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Spazio urbano, arte, percorso: la natura processuale dell’urbano e la sfera

In questo capitolo abbiamo esplorato la cartografia concettuale in cui si muove la riflessione teorica interdisciplinare che si è concentrata sul tema del cammino. Come afferma Brandon LaBelle,

walking has featured in cultural literature as en emblem of the everyday practices of urban space. Embedded in such literature is an optimism that places great promise on the act of walking as it threads together nodes of urban intensity while also fraying the strict formulations of the urban grid175.

Camminare è interpretato come modalità di lettura dello spazio urbano (nella letteratura sul flâneur fino ad Andrea Urlberger), come piattaforma di relazione corporea e sensoriale all’ambiente (in Pierre Sansot e David Le Breton, ma anche in Augoyard e nelle ricerche sulle atmosfere urbane portate avanti in seno al Cresson), come possibilità di scrittura e ridefinizione dello spazio costruito (in Barthes, de Certeau, ma anche nelle ricerche di Augoyard). Camminare diventa anche una modalità di spostamento che si dispiega all’interno di un tempo vissuto, articolando la cronologia lineare (ancora Augoyard ma anche Jennie Middleton) e come una possibilità di partecipazione alla vita urbana e di interazione con l’alterità sociale (Rebecca Solnit, Richard Sennett e Jane Jacobs, in primo luogo).

Questi vettori interpretativi non si oppongono gli uni agli altri né si pongono in relazione di parallelismo, ma al contrario, si interpenetrano, completano e talvolta supportano a vicenda: si ritrovano spesso all’interno del pensiero di uno stesso autore e, nonostante una leggera polarizzazione disciplinare, attraversano ambiti e campi del sapere diversi, dalle scienze sociali agli studi culturali, dalla filosofia all’antropologia, dall’analisi urbana alla geografia. Queste prospettive sembrano poi convergere verso una piattaforma comune che vede nello spostamento pedonale una modalità di relazione

175 Brandon LaBelle, Acoustic Territories. Sound Culture and Everyday Life, Continuum, New York 2010, p. 88.

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privilegiata fra l’urbano e l’individuo e, al contempo, una forma di interazione dialettica con la mobilità della città stessa, delle sue trasformazioni fisiche e immateriali. Camminare sembra quindi delinearsi come micro-azione quotidiana che consente di cogliere ciò che potremmo chiamare la natura processuale della città stessa.

Questo capitolo ci ha dato anche la possibilità di indagare le molteplici modalità con cui il cammino è entrato nella prassi artistica del XX secolo, dalle prime fuoriuscite nello spazio reale e quotidiano dei dadaisti e dei surrealisti, fino agli artisti contemporanei, per cui la mobilità continua è un dato acquisito e lo spazio urbano ha enormemente dilatato le sue dimensioni, così come le sue articolazioni e connotazioni, per espandersi in una rete territoriale e virtuale.

Il camminare emerge come una rilevante modalità estetica di esplorazione, mappatura o catalogazione dell’ambiente costruito (Situazionismo, Stanley Bouwn, Robert Smithson, Stalker, AmsterdamREALTIME), ma anche di sovversione e sfida delle rappresentazioni ufficiali e tradizionali della città (Situazionismo, Free Flux-Tours, Stalker, Denis Adams e Laurent Malone,

AmsterdamREALTIME) e reinvenzione del reale attraverso la narrazione, la

fiction o il gioco (Yoko Ono, Situazionismo, Groupe de Recherche d’Art Visuel, Francis Alÿs). Camminare diviene una strategia per entrare in contatto con il rimosso, l’inconscio della megalopoli (Surrealismo, Situazionismo, Stalker), modalità autobiografica di inscrizione del proprio vissuto nel tessuto del mondo (Dennis Oppenheim, Stalker, Francis Alÿs, tsunamii.net) e di incontro/scontro con l’alterità (Vito Acconci, Yoko Ono, Francis Alÿs). Gli artisti si appropriano in questo modo di figure e pratiche quotidiane legate al percorso: la guida turistica (Dada, Free Flux-Tours, Smithson), il detective (Yoko Ono, Vito Acconci, Sophie Calle, Francis Alÿs), il vagabondo (Orozco, Francis Alÿs), il cartografo (i Surrealisti, i Situazionisti, Oppenheim, Brouwn, Stalker, AmsterdamREALTIME) o l’esploratore (ancora i Surrealisti, i Situazionisti, Stalker, ma anche Orozco e tsunamii.net). Se il cammino ricorre nella letteratura culturale come emblema delle pratiche quotidiane, come afferma LaBelle, lo stesso sembra avvenire nelle pratiche estetiche.

