• Non ci sono risultati.

Costituzione, crisi del welfare State e Terzo settore Alcune considerazioni finali.

Nel documento Profili costituzionali del Terzo settore (pagine 115-124)

“L‟IDENTITÀ COSTITUZIONALE DEL TERZO SETTORE”

5. Costituzione, crisi del welfare State e Terzo settore Alcune considerazioni finali.

Al di là della dimensione sovranazionale del Terzo settore, che si è visto possedere un suo peculiare sviluppo, giova a tal punto riflettere su quello che è stato il percorso normativo che a livello interno ha caratterizzato il fenomeno in analisi sino alle ultime spinte riformatrici.

Questo aspetto, oltre a costituire un dato di per sé rilevante per la comprensione delle ragioni del recente riassetto normativo della materia, ci consente in realtà di svolgere alcune considerazioni di più ampio respiro, che evocano problematiche di centrale importanza nell‟ambito del presente studio.

È allora il caso di osservare come l‟impostazione accolta dalla Costituzione, imperniata sulla centralità della persona e del pluralismo sociale, non abbia ricevuto un‟immediata valorizzazione nell‟ambito del sistema di welfare sviluppatosi in Italia a partire dal secondo dopoguerra.

In questo specifico ambito, difatti, tali coordinate costituzionali - all‟interno delle quali trova un profondo radicamento anche il Terzo settore - sembrano al contrario per lungo tempo aver assistito a una sostanziale “elusione”406

.

Le ragioni di un simile processo sono state per lo più ricondotte all‟influenza di esperienze culturali e ideologiche maturatesi durante periodi storici ben precedenti, in seno ai quali le manifestazioni spontanee della vita associata hanno conosciuto un progressivo ridimensionamento.

Si è già avuto modo di osservare, in proposito, come se nel periodo liberale simili aggregazioni sociali furono gradualmente attratte all‟orbita pubblicistica, nel periodo fascista si poté registrare una loro radicale assimilazione all‟interno dell‟apparato statale, che finì per assegnargli un peso del tutto marginale.

406L. A

NTONINI, A. PIN, Gli aspetti costituzionali, amministrativi e tributari del Terzo settore, cit., p. 153 s..

115

Questo percorso evolutivo, di conseguenza, ha attribuito un ruolo preminente nell‟erogazione dei servizi assistenziali alla sfera pubblica, che nelle fasi storiche ora evocate, sia pur per ragioni ideologiche diverse, ha inteso far fronte in prima persona alle situazioni di bisogno dei singoli consociati.

Tale circostanza, nondimeno, è risultata preponderante anche successivamente all‟approvazione della Carta, allorquando si è assistito al consolidamento di una simile linea di condotta a livello di politiche socio- assistenziali.

Per questa ragione non si è mancato di osservare come il sistema di welfare, in tal modo, si sia “tenuto sul binario statale e all‟interno della logica statalista, ben oltre quanto lo consentisse la Costituzione”407

.

Di conseguenza l‟impronta pubblicistica nel governo dei servizi alla persona sembra così aver fortemente limitato il contributo della società civile e, con essa, del Terzo settore408.

A quest‟ultimo, malgrado il nitido dettato costituzionale, è stato infatti assegnato un ruolo per lo più “complementare e di integrazione”, a dispetto di quello del tutto prioritario assolto dall‟apparato statale409

.

407 Ivi, p. 155. Gli Autori, sul punto, rilevano infatti come una simile “tendenza” abbia

“valorizzato sistematicamente la compagine statale marginalizzando o ignorando le opere sociali che nascevano dal basso”. A questo proposito peraltro sottolineano come un simile “accentramento” in capo ai pubblici poteri non sia andato a discapito della sola “società civile”, ma della stessa “struttura statale”. Si osserva infatti che “previdenza e assistenza sociale e sanitaria si sono dislocate lungo l‟asse statale, sostanzialmente attraverso la creazione di enti strumentali intesi a erogare prestazioni uniformi sull‟intero territorio italiano” con un disconoscimento, in concreto, dell‟“articolazione della repubblica in regioni, province e comuni, che poteva consentire un significativo decentramento dei servizi sociali al fine di calibrarli maggiormente sulle specificità dei singoli territori”.

