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L’esplosione dell’urbano: dagli anni Novanta alle ricerche recenti

1.2 La dimensione estetica del camminare

1.2.4 L’esplosione dell’urbano: dagli anni Novanta alle ricerche recenti

Questo processo di déplacement della prassi e della ricezione artistica raggiunge piena maturazione negli anni Novanta, che vedono anche un’esplosione delle pratiche peripatetiche. Se durante gli anni Sessanta e Settanta paesaggio naturale e spazio urbano sono frequentati in egual misura dagli artisti, nelle decadi successive la metropoli prende decisamente il sopravvento e, come afferma Davila, “il contesto urbano si afferma nell’arte contemporanea come il quadro dominante in cui si esprime il nomadismo”149.

Questa centralità dell’urbano nella fenomenologia dell’arte sembra andare di pari passo con le trasformazioni e l’espansione della città negli ultimi decenni del XX secolo, con la fine della tradizionale opposizione città/campagna, la progressiva urbanizzazione del mondo e l’affermazione di nuove forme di mobilità fisica e virtuale determinate dallo sviluppo dei trasporti e delle tecnologie di telecomunicazione.

Gabriel Orozco, Francis Alÿs e il collettivo italiano Stalker/Osservatorio Nomade rappresentano gli esempi più radicali e coerenti di un più folto gruppo di “nuovi nomadi urbani” per cui, in accordo con queste trasformazioni, la città diviene una estensione senza soluzione di continuità su scala globale o una struttura in espansione.

Se Davila riconduce queste nuove esperienze artistiche al flâneur baudelariano per “la sua inscrizione nello spazio urbano, e quindi a questa disponibilità alla vita, al ritmo e al movimento che lo caratterizza”150, le modalità operative messe in campo dagli artisti contemporanei appaiono varie ed eterogenee, ma sono accomunate dalla consapevolezza che il fatto urbano non è ormai più circoscritto a una città dotata di centro e di confini chiari e netti ma, al contrario, è una rete sempre più vasta le cui trasformazioni appaiono tutt’altro che prevedibili. Gli artisti odierni vivono ed esprimono la condizione determinata dalla crescente urbanizzazione del mondo che rappresenta una “traduzione

149 Thierry Davila, Marcher, Créer, cit., p. 29 (traduzione mia).

150 Ibidem. Per una panoramica sulle pratiche peripatetiche contemporanee e una loro suddivisione sulla base delle modalità operative: Thierry Davila, “Errare humanum est* (remarques sur quelques marcheurs de la fin du XXe siècle)”, in Daniel Arasse (a cura di), Un siècle d’arpenteurs.

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spaziale” e, al contempo, una cristallizzazione delle contraddizioni della globalizzazione stessa151. Rimane comunque quella opposizione alla logica produttivista ed efficientista del tardo capitalismo che caratterizzava il flâneur e, in seguito, le pratiche dei dadaisti, dei surrealisti e dei situazionisti:

le marcher actuel récupère une activité, a priori non assimilable économiquement à un temps de travail, pour lui donner de la valeur et situer en elle l’origine et la fin de la production véritable, de la création. Il oppose sa lenteur, sa nonchalance et sa disponinbilité […] à toute logique productiviste et à tout formantage par le marché152.

Stalker è un soggetto collettivo interdisciplinare interessato a esplorare le trasformazioni e il divenire urbano153. Se la visione della città contemporanea può essere ricondotta alla dicotomia razionale/irrazionale, pianificato/non pianificato, Stalker si colloca nel secondo polo, nell’interpretazione dello spazio urbano come mutamento continuo, flusso, luogo di spaesamento e circolazione incessante.

Il camminare, nelle prime azioni di Stalker, è inteso come forma corporea e fisica di conoscenza, investimento e riappropriazione dei vuoti urbani, quelle “aree interstiziali e di margine, spazi abbandonati o in via di trasformazione”, denominati “territori attuali”154. Un percorso di mappatura esperienziale, fisica e psichica, in cui chi cammina e i luoghi che attraversa si determinano e ridefiniscono in un rapporto di reciprocità: se l’ambiente agisce sull’individuo che

151 Si veda, a questo proposito, Marc Augé, Per una antropologia della mobilità, cit., capitolo “L’Urbanizzazione del mondo”, pp. 19-35; “L’urbanizzazione si presenta così sotto due aspetti contraddittori ma indissociabili, come le due facce di una medaglia: da una parte, il mondo è una città (la ‘metacittà virtuale’ di cui parla Virilio), un’immensa città in cui lavorano i medesimi architetti, dove si trovano le stesse imprese economiche e finanziarie, gli stessi prodotti… dall’altra la grande città è un mondo in cui si ritrovano le stesse contraddizioni e gli stessi conflitti comuni a tutto il pianeta” (pp. 33-34).

