• Non ci sono risultati.

Gli albori della Costituzione e il Terzo settore: alcune osservazioni conclusive.

Nel documento Profili costituzionali del Terzo settore (pagine 48-53)

Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte, è possibile apprezzare come la dimensione giuridica del “Terzo settore” appaia scandita da alcune “tappe” fondamentali che ne hanno segnato l‟evoluzione nel quadro di periodi storici tra loro assai diversificati.

Di ciò è possibile prendere contezza a partire dalla frammentazione del quadro giuridico, oltre che politico, che si era stratificata prima dell‟approvazione della “gran legge” del 1862, che è intervenuta sul tema della carità e della beneficenza riconoscendo una certa qual autonomia alle Opere pie, per la verità gestite in gran parte dalle istituzioni ecclesiastiche.

Questa prima forma di regolamentazione del fenomeno non può dirsi tuttavia connotata da una completa ritrazione ad opera del controllo statale, anche se è solo con la normativa crispina che si è potuto riscontrare una presenza più significativa nel settore, attraverso quella “svolta” in senso pubblicistico di cui si è reso conto in precedenza.

48

A seguito del progressivo avanzamento dello Stato nel quadro delle politiche sociali d‟inizio Novecento, è stato il regime fascista quindi ad attrarre a sé gran parte della sfera assistenziale, sia pur piegandola a fini politici e di controllo collettivo.

Da questo breve resoconto non sembra solo trasparire il dato, lucidamente evidenziato in dottrina, della “strumentalizzazione dell‟assistenza per il conseguimento di obiettivi che pur variando nel tempo hanno sempre assai poco a che vedere con una seria soluzione dei bisogni sociali”149, a vantaggio di fini per lo più politici.

Dall‟analisi sin qui condotta, al contrario, sembra trasparire l‟ulteriore riflessione di come il problema cruciale che ha interessato le prime esperienze di “Terzo settore” a partire dall‟unificazione del Regno, si sostanzi nella difficoltà di riscontrare un “punto di equilibrio” tra il riconoscimento di un‟adeguata sfera di autonomia e il controllo esercitato dall‟apparato pubblico.

Di tale questione, peraltro, è possibile rinvenire traccia anche nella normativa del codice civile del 1942.

Come noto, l‟articolato espresse un favor nei confronti dell‟archetipo societario commerciale, modello ritenuto più confacente con le esigenze di produzione e di circolazione della ricchezza.

Diversamente dalla codificazione francese, cui pure si ispirava, il codice accordò altresì una disciplina per tutti quegli enti che non perseguissero uno scopo di carattere eminentemente lucrativo.

Malgrado la regolamentazione giuridica di organismi privi di una connotazione economica nel raggiungimento dei loro fini rappresentasse un aspetto di per sé rilevante (atteso il contesto storico in cui venne predisposta), il ruolo a questi riconosciuto fu per vero marginale e, soprattutto, l‟ingerenza statale non apparve meno penetrante.

Il codice, oltre a escludere dal suo ambito applicativo quel complesso di enti morali di cui già si occupava la disciplina speciale150, predispose invero una netta

149

V.FARGION, L‟assistenza pubblica in Italia dall‟unità al fascismo: primi elementi per un‟analisi strutturale, cit., p. 69.

150 Art. 11 c.c., a mente del quale “[...] gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche,

49

demarcazione tra, da un lato, le associazioni riconosciute (e le fondazioni) e, dall‟altro, le associazioni prive di riconoscimento (e i comitati)151.

Siffatta ripartizione non rifletteva esigenze meramente classificatorie, assumendo una pregnanza sotto il profilo dell‟incidenza del controllo pubblicistico e, più in generale, del ruolo alle stesse riconosciuto dall‟ordinamento.

Così, diversamente dalle società commerciali, cui era riservata una disciplina complessivamente più favorevole, le associazioni riconosciute erano anzitutto soggette a vincoli procedurali di non poco momento, venendo l‟autorità a svolgere una verifica discrezionale sulla compatibilità dei loro scopi con quelli collettivi.

La stessa autorità esercitava altresì un controllo sulle loro acquisizioni immobiliari152, onde evitare che un eccessivo accumulo patrimoniale potesse rappresentare un ostacolo rispetto alle esigenze circolatorie del mercato.

Di contro, la disciplina dedicata alle associazioni non riconosciute appariva relegata a un ruolo di assoluta marginalità, limitandosi il codice a definirne i contorni giuridici essenziali tali da far loro assumere, di fatto, una mera soggettività giuridica e riservandogli un trattamento nel complesso deteriore rispetto a quello di cui avrebbero beneficiato attraverso il riconoscimento153.

151

Sul fenomeno associativo nella disciplina civilistica, ex multis, M.BASILE, Gli enti di fatto, in P.RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, Vol. II, Tomo I, pp. 463 ss.; C.M. BIANCA, Le autorità private, Milano, 1977; ID., I gruppi minori e la responsabilità della associazione non riconosciuta, in ID.(a cura di), Realtà sociale ed effettività della norma. Scritti di C. M. Bianca, Vol. I, tomo 1, Milano, 2002, pp. 307 ss.; ID., Non profit organisations, Ivi, I, tomo 2, pp. 929 ss.; M.V.DE GIORGI, Le persone giuridiche private e gli enti di fatto, in P.RESCIGNO

(diretto da), Trattato di diritto privato, cit., pp. 277 ss.; F. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati. Artt. 36-42, in A.SCIALOJA,G.BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, Bologna-Roma, 1967; P.RESCIGNO, Persone e gruppi sociali, Napoli, 2006; A. RUSSO, Il fenomeno associativo nel diritto italiano e comparato, Napoli, 2010.