408

A questo proposito sembrano degne di rilievo quelle osservazioni svolte da una dottrina che in una prospettiva costituzionalistica ha specificamente individuato “tre tappe della vita del Terzo settore”. Ci si riferisce, in particolare, alle riflessioni di L.VIOLINI,A.ZUCCHELLA, Il Terzo settore tra cittadinanza dell‟impresa e contesto costituzionale sussidiario, in Non profit, n. 2/2003, p. 289 s., che segnatamente distinguono “la fase interstiziale propria sia dello Stato liberale ottocentesco che dello Stato sociale del „900, quella residuale (o della „terzietà‟) propria della crisi dello Stato sociale e quella, ultima - più immaginata che realizzata -, della interazione tra Stato, aziende profit ed enti del terzo settore”. Secondo questa linea di pensiero, in specie, questi momenti possono anche leggersi come “tre diverse fasi costituzionali o - per usare una terminologia più attinente alla tradizione giuspubblicistica - tre diverse „forme di Stato‟ [...]”.

409 Così E.R

OSSI,S.ZAMAGNI, Introduzione, in E.ROSSI,S.ZAMAGNI (a cura di), Il Terzo settore nell‟Italia unita, cit., p. 16. Nello stesso senso si osserva come il crescente ruolo dei pubblici poteri nella tutela dei diritti sociali sia parso andare di pari passo rispetto a un generale approccio di cautela registratosi sul versante della regolamentazione delle manifestazioni dell‟autonomia privata, nel timore che queste ultime potessero in qualche misura finire per essere eccessivamente limitate.

116

Tra gli anni Ottanta e Novanta, tuttavia, un simile processo ha assistito a un cambio di rotta, venutosi a determinare a cagione di una pluralità di fattori che hanno senza dubbio indotto a riporre un sempre maggiore interesse nei riguardi degli organismi non lucrativi.

Se da un lato, infatti, si è registrato il definitivo superamento di ogni retaggio storico restio alla valorizzazione di simili iniziative private, dall‟altro è emersa in tutta la sua evidenza l‟insostenibilità finanziaria di un modello assistenziale a vocazione universalistica, incentrato di fatto sulla sola presenza pubblica410.

A queste fondamentali ragioni deve soggiungersi una generalizzata sfiducia nella capacità rappresentativa dei partiti che, assieme a una sempre più diffusa diffidenza verso la loro adeguatezza nell‟approntare politiche efficaci, hanno progressivamente condotto al rafforzamento di quelle sedi in grado di mostrare una più accentuata sensibilità rispetto alle istanze dei cittadini.

In un simile contesto, pertanto, i soggetti del Terzo settore hanno rappresentato un luogo di “partecipazione popolare alla vita pubblica” 411

,che gli schemi tradizionali non sembravano al tempo in condizione di garantire compiutamente.

Le considerazioni sin qui svolte ci inducono allora a comprendere il motivo per cui si sia posta, a un certo punto, l‟esigenza di predisporre una disciplina promozionale per questi stessi soggetti e che potesse loro assicurare una regolamentazione giuridica “di favore” che andasse al di là dello scarno impianto tracciato dal codice civile.

410

Adducono simili due ragioni, tra gli altri, anche L. ANTONINI, A. PIN, Gli aspetti costituzionali, amministrativi e tributari del Terzo settore, cit., p. 166, che sotto questo aspetto hanno evidenziato come quelle “capacità che la società ha sempre avuto ma che la logica individualista e statalista ha prevalentemente negletto sono” in un simile contesto “prepotentemente riemerse e si sono riconquistate un ruolo nel sistema di welfare italiano con le proprie forze”.

411 In ordine alle motivazioni del processo di cambiamento in analisi G.P.B

ARBETTA, Il settore non profit italiano: solidarietà, democrazia e crescita economica negli ultimi vent‟anni, in S. ZAMAGNI (a cura di), Libro bianco sul Terzo settore, cit., p. 212, che pone l‟accento sulla “disillusione riguardo alla capacità del sistema dei partiti di identificare e attuare riforme capaci di migliorare la qualità e l‟efficacia delle politiche pubbliche”, osservando come una simile condizione abbia “avviato la ricerca di nuovi „contenitori‟ che potessero, contemporaneamente, rappresentare spazi di partecipazione popolare alla vita pubblica, e luoghi di sperimentazione di nuovi modelli di azione collettiva”. Sul punto si vedano altresì le considerazioni di L.ANTONINI, Il principio di sussidiarietà orizzontale: da welfare State a welfare society, in Riv. dir. fin. e sc. fin., LIX, 1, I, 2000, p. 114 s..

117

In questo filone normativo si può ricordare anzitutto la legge 11 agosto 1991, n. 266 ossia la “legge-quadro sul volontariato”412

, di cui è possibile apprezzare la rilevanza in una prospettiva costituzionalistica laddove attribuiva una specifica considerazione al “valore sociale” e alla “funzione dell‟attività di volontariato” quale “espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo”413

.