152 Thierry Davila, “Errare humanum est* (remarques sur quelques marcheurs de la fin du XXe

siècle)”, cit., p. 255.

153 Impossibile, in questa sede, ripercorrere nei dettagli il percorso del collettivo Stalker e di Osservatorio Nomade (rete di ricerca interdisciplinare promossa da Stalker nel 2002). Si veda, tra gli altri: Flaminia Gennari Santori, Bartolomeo Pietromarchi, Osservatorio Nomade. Immaginare

Corviale. Pratiche ed estetiche per la città contemporanea, Bruno Mondadori, Milano 2006 e i

cataloghi: Stalker, Attraverso i Territori Attuali, Jean Michel Place, Paris 2000 e Stalker, Capc Musée s’Art Contemporain, Bourdeau 2004, accessibili alla pagina: http://stalkerpedia. wordpress.com/606-2/ (ultimo accesso 3 giugno 2011).

154 Manifesto. Stalker attraverso i territori attuali, http://digilander.libero.it/stalkerlab/ tarkowsky/manifesto/manifest.htm (ultimo accesso 3 giugno 2011).

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lo attraversa, a sua volta lo spazio è modificato e creato dal corpo in movimento155. Il modello esplicito delle prime azioni di “transurbanza” di Stalker è quindi quello della dérive situazionista e le azioni di attraversamento del gruppo – che nella seconda metà degli anni Novanta riguardano le periferie di città come Roma (1995), Milano (1996) e Parigi (1997) – si espandono progressivamente fino a inoltrarsi, negli interventi più recenti, nell’“oltrecittà”: in Primavera

Romana, un ciclo di camminate iniziato nel 2009, il raggio di azione si allarga

fino a comprendere paesi e villaggi un tempo separati dalla città ma che ora, a seguito della progressiva espansione della capitale italiana, ne sono entrati a far parte. Allo stesso tempo si rafforza, in questa nuova fase, il camminare come modalità di relazione, condivisione e riappropriazione con un approccio più esplicitamente collettivo156.

Fig. 6: Stalker/Osservatorio Nomade, Primavera Romana, Città Tiburtina, 23 Maggio 2010.

155 Michel de Certeau, L’invenzione del quotidiano, cit., p. 150.

156 Sulle pratiche recenti di Stalker si vedano: Fulvio Bertamini, “Stalker, dalle periferie all’accampata”, in Abitare, novembre 2011, http://www.abitare.it/it/architecture/stalker-dalle-periferie-all%E2%80%99accampata/ (ultimo accesso 30 novembre 2011) e Elena Biserna, “La Primavera Romana di Stalker. A zonzo con Lorenzo Romito”, in Digimag, n. 64, Maggio 2011, http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=2054 (ultimo accesso 14 novembre 2011).

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La dimensione estetica di queste pratiche si diluisce sempre più nella sfera politica e sociale: fare comunità, promuovere processi di cambiamento spontaneo e di interazione fra gruppi, forme auto-organizzate di cittadinanza, di riappropriazione del territorio e delle sue memorie. Pratiche che si inscrivono nel tessuto sociale direttamente, senza mediazioni istituzionali o estetiche e che manifestano istanze parallele alla letteratura che interpreta il camminare come rivendicazione di spazio pubblico.

Le deambulazioni urbane e planetarie dell’artista belga (ma residente a Città del Messico) Francis Alÿs si inseriscono nel flusso spazio-temporale della metropoli dando luogo a micro-narrative ed eventi che riscrivono una trama fictional nel palinsesto urbano157. Una narrativa che, però, chiama in causa esplicitamente la dimensione politica della città; come sottolinea l’artista: “politica nel senso greco di polis, la città come luogo di sensazioni e di conflitti da cui si possono estrarre materiali per creare finzioni, arte e mitologie urbane”158. Camminare come incursione nei ritmi urbani, quindi, per scardinarli, rivelarli o rallentarli in una peregrinazione in cui la città, nella sua dimensione architettonica e sociale, diviene un interlocutore attivo. Nelle Seven Walks realizzate per Artangel nel 2005 questa ricerca si articola in una rete di micro-innesti nei rituali quotidiani londinesi realizzati nel corso di una ricerca di cinque anni nella città: seguire le guardie che marciano nello Square Mile (Guards), suonare le ringhiere percuotendole con un bastoncino metallico camminando lungo i tradizionali

square recintati (Railings), oppure attraversare il South East mantenendosi

costantemente sulla parte soleggiata o, al contrario, ombreggiata del marciapiede (Shady/Sunny) diventano modalità di relazione alle peculiarità della vita e della struttura architettonica della città stessa, che diviene cassa di risonanza per pratiche di riscrittura personale degli spazi. Camminare è anche una modalità di elaborazione, di raccolta, di collezione dei materiali poi utilizzati nei disegni, nei