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L’eterogeneità e la necessità reciproca di queste linee di ricerca si incrociano con i vettori interpretativi del camminare in spazi urbani, ne manifestano delle possibilità di cristallizzazione in prassi estetica ed esperienziale. Camminare, in questa prospettiva, diviene strumento critico per rapportarsi con un

milieu urbano che – lungi dall’apparire come immutabile e “già dato” – è

caratterizzato dalla circolazione, da un cambiamento dinamico e continuo imposto sia da basso sia dall’alto. Le pratiche artistiche peripatetiche si configurano come operazioni temporanee e contestuali di mappatura, percezione, riscrittura, sovversione e reinvenzione dell’urbano che prendono di mira, di volta in volta, lo spazio, la forma, i significati, i processi, gli usi, i rituali, le relazioni, i ritmi e le funzioni che costituiscono la città contemporanea. In questo percorso, il corpo dell’artista diventa sempre più mobile ma, nella maggior parte dei casi, questa mobilità non coinvolge il fruitore176. È l’artista ad avventurarsi nel tessuto urbano registrando la propria esperienza in una pluralità di supporti: mappe, fotografia, video, scritti177.

Come entra l’universo della sonorità in queste dinamiche? In modo significativo, potremmo sostenere. La sua evanescenza e natura temporale annulla i confini prestabiliti fra dentro e fuori, pubblico e privato, e sfida, attraverso il suo carattere effimero, la permanenza di architettura e spazio urbano. L’esperienza quotidiana della metropoli moderna e contemporanea non è solo visiva, ma sonora, al punto che Steven Connor, parlando della città di inizio secolo, può

176 Il termine “fruitore”, in questa ricerca, è spesso preferito a quello di “spettatore” per tentare di convogliare le complesse trasformazioni della ricezione estetica nel corso del XX secolo. Per una prospettiva artistica si vedano, fra gli altri: Claire Bishop, Installation Art. A Critical History, Tate Publishing, London 2005; Claire Bishop (a cura di), Participation, Whitechapel Gallery-The MIT Press, London-Cambridge 2006. Una riflessione specifica sullo statuto spettatoriale sarà affrontata nel Capitolo V.

177 È così per i surrealisti, che riversano sulla carta le proprie deambulazioni; è così per molti degli artisti che lavorano negli anni Sessanta e Settanta, da Stanley Brouwn a Dennis Oppenheim; ma è così anche per Alÿs e Orozco. In queste ricerche, l’esperienza dell’artista è presentata al fruitore attraverso tracce, documentazioni e mappature, in un contesto spazio-temporale diverso rispetto a quello dell’azione. Solo in alcuni di questi interventi – la visita Dada a Saint-Julien-le-Pauvre, The

Monuments of Passaic di Smithson, i Free Flux-Tours o gli interventi recenti di Stalker – al

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affermare che “la vita brulicante e proteiforme della città […] sembrava richiedere un posizionamento su una modalità mentale uditiva, piuttosto che visiva”178.

Allo stesso tempo, quel processo di progressiva appropriazione e occupazione del reale che porta l’artista a uscire dallo studio e ad attingere o ad agire nella sfera quotidiana trova un equivalente, in campo sonoro, nelle ricerche, fra gli altri, di Walter Ruttmann, Pierre Schaeffer e John Cage.

178 Steven Connor, “The Modern Auditory I”, in Roy Porter (a cura di), Rewriting the Self:

Histories from the Renaissance to the Present, Routledge, London-NewYork 1997, p. 209

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CAPITOLO II

Passeggiate di ascolto

Sound and movement are closely related in the navigation of urban experience

Michael Bull, Les Back179

Il primo capitolo, dedicato ai molteplici vettori di ricerca discorsiva e artistica che articolano la relazione fra percorso, individuo e spazio urbano, si è chiuso con una domanda. Che ruolo hanno la dimensione sonora e l’esperienza uditiva in questa costellazione di discorsi e pratiche? Come si inserisce l’ascolto nel rapporto fra spazio urbano e chi lo attraversa?

Il termine soundscape, coniato dal musicologo canadese Raymond Murray Schafer nei primi anni Settanta, ci permette di fare un passo avanti nel trovare una risposta a questa domanda180. Il soundscape, tradotto in italiano con l’espressione “paesaggio sonoro” è, utilizzando la breve definizione di Paul Rodaway, “l’ambiente sonoro che circonda l’ascoltatore”, la dimensione sonora dell’ambiente181. Nel termine soundscape è già inclusa, quindi, una ecologia, una relazione fra soggetto e contesto182.

179 Michael Bull, Les Back, “Sounds in the City, Introduction”, in Id. (a cura di), Auditory Culture

Reader, Berg, Oxford 2003, p. 299.

180 Raymond Murray Schafer, Il Paesaggio Sonoro (The Tuning of the World, McClelland and Steward, Toronto 1977), Ricordi Unicopli, Milano 1985. Per una critica alla nozione di

soundscape, si veda: Tim Ingold, “Against Soundscape”, in Angus Carlyle (a cura di), Autumn Leaves. Sound and the Environment in Artistic Practice, Double Entendre-Crisap, Paris 2007, pp.

