soundscape of Modernity (2002), ad esempio, Emily Thompson descrive i cambiamenti nella dimensione sonora e nella cultura uditiva delle città statunitensi all’inizio del XX secolo e nota come, alla fine degli anni Venti, fossero i rumori industriali e macchinici a prevalere nella cacofonia urbana di metropoli come New York235. Nel saggio “Sounds of the City” (2003), David Garrioch sostiene che, nelle città del XVII, XVIII e XIX secolo, il suono costituisse una fonte fondamentale di informazione, un “sistema semiotico” in grado di contribuire al posizionamento spazio-temporale degli abitanti e renderli parte di una “comunità acustica”236. Steven Connor afferma che il soundscape dell’ambiente urbano dopo la rivoluzione industriale ebbe un impatto enorme in termini culturali, e che la complessità, le trasformazioni e la simultaneità dell’esperienza metropolitana potevano meglio essere comprese attraverso l’udito, portando a un riposizionamento dell’equilibrio sensoriale:

The unsteadiness of the ways of looking and seeing characteristic of city life – the glance or the glimpse rather than the sustained gaze – goes along with a sense of

234 La mancanza di registrazioni e quindi di documentazioni del paesaggio sonoro delle epoche passate sembrerebbe rendere impossibile questo tipo di ricognizione. La ricerca storica si avvale soprattutto di testimonianze scritte e fonti secondarie per indagare le modalità in cui una società esperiva e percepiva il suono stesso. Si veda: Mark M. Smith (a cura di), Hearing History: A

Reader, University of Georgia Press, Athens-London 2004. Anche Murray Schafer indica questa

limitazione nelle possibilità di studio del soundscape del passato: “mentre possiamo servirci delle moderne tecniche di registrazione e di analisi per studiare i paesaggi sonori a noi contemporanei, per ricostruire una loro prospettiva storica dobbiamo rifarci a testimonianze sonore tratte dalla letteratura e dalla mitologia, a materiali e a fonti documentarie di carattere storico e antropologico”; Raymond Murray Schafer, Il Paesaggio sonoro, cit., p. 20.

235 Emily Thompson, The Soundscape of Modernity. Architectural Acoustics and the Culture of

Listening in America, 1900-1933, The MIT Press, Cambridge-London 2002.

236 David Garrioch, “Sounds of the City: The Soundscape of Early Modern European Towns”, in

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine shifting and saturated space of which the plural, permeable ear can evidently make more sense than the eye237.

In queste analisi, l’esperienza uditiva è interpretata come parte fondamentale di quel processo di comprensione, percezione e lettura dell’urbano (inteso nella sua dimensione architettonica, topografica e sociale), che si realizza attraverso il camminare. Cosa può aggiungere il punto di vista dell’orecchio rispetto a quello dell’occhio? Il suono è omnidirezionale, simultaneo, temporale, progressivo: permette di esperire la molteplicità del divenire urbano. Se il camminare trasforma la discrezione della visione della città in paesaggio, permettendo di leggerlo (come propongono Benjamin, Sansot e Le Breton), è l’udito a restituirci un’immagine temporale, processuale e policentrica della città stessa.

Acoustic Territories (2010) di Brandon LaBelle, analizzando la metropoli

contemporanea da una prospettiva sonora, è un testo paradigmatico di questa linea di ricerca. L’artista e teorico americano costruisce una cartografia dell’esperienza uditiva e del suono nella vita urbana quotidiana a partire da alcuni “luoghi”, dall’universo sotterraneo della metropolitana al cielo, passando attraverso la casa, il marciapiede, la strada e l’ipermercato. Percorrendo il capitolo dedicato al marciapiede possiamo ritrovare alcuni degli elementi che abbiamo visto al centro della letteratura sul camminare declinati da un “punto di vista” uditivo che ci permettono di fare un ulteriore passo avanti. LaBelle riprende de Certeau e l’interpretazione del marciapiede come spazio di mediazione fra sfera pubblica e privata di Jane Jacobs estendendo la loro analisi alla sfera uditiva:

The urban soundscape is itself a material contoured, disrupted, or appropriated through a meeting of individual bodies and larger administrative systems. From crosswalk signals, warning alarms, and electronic voices, the urban streets structure and audibly shape on a mass scale the trajectories of people on the move. In

237 Steven Connor, “The Modern Auditory I”, cit., p. 210. In accordo con questa interpretazione, il

flâneur, nell’analisi di Connor, è considerato come una sorta di figura di compensazione che

riafferma la distanza visiva dall’assalto alle possibilità della vista determinato dall’esperienza uditiva della città contemporanea.

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine contrast, individuals supplement or reshape these structures through practices that, like de Certeau’s walker, form a modulating break or interference238.

La dimensione sonora della città è interpretata come negoziazione costante fra forme collettive di organizzazione istituzionale e amministrativa e processi di riappropriazione individuale (fra strategie e tattiche, nella terminologia di de Certeau) e fra sfera pubblica e privata.