157 Anche in questo caso è impossibile ripercorrere in questa sede la ricerca dell’artista. Si rimanda a Chauhtémoc Medina, Russel Ferguson, Jean Fisher (a cura di), Francis Alÿs, Phaidon, New York 2008 e al catalogo Francis Alÿs, Anne Wehr (a cura di), Francis Alÿs. The Modern Procession, Public Art Fund, New York 2004.

158 Francis Alÿs, Walks/Paseos, Museo de Arte Moderno, Mexico-Museo regional de Guadalajara, 1997, p. 17; cit. in Dominique Baqué, Histoires d’ailleurs. Artistes et penseurs de l’itinérance, cit., p. 239 (traduzione mia).

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dipinti, nelle fotografie e nei film dell’artista, che dichiara: “I miei dipinti, le mie immagini, sono solo tentativi di illustrare le situazioni che affronto, provoco o metto in atto a un livello pubblico, effimero e solitamente urbano”159. Così, nella cartolina di presentazione di Narcotourism (1996), Alÿs dichiara: “Camminerò per la città per sette giorni sotto l’influenza di una droga diversa ogni giorno. Il mio viaggio sarà registrato attraverso fotografie, note o ogni altro mezzo pertinente”. Il percorso urbano diviene indagine psichica da riversare in plurime documentazioni.

Le peregrinazioni urbane di un artista come Gabriel Orozco, invece, sono lo strumento di una continua scoperta, il mezzo per una epifania del quotidiano che si concretizza in minimi e comuni interventi nello spazio poi immortalati tramite lo scatto fotografico160. Spostarsi consente di rintracciare innumerevoli tracce e oggetti che, come objets-trouvés, vengono immortalati nel loro contesto. Arance riallineate sui banchi vuoti di un mercato chiuso (Turistica maluco, 1991), borse di plastica sospese… Se il ready-made duchampiano ha necessità di essere decontestualizzato e ricontestualizzato in un ambiente artistico per manifestare il suo potenziale estetico, nella ricerca di Orozco lo straniamento opera sul contesto stesso, sull’ambiente trovato nella sua totalità, intervenendo all’interno di esso con gesti minimi, che si pongono al confine fra ri-composizione e semplice ritrovamento. L’artista si limita a riorganizzare temporaneamente lo spazio incorniciandolo e fissando su di un supporto il processo e il risultato di questa riattivazione.

Nel 1997, Denis Adams e Laurent Malone pianificano un percorso che li condurrà dal quartiere di Soho all’aeroporto John-Fitzgerald Kennedy di New York senza interruzioni né deviazioni ma seguendo un’unica linea retta. Il progetto è intitolato JFK e, durante il percorso, prevede uno scatto fotografico da parte di entrambi gli artisti di spalle l’uno rispetto all’altro, in modo da documentare il tratto appena percorso e quello imminente. Nella ridefinizione

159 Francys Alÿs cit. in Gianni Romano, “Francys Alÿs: Streets and Gallery Walls”, in Flash Art

International, vol. 33, n. 211, marzo-aprile 2000, pp. 72-73 (traduzione mia).

160 Per un approfondimento sull’opera dell’artista messicano, si rimanda al volume pubblicato dalla Tate Modern di Londra in occasione della recente retrospettiva [Jessica Morgan (a cura di),

Tate Modern Artists: Gabriel Orozco, Tate Publishing, London 2011] e al catalogo Ann Temkin (a

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della topologia urbana e reinvenzione delle possibilità di circolazione nello spazio, JFK richiama le pratiche del parkour, al centro di altri progetti artistici fra cui il recentissimo Ser y durar (2011) del duo spagnolo Democracia (Pablo España e Iván López) che documenta una sessione di questa pratica urbana all’interno della sezione acattolica del cimitero dell’Almudena di Madrid161. Queste esperienze concretizzano le possibilità di riscrittura del sistema urbano prestabilito e imposto evidenziate da de Certeau, enfatizzano le potenzialità di sovversione delle modalità di circolazione e di iscrizione personale del proprio percorso nella topografia della città.