10-13. Per una disamina più approfondita si rimanda al sottoparagrafo 2.1.2 La dimensione sonora

dello spazio urbano: verso un’‘ecologia sensibile del mondo quotidiano’. 181 Paul Rodaway, Sensuous Geographies: Body, Sense and Place, cit., p. 83.

182 Justin Winkler definisce il soundscape come “la totalità dei suoni che ci circondano – dai suoni del nostro corpo fino al tuono più distante – in quanto percettema, oggetto della percezione riferito

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Questo capitolo si propone di introdurre la dimensione sonora e l’ascolto nella relazione fra spazio urbano e individuo che lo attraversa. Esploreremo alcune delle tematiche chiave del dibattito nel campo dei sound studies soffermandoci, in particolar modo, sulla riconfigurazione in termini relazionali del rapporto oggetto/soggetto e sulla ridefinizione della concezione spazio-temporale proposta dagli studi di questo ambito per tentare di capire quale “immagine” della città ci possa offrire una prospettiva uditiva, quali consonanze esistano fra il percorso e la dimensione sonora della città, quali dei vettori interpretativi individuati nel primo capitolo possano essere mobilizzati da un approccio uditivo all’attraversamento dello spazio urbano. Esploreremo, quindi, la portata del concetto di soundscape in relazione alla letteratura culturale relativa al camminare e all’ambiente urbano, per poi addentrarci nella prassi estetica introducendo il panorama di ricerche incentrate sul soundwalking.

Anticipate nella metà degli anni Sessanta da artisti e musicisti come Max Neuhaus e Philip Corner, queste pratiche verranno teorizzate e “canonizzate” all’interno del gruppo di ricerca canadese diretto da Murray Schafer per poi espandersi, nei decenni successivi, in una molteplicità di ricerche espressive diverse, ma accomunate dalla creazione di esperienze partecipative di esplorazione dello spazio attraverso la richiesta – più o meno esplicita e stringente – di un riorientamento percettivo sull’udito. In altre parole, queste passeggiate, propongono di attraversare lo spazio urbano “ascoltando” invece che “udendo”, definendo l’ascolto come atto di relazione e di partecipazione al mondo183. Ascoltare e camminare, due azioni ordinarie e banali, vengono ridefinite come pratiche estetiche, mentre la dimensione sonora dello spazio urbano viene “rivelata” e sussunta nella sfera dell’arte.

Ci soffermeremo, in particolar modo, sul progetto Listen (1966-76) di Max Neuhaus, una serie di passeggiate guidate dall’artista in alcune città americane, e

ad un soggetto”, distinguendone il significato da quello di “campo acustico” e cioè “lo spazio acustico-fisico di un oggetto”; Justin Winkler, “Paesaggi sonori”, in Albert Mayr (a cura di),

Musica e suoni dell’ambiente, Clueb, Bologna 2001, p. 18 (enfasi dell’originale).

183 La differenza fra “ascoltare” e “udire” risulta più chiara nella lingua inglese (o francese) in cui

listening indica una intenzionalità e una attenzione all’informazione uditiva, mentre hearing indica

l’azione passiva. Roland Barthes sottolinea la distanza fra questi due livelli affermando che “udire è un atto fisiologico, ascoltare è un atto psicologico”; Id., “Ascolto” (Écoute, 1976), in Id.,

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su Oto-date (1996-) del giapponese Akio Suzuki, un dispositivo lo-fi e minimale di ascolto che segnala al passante dei punti di particolare densità acustica nel tessuto urbano. La serie di passeggiate di Max Neuhaus anticipa molte delle pratiche e delle teorie che, solo un decennio dopo, saranno introdotte in seno all’ecologia acustica, pur con alcune interessanti e radicali differenziazioni, ponendosi come origine ideale nella genealogia di queste ricerche. Il progetto di Akio Suzuki è stato scelto, al contrario, perché si presenta come un caso interessante in virtù del dispositivo adottato: Oto-date non è una passeggiata guidata dall’artista, come nella maggior parte di questi progetti, ma piuttosto un percorso selezionato e segnalato nell’ambiente che il fruitore può ripercorrere in tempi e modi aperti e indeterminati. Analizzeremo questi lavori sia in relazione alla ricerca e al percorso personale di ognuno dei due artisti, sia in rapporto ad altre esperienze sonore e non sonore di esplorazione dello spazio urbano, collocandoli sullo sfondo di un più ampio corpus di opere.

Se, come sostengono Michael Bull e Les Back, “un’attenzione al suono aiuta a mettere la città in movimento e ci avverte di come i luoghi cambino quando sono animati dal suono”184, unendo percorso e ascolto, questi progetti restituiscono l’immagine di una città fluttuante, temporale, creata e ricreata in un processo relazionale e contingente di definizione reciproca con chi la attraversa.

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