Il sociologo Rowland Atkinson sviluppa la nozione di “sonic ecology” per sottolineare il potere del suono e della musica riprodotta nel demarcare e denotare lo spazio in modalità tutt’altro che casuali, ma al contrario definite da pattern legati alla destinazione d’uso, alle caratteristiche sociali, funzionali e culturali delle diverse parti della città nonché alla scansione temporale di questi pattern.

Urban sound, even in its complexity, has a tendency for repetition and spatial order which, while not fixed, also displays a patterning and persistence, even as these constellations and overlapping ambient fields collide and fade in occasionally unpredictable, multiple or porposeful ways239.

La dimensione sonora urbana non è il risultato arbitrario di processi casuali ma rispecchia più ampi principi di organizzazione dello spazio urbano che corrispondono anche a dinamiche di privatizzazione, auto-rappresentazione e riappropriazione.

Nel saggio “Urban Media and the Politics of Sound Space” (2005), Jonathan Sterne ci offre un esempio molto chiaro delle dinamiche di controllo della dimensione sonora della città contemporanea. Sterne sostiene che la muzak – musica di sottofondo frequentemente diffusa in luoghi di lavoro, ipermercati e, in anni recenti, sempre più spesso negli spazi aperti delle zone commerciali – possa diventare “un deterrente musicale non aggressivo” per impedire ad alcune categorie sociali (gruppi di teenagers, consumatori di droghe, ecc.) la permanenza nello spazio pubblico agendo di fatto come fattore di privatizzazione240. L’uso di

238 Brandon LaBelle, Acoustic Territories. Sound Culture and Everyday Life, cit., p. 93.

239 Rowland Atkinson, “Ecology of Sound: The Sonic Order of Urban Space”, in Urban Studies, vol. 44, n. 10, Sage, 2007, pp. 1906.

240 Jones and Schumacher definiscono la muzak in questi termini “[music] used principally to support and encourage some other primary activity, whether the production and consuption of

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musica di sottofondo può diventare una strategia di controllo e progettazione acustica degli spazi pubblici funzionale all’esclusione di alcune categorie sociali o a una polarizzazione dello spazio sulla base di specifiche funzioni e classi: “l’uso di musica programmata in spazi aperti è un tentativo di codificare lo spazio e, nello specifico, di codificarlo in termini di classe sociale, razza ed età”241. Come sottolinea Rowland Atkinson, il soundscape non è solo organizzato, ma è anche “socially organizing”242. Nella sua analisi, l’utilizzo della musica programmata è uno dei mezzi principali con cui si definiscono dei territori acustici nella città, cioè “spazi definiti, posseduti o contestati da coloro che, relativamente parlando, controllano il paesaggio sonoro degli spazi pubblici e privati”243.

La dimensione sonora della città entra, quindi, anche nei processi di costituzione e di accesso allo spazio pubblico, di uso democratico degli spazi e della possibilità di incontro con l’alterità sociale che abbiamo visto al centro di una parte della letteratura sul camminare, da Jane Jacobs fino a Rebecca Solnit244. In altre parole, il soundscape sarebbe parte importante di quel più ampio processo di privatizzazione della sfera pubblica e di trasformazione del cittadino in consumatore che, per Sennett, è al centro delle dinamiche del XX secolo245.

Se il soundscape urbano è espressione di una pianificazione e di una organizzazione collettiva (di cui l’uso della musica programmata è solo un esempio, sebbene rivelatore), è però anche il risultato di processi di ridefinizione, abitazione e auto-rappresentazione individuale, un elemento chiave nella continua evoluzione e nelle trasformazioni imposte sia dal basso sia dall’alto che hanno luogo negli spazi urbani. Come afferma Sophie Arkette,

City space has been and is constantly being carved up into communities defined by economic, cultural, ethnic, religious divisions and consequently acoustic profiles

goods and services or the reproduction of social and symbolic order in public spaces”; Simon C. Jones, Thomas G. Schumacher, “Muzak: On Functional Music and Power”, in Critical Studies in

Mass Communication, n. 9, 1992, p. 166.

241 Jonathan Sterne, “Urban Media and the Politics of Sound Space”, in Open, n. 9, 2005, pp. 6-14.

242 Rowland Atkinson, “Ecology of Sound: The Sonic Order of Urban Space”, cit., p. 1907 (enfasi dell’originale).

243 Idem, p. 1910.

244 Si veda il Capitolo I, sottoparagrafo 1.1.4 Partecipazione: spazio pubblico e alterità urbana.

245 Richard Sennett, Il declino dell’uomo pubblico (The Fall of Public Man: On the Social

Psychology of Capitalism Cambridge University Press, Cambridge 1977), Bruno Mondadori,

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine and soundmarkers are in constant transition. […] Each community has sets of sound markers which reinforce its own identity; each district has its own sonic profile, even if that profile is not a permanent feature246.