L’esplorazione delle relazioni fra spazio fisico e virtuale è invece al centro di una ampia costellazione di ricerche che si avvalgono di tecnologie

location-aware per ibridare il movimento nello spazio reale con quello elettronico.

tsunamii.net, un collettivo di artisti di Singapore, nel 2002 presenta alla XI edizione di Documenta a Kassel Alpha 3.4. Per la durata della mostra, gli artisti camminano dalla sede espositiva verso il sito web (il computer in cui è installato il server di Documenta nella città di Kiel, a più di 400 km di distanza), riportando alla fisicità del percorso a piedi l’istantaneità della navigazione web. Un software progettato dagli artisti chiamato webwalker 2.2 consentiva di trasferire i loro movimenti, monitorati tramite GPS, alla rete; il progetto sembra in questo modo riproporre, aggiornandola con tecnologie digitali, la traduzione dei percorsi in dati (il numero di passi), alla base di Steps di Stanley Brouwn.

AmsterdamREALTIME, invece, realizzato nel 2002 da Esther Polak,

Jeroen Kee in collaborazione con la Waag Society, traduce in dati i percorsi quotidiani di una sessantina di abitanti attraverso GPS: i percorsi vengono visualizzati nello spazio espositivo, su schermo, costruendo una mappa urbana progressiva basata sui pattern di mobilità dei partecipanti. In questo lavoro il percorso quotidiano diviene la base empirica di una cartografia temporale: camminare si trasforma letteralmente nella riscrittura della topografia urbana.

161 Il parkour è una disciplina metropolitana nata in Francia agli inizi degli anni Ottanta così denominata da David Belle e Hubert Koundé nel 1998 che consiste nel superare qualsiasi genere di ostacolo, all’interno di un percorso, adattando il proprio corpo all'ambiente circostante.

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Se le ricerche di questi anni, nella loro eterogeneità, sembrano rispecchiare e attivare alcuni dei plurimi vettori interpretativi individuati nel paragrafo precedente, la lettura della pervasività delle pratiche deambulatorie che emerge nella letteratura storico-critica recente si articola in alcune linee ricorrenti che sembrano in parte coincidenti con questi stessi vettori, a partire dalla centralità del corpo e di un rapporto “incarnato” al mondo.

Dominique Baquè interpreta l’affermazione contemporanea delle pratiche peripatetiche – rifacendosi, implicitamente, all’analisi di Paul Virilio – alla luce di una progressiva smaterializzazione del corpo nel mondo contemporaneo dovuta allo “sviluppo esponenziale dei rapporti virtuali” che riconfigurano la soggettività rendendola “labile, mutante, come se l’identità del soggetto contemporaneo, per dedicarsi al fascino ambiguo dei suoi avatar proteiformi, rischiasse di indebolirsi, di diluirsi, di perdersi”162. Camminare, quindi, diviene istanza di recupero di un rapporto col mondo che passa prima di tutto attraverso il corpo, una modalità di inscrizione della propria presenza nel tessuto del reale, una strategia di interazione con lo spazio, così come lo interpretano Sansot o Le Breton.

La stessa dimensione esperienziale della marcia è rivendicata, in relazione alle pratiche artistiche, anche da Davila, che sottolinea come queste ricerche si propongano di riattivare l’esperienza, di costruire dispositivi esperienziali, rispondendo all’analisi di Benjamin che, ne Il narratore (1936), denunciava l’atrofia dell’esperienza nella modernità, l’impossibilità di fare e, soprattutto, di trasmettere esperienza in un mondo in cui la comunicazione “ogni mattina ci informa delle novità di tutto il pianeta [...] si consuma nell’istante della sua novità [...] vive solo in quell’istante”163.

Le ricerche di questi artisti sarebbero interpretabili, quindi, come dei catalizzatori esperienziali, azioni e interventi che rinnovano la necessità di fare esperienza in un’attualità caratterizzata dal tempo reale e dall’istantaneità dei mezzi di comunicazione.

162 Dominique Baqué, Histoires d’ailleurs. Artistes et penseurs de l’itinérance, cit., p. 215 (traduzione mia).

163 Thierry Davila, Marcher, Créer, cit., p. 179; Walter Benjamin, “Il narratore” (1936), in Id.,

Angelus Novus. Saggi e frammenti (Schriften, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1955), Einaudi,

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Davila fa un passo avanti sottolineando il ruolo del camminare come modalità di riattivazione estetica del potenziale del reale: camminare consente di “rifare il mondo allontanandosi dai suoi aspetti ripetitivi e banali, producendo una vera e propria conversione dello sguardo nel marcheur disponibile allo spazio e ai tempi che attraversa”164. Nella sua lettura, quindi, il percorso non solo permette di esplorare e interagire con lo spazio urbano, ma anche di trasformarlo, modificando le pratiche visuali e svelando ciò che si cela dietro la banalità del quotidiano, come era già nelle intenzioni surrealiste. Un processo di straniamento che porta a scoprire nuovi aspetti e nuove funzioni dell’ambiente e che passa prima di tutto attraverso una riattivazione dei sensi, un’amplificazione delle facoltà percettive che si dispiega durante la marcia.