152 Art. 17 c.c., oggi abrogato, che recitava “[l]a persona giuridica non può acquistare beni

immobili, né accettare donazioni o eredità, né conseguire legati senza l‟autorizzazione governativa. Senza questa autorizzazione l‟acquisto e l‟accettazione non hanno effetto”.

153

Art. 36 c.c. e seguenti. Si ricorda, in proposito, come le associazioni non riconosciute non potessero effettuare acquisti immobiliari a titolo oneroso (almeno secondo l‟orientamento maggioritario), né tanto meno acquisti mortis causa e per donazione, ai sensi degli artt. 600 c.c. e 786 c.c., poi abrogati. Inoltre, mentre per le associazioni riconosciute i rapporti interni venivano espressamente disciplinati agli articoli 18 e seguenti, per quelle prive di riconoscimento tali aspetti venivano rimessi a specifici accordi tra associati (art. 36 c.c.). Questi importanti profili di differenziazione vengono posti in rilievo nella manualistica tradizionale, ex multis, da A. TORRENTE,P.SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, XX ed., Milano, 2011, p. 152.

50

Date queste caratteristiche non sembrano pertanto eccessivi quegli appellativi apparentemente altisonanti che hanno condotto taluno a qualificare le associazioni riconosciute e le fondazioni come veri e propri “enti parapubblicistici”154

.

Difatti, se da un lato rispetto alle forme associative riconosciute permaneva un ingombrante ruolo dello Stato, con riferimento a quelle prive di riconoscimento, data la loro residualità, emergeva piuttosto chiaramente come l‟ordinamento esprimesse un atteggiamento di sostanziale sfavore.

Rimane da chiedersi, a tal punto, quale sia stato l‟impatto che la nuova cornice costituzionale ha avuto sul richiamato processo evolutivo della dimensione giuridica del “Terzo settore” che, come si è visto, è addivenuto agli albori dell‟approvazione della Carta fondamentale “costretto” tra i pochi aspetti di autonomia e i molti vincoli pubblicistici.

In primo luogo, possiamo rilevare come la Costituzione abbia rappresentato una reazione profonda rispetto a tutte quelle forme di limitazione delle autonome aggregazioni sociali, che il regime fascista aveva imposto trasfigurandone i caratteri identificativi.

Anzi, più puntualmente, la metamorfosi del quadro politico tracciata dall‟approvazione della Carta, sembra aver determinato un vero e proprio capovolgimento nei rapporti tra lo Stato e gli enti collettivi155, venendo questi ultimi a qualificarsi come una possibile risorsa in chiave collaborativa con i primi e non come un fenomeno da arginare.

Questo processo, che ha segnato un “cambio di rotta”156

nel percorso evolutivo delle organizzazioni del Terzo settore, è transitato anzitutto attraverso l‟attribuzione di un valore centrale alla persona umana, con l‟affermazione del principio personalista e, di conseguenza, mediante la valorizzazione di tutte quelle formazioni sociali in cui viene a svilupparsi la personalità individuale.

154

L‟espressione, particolarmente evocativa, è utilizzata da A.ZOPPINI, La disciplina delle associazioni e delle fondazioni dopo la riforma del diritto societario, in M.MALTONI, A.ZOPPINI

(a cura di), La nuova disciplina delle associazioni e delle fondazioni. Riforma del diritto societario e enti non profit, in Quaderni della Rivista di diritto civile, Padova, 2007, pp. 1 ss., nonché da A. SANTUARI, Le organizzazioni non profit, cit., p. 10.

155 M. C

APECCHI, Evoluzione del Terzo settore e disciplina civilistica. Dagli enti non lucrativi alla “impresa sociale”, cit., p. 24.

156 C.B

51

È curioso rilevare, peraltro, come nel rinnovato contesto di pluralismo democratico, quegli stessi strumenti giuridici attraverso i quali il regime aveva ricondotto a un ruolo del tutto accessorio le formazioni sociali, non hanno costituito solamente il terreno di coltura per il progressivo affermarsi degli enti non lucrativi, ma anche di tutto quel complesso di altri “attori” del fervente scenario politico e culturale italiano a partire dal secondo dopoguerra, come i partiti politici e i sindacati.

La Costituzione, dunque, abbracciando una dimensione “relazionale” tra individuo, società e Stato, ha riconosciuto una legittimazione profonda a quelle formazioni sociali che, a partire dall‟illuminismo, erano state viste con particolare disfavore per le ragioni sopra esposte e che il sentiero giuridico che le aveva condotte sino all‟approvazione della Carta fondamentale non era riuscito nel complesso a valorizzare.

Il progetto politico alla stessa sotteso, infatti, ha finito per riempire quello stesso “spazio” tra l‟individuo e lo Stato157

esprimendo un disegno promozionale proprio nei confronti di quelle aggregazioni sociali preposte alla valorizzazione del libero sviluppo della persona158.

Questo costituì dunque lo scenario su cui si è potuta sviluppare la dimensione giuridica del Terzo settore nel rinnovato quadro valoriale segnato dalla Costituzione.

Solo grazie al “sistema” delle coordinate costituzionali che ne rappresentano la base giuridica fondamentale, esso ha potuto acquisire - sino ai giorni nostri - un ruolo assai significativo a livello sociale, culturale ed economico, di ciò costituendo una delle più recenti testimonianze la disciplina contenuta nel d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, recante il “Codice del Terzo settore”.

157

P. RESCIGNO, Ascesa e declino della società pluralista, in P. RESCIGNO, Persona e comunità, Bologna, 1966, p. 8.

158 Su tale aspetto A.B

ARBERA, Art. 2, in G. BRANCA (a cura di), Commentario della Costituzione, Bologna, 1975, p. 109.

52

CAPITOLO II

Nel documento Profili costituzionali del Terzo settore (pagine 48-53)

Documenti correlati