Sotto questo aspetto è inoltre utile rilevare come tale legge, nel fornire una definizione di una simile attività, ne sottolineasse altresì la necessaria propensione al soddisfacimento di finalità eminentemente solidaristiche414.

Oltre a siffatto provvedimento415, peraltro, non può che menzionarsi la legge 8 novembre 1991, n. 381 sulle cooperative sociali.

L‟articolato invero ha offerto un riconoscimento giuridico a quegli organismi orientati al soddisfacimento dell‟“interesse generale della comunità alla promozione umana e all‟integrazione sociale dei cittadini”, obiettivi perseguibili tanto attraverso la “gestione di servizi socio-sanitari ed educativi” (c.d. cooperative di “tipo A”), quanto mediante lo svolgimento di una serie di attività preordinate all‟inserimento lavorativo di persone svantaggiate (c.d. cooperative di “tipo B”)416

.

A tali interventi deve inoltre aggiungersi la legge 16 dicembre 1991, n. 398 sul regime tributario delle associazioni sportive dilettantistiche417, nonché il d.lgs.

412 Su tale normativa si veda, in particolare, L. B

RUSCUGLIA, E. ROSSI (a cura di), Il volontariato a dieci anni dalla legge quadro, Milano, 2002.

413 Art. 1, comma 1, legge 11 agosto 1991, n. 266.

414 Art. 2, comma 1, legge 11 agosto 1991, n. 266. Si rammenta, invero, come tale

disposizione così recitasse: “per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l‟organizzazione cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”.

415 È il caso qui di ricordare, per completezza, come tale normativa sia stata preceduta dalla

legge 26 febbraio 1987, n. 49, che ha disciplinato l‟importante fenomeno delle Organizzazioni non governative operanti nella cooperazione con i Paesi in via di sviluppo e impegnate nell‟aiuto umanitario, riconoscendo ad esse una disciplina di favore. Oltre a questa regolamentazione deve tenersi conto della legge 11 agosto 2014, n. 125 che, tra le varie innovazioni in materia, ha istituito l‟Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (art. 17).

416

Si rammenta in proposito l‟art. 1 della legge in parola, a mente della quale “le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l‟interesse generale della comunità alla promozione umana e all‟integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse - agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all‟inserimento lavorativo di persone svantaggiate”.

417

In questo ambito si vedano altresì i contenuti dell‟art. 90, comma 18, lett. d), della legge 27 dicembre 2001, n. 289. Si ricorda, peraltro, come l‟operatività della legge n. 398 del 1991 abbia successivamente interessato anche le associazioni pro loco, così come stabilito dalla legge 6 febbraio 1992, n. 66.

118

4 dicembre 1997, n. 460 relativo alle “Organizzazioni non lucrative di utilità sociale”.

Tale provvedimento, come noto, ha elaborato una categoria rilevante a fini per lo più fiscali che, accompagnandosi alla specifica qualifica giuridica posseduta dai singoli enti, riconosce loro un regime agevolato allorquando soddisfino i requisiti puntualmente elencati dal decreto418.

Alle discipline sin qui richiamate, per di più, ha fatto seguito una tendenza normativa che, nell‟ambito della più generale cornice delle privatizzazioni, ha condotto a una graduale conversione di specifiche tipologie di enti pubblici in fondazioni di diritto privato419.

Appare significativa, in questo senso, la trasformazione degli “enti di prioritario interesse nazionale operanti nel settore musicale” 420 in fondazioni lirico-sinfoniche, chiamate dal d.lgs. 29 giugno 1996, n. 367 a perseguire, senza scopo di lucro, la diffusione di una simile arte421.

Non può a questo proposito sottacersi neppure l‟articolata vicenda delle fondazioni di origine bancaria che, con il d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153, sono state definitivamente riconosciute come persone giuridiche private senza scopo di

418 Si veda in particolare l‟art. 10 del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 460. Tra i presupposti della

normativa, destinata tuttavia a essere superata con la piena attuazione della riforma del Terzo settore, figurano, tra gli altri, lo svolgimento di attività specificamente elencate (come ad esempio l‟assistenza sociale e sociosanitaria, la beneficienza, l‟istruzione, lo sport dilettantistico e la tutela e valorizzazione della natura e dell‟ambiente), nonché l‟esclusivo perseguimento di finalità di utilità sociale. Nello stesso decreto, inoltre, si elencano i soggetti che assumono automaticamente una simile qualifica senza necessità di iscrizione nella relativa Anagrafe, c.d. “Onlus di diritto” (tra cui le organizzazioni di volontariato e non governative, oltre alle cooperative sociali) e, altresì, quelli che in ogni caso non possono assumere siffatta qualifica (come enti pubblici, società commerciali non cooperative, fondazioni bancarie, partiti politici, sindacati e associazioni dei datori di lavoro e di categoria).