La dimensione sonora della città rispecchia i processi di ri-scrittura acustica degli spazi da parte degli abitanti, dei passanti, e il soundscape della strada è la somma di questo processo relazionale fra istanze programmate e pianificate e processi di ridefinizione collettiva e individuale. La strada e il marciapiede sono uno spazio acustico in continuo cambiamento in cui colui che cammina si trova immerso e interagisce. Come sottolinea Paul Rodaway, “Il paesaggio sonoro si muove con gli ascoltatori […] e cambia continuamente in relazioni alle nostre interazioni comportamentali”247. In altre parole, non solo percepiamo uno spazio acustico ma, nell’abitarlo, lo rimodelliamo e necessariamente vi prendiamo parte. È questo aspetto che porta Antonello Colimberti a descrivere il soundscape come “un’immensa e complessa sinfonia in cui vengono ad armonizzarsi migliaia di melodie individuali e differenziate”248. Da questo punto di vista, allora, la dimensione sonora degli spazi urbani può essere considerata come il risultato di un processo di “lettura-scrittura”, come quello che, per Augoyard, il camminare mette in atto nella città.

Il soundscape diventa anche il luogo in cui l’incontro con l’altro – con la diversità sociale, etnica, ma anche biografica e professionale – diviene udibile scatenando conflitti acerrimi e regolamentazioni rigide e spesso inefficienti.

Noise amplifies social relations and tracks the struggle for identity and space within the tight architectural and demographic organization of a city. In this sense, noise is a social signifier: determining unseen boundaries and waging invisible wars. A comprehensive noise map of London would not only present traffic hotspots and industry, revealing the consequent issues of pollution and congestion, it would also reveal social relations on its fault lines of taste and tolerance249.

246 Sophie Arkette, “Sounds like City”, cit., p. 162.

247 Paul Rodaway, Sensuous Geographies: Body, Sense and Place, cit., p. 87 (traduzione mia).

248 Antonello Colimberti, “Introduzione”, in Id. (a cura di), Ecologia della Musica. Saggi sul

Paesaggio Sonoro, cit., p. XXI.

249 Salomé Voegelin, Listening to Noise and Silence. Towards a Philosophy of Sound Art, cit., p. 45.

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Le divisioni fra spazio privato e pubblico, fra sfera individuale e collettiva, diventano sfumate e indistinte, porose e osmotiche, dando luogo a processi di negoziazione costanti. Se questo è vero persino per l’abitazione – luogo per eccellenza del privato e della protezione individuale ma che, dal punto di vista dell’orecchio, diviene una membrana permeabile al suono dell’“esterno”, dell’“altro”250 – questa negoziazione fra pubblico e privato, fra sé e gli altri, fra sé e ambiente, diviene ancora più evidente nello spazio urbano.

La dimensione sonora sembrerebbe quindi entrare nella relazione fra soggetto e spazio urbano che si dispiega attraverso il camminare su più vettori e livelli: istanza di privatizzazione e codificazione dello spazio, ma anche luogo di riscrittura e inscrizione personale; elemento che enfatizza la permeabilità fra sfera pubblica e privata e agente di processi di auto-rappresentazione collettiva. Il

soundcape diviene così il tessuto sonoro condiviso in cui il walker inscrive la

propria ritmica temporale partecipando a un processo di lettura-scrittura del sistema urbano ed esperendone il costante divenire e la molteplicità spazio-temporale.

Salomé Voegelin, richiamando esplicitamente de Certeau, interpreta l’ascolto stesso come una modalità di “cammino” attraverso l’evento sonoro, il

soundscape o l’opera: “L’ascolto non è una modalità di ricezione ma un metodo

di esplorazione”251. Ma, aldilà delle consonanze teoriche che abbiamo riscontrato,

soundscape, ascolto e percorso sono da qualche decennio al centro di numerose

pratiche, artistiche e non artistiche, nello spazio urbano252.

250 Per due interpretazioni opposte si veda: Rowland Atkinson, “The Home as Aural Haven”, in

Soundscapes. Lo Squaderno, n. 10, dicembre 2008, pp. 5-11, http://www.losquaderno.professionaldreamers.net/?cat=134 (ultimo accesso 18 ottobre 2011) e il capitolo intitolato “Home: Ethical Volumes of Silence and Noise” in Brandon LaBelle, Acoustic

Territories, cit., pp. 43-84.

251 Salomé Voegelin, Listening to Noise and Silence. Towards a Philosophy of Sound Art, cit., p. 4.

252 Universo della sonorità e percorso sono indagati da Bruce Chatwin nel suo saggio/romanzo Le

vie dei canti, che riporta le indagini dello scrittore sui canti rituali delle popolazioni aborigene

australiane. Chatwin interpreta questi canti come rappresentazione dei miti della creazione e come mappe del territorio: una sorta di “rappresentazione” musicale dei caratteri geografici e topografici delle “vie dei canti”, linee immaginarie che attraverserebbero il continente australiano; Bruce Chatwin, Le vie dei canti (The Songlines, Franklin Press, London 1993), Adelphi, Milano 1988.

Tesi di dottorato di Elena Biserna, discussa presso l’Università degli Studi di Udine