Le strategie messe in campo dai nuovi nomadi urbani, come abbiamo visto, sono varie ed eterogenee ma concorrono a rivelare l’eccezionalità del quotidiano: le pratiche peripatetiche di artisti come Gabriel Orozco, Stalker e Francis Alÿs rinunciano alla creazione di opere per infiltrarsi nel reale e rivelarne aspetti inattesi, narrative nascoste, topografie inesplorate. Come afferma Davila, si tratta di

Un art qui se loge dans les interstices de la mégapole actuelle, un art interstitiel qui occupe les intervalles, les espaces urbains inframinces, qui les active et qui les explore pour prendre la ville non comme un décor toujours déjà constitué et intouchable, mais comme un terrain d’intervention, un espace de circulation dans lequel il s’agit d’introduire un rythme singulier, un déplacement, au milieu des vitesses enchevêtrées de l’organisme165.

Pur esplorando il rapporto corpo/mondo e la dimensione esperienziale delle pratiche peripatetiche, entrambi i critici francesi non mancano però di sottolineare la dimensione psichica del percorso urbano. Per Davila colui che cammina è sempre alle prese con una geografia fisica, ma anche con una “cartografia psichica” che prende in considerazione lo spostamento in plurime ed

164 Thierry Davila, Marcher, Créer, cit., p. 160 (traduzione mia).

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espanse accezioni166. Allo stesso modo, per Baqué camminare significa “riattivare lo spazio fisico, psichico ed emozionale”, e diviene metonimia di un pensiero dell’alterità, nomade e decentrato167.

Entre marche et pensée se jouerait ainsi un lien privilégié, le nomadime du corps interdisant à la pensée de se réfugier dans les rassurants dogmatismes, l’amenant à bouger elle-même au rythme des pas, à se reformuler, se mettre en crise pour mieux forger des concepts eux-mêmes mobiles, nomades. Plus radicalement encore […] on peut estimer que s’est le décentrament du sujet qui autorise le cheminement de la pensée168.

Una modalità di pensiero nomade che è allo stesso tempo riflesso e risultato di dispositivi creativi altrettanto mobili. Il movimento, lo spostamento, riguarda sia l’opera sia l’artista e si pone in stretta relazione con i processi socio-politici contemporanei tout-court. Vale, per questi artisti, ciò che Anne-Françoise Penders scrive in relazione ai Land artisti:

C’est autour et à travers le concept de déplacement que s’articulent à la fois processus de création de œuvre et celui de sa présentation. Il y aurait nomadisme de l’œuvre et de l’artiste sur plusieurs plans: esthétique, social et économique169.

A cambiare, rispetto ai Land artisti e, più in generale, agli artisti degli anni Settanta, è proprio questo contesto al contempo estetico, sociale ed economico.

È il critico francese Nicolas Bourriaud, in The Radicant (2009), a fornirci una interpretazione interessante di questi processi nomadici nel contesto contemporaneo. Nel tentativo di rielaborare in una prospettiva estetica le dibattute nozioni di multiculturalismo, postmodernismo e globalizzazione e di proporne il superamento in un una “altermodernity” su scala globale, da costruire attraverso la cooperazione e la traduzione fra differenti identità culturali, Bourriaud delinea i tratti di una estetica del XXI secolo che definisce radicant, rampicante: un

166 Idem, p. 22 (traduzione mia). Thierry Davila, “Errare humanum est* (remarques sur quelques marcheurs de la fin du XXe siècle)”, cit., p. 258.

167 Dominique Baqué, Histoires d’ailleurs, cit., p. 218 (traduzione mia).

168 Idem, p. 246.

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termine che designa “quelle piante che non dipendono, per la crescita, da una singola radice, ma avanzano in ogni direzione e su qualsiasi superficie si presenti, come l’edera”170. Bourriaud delinea le conseguenze e i cambiamenti determinati dell’emersione delle culture non occidentali sulla scena globale, a livello economico così come nel più ristretto sistema dell’arte, e riscontra una