419

Sul punto, amplius, si veda A. ZOPPINI, Le fondazioni. Dalla tipicità alle tipologie, Napoli, 1995. Questo importante aspetto viene posto in rilievo nella manualistica tradizionale in particolare da A.TORRENTE,P.SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, cit., p. 167 s..

420

Articoli 1 e 2, d.lgs. 29 giugno 1996, n. 36.

421

Art. 3, d.lgs. 29 giugno 1996, n. 36, a mente del quale simili fondazioni “perseguono, senza scopo di lucro, la diffusione dell‟arte musicale, per quanto di competenza la formazione professionale dei quadri artistici e l‟educazione musicale della collettività”. “Per il perseguimento dei propri fini”, si aggiunge, “le fondazioni provvedono direttamente alla gestione dei teatri loro affidati, conservandone il patrimonio storico-culturale e realizzano, anche in sedi diverse, nel territorio nazionale all‟estero, spettacoli lirici, di balletto e concerti [...]”. Nella disposizione peraltro si fa specifico riferimento al fatto che simili enti possano comunque “svolgere in conformità degli scopi istituzionali, attività commerciali ed accessorie”.

119

lucro, dotate di una propria autonomia statutaria e legittimate al perseguimento di scopi di utilità sociale422.

Come si è già ricordato, in materia è peraltro intervenuta la Corte costituzionale che, dichiarando l‟illegittimità di quelle previsioni che assicuravano una preminente presenza pubblica negli organi d‟indirizzo di simili enti, ne ha convalidato la natura privata annoverandoli tra i soggetti dell‟“organizzazione delle libertà sociali”423

.

Il quadro normativo sin qui tracciato, nondimeno, è stato arricchito dalla legge 8 novembre 2000, n. 328 che, oltre a valorizzare il ruolo del Terzo settore all‟interno del sistema integrato di interventi e servizi sociali, ha rappresentato l‟impulso - in virtù della delega in essa contenuta424

- per l‟approvazione del d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207 concernente il riordino del sistema delle I.p.a.b.425.

In diretta attuazione del quadro costituzionale la legge 7 dicembre 2000, n. 383 ha disciplinato altresì la figura delle “associazioni di promozione sociale”, preposte allo svolgimento, senza fini di lucro, di attività di utilità sociale426.

Ad essa hanno successivamente fatto seguito, ancora, la legge 30 marzo 2001, n. 152 che si è occupata della nuova regolamentazione degli istituti di

422 Art. 2, d.lgs. 17 maggio 1999, n. 153. Si ricorda peraltro come la richiamata vicenda abbia

trovato origine a partire dalla l. 30 luglio 1990, n. 218 (c.d. “legge Amato-Carli”) e che, successivamente al richiamato decreto del 1999 (a sua volta preceduto dalla delega contenuta nella l. 23 dicembre 1998, n. 461, c.d. “legge Ciampi”), è stata interessata dalla c.d. “riforma Tremonti” con la legge finanziaria del 2002 (art. 11, l. 28 dicembre 2001, n. 448). Quest‟ultima normativa, tra le altre previsioni, aveva irrobustito la rappresentanza degli enti territoriali che, nella composizione dell‟organo d‟indirizzo delle fondazioni, avrebbe dovuto essere “prevalente”.

423

A tal proposito si vedano le sentenza della Corte costituzionale 29 settembre 2003, n. 300 e 301. Nella prima delle due pronunce, in specie, si afferma come a partire dagli interventi dei primi anni Novanta si sia assistito a un progressivo superamento di quel vincolo “che in origine legava l‟ente pubblico conferente e la società bancaria, e ha trasformato la natura giuridica del primo in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro” (punto 6.1).

424 Art. 10, legge 8 novembre 2000, n. 328.

425 È utile rammentare l‟introduzione ad opera di questo stesso provvedimento, tra l‟altro,

della figura dell‟“azienda di servizi alla persona”, qualifica riservata a quelle Istituzioni che abbiano deciso di mantenere la personalità giuridica di diritto pubblico.

426 Si ricorda, in particolare, come ai sensi dell‟art. 1 della legge 7 dicembre 2000, n. 383 un

simile articolato sia stato adottato in conformità agli articoli 2, 3 comma secondo, 4 comma secondo, 9 e 18 della Costituzione.

120

patronato e di assistenza sociale427, nonché il d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155 che ha introdotto e disciplinato la nuova figura dell‟impresa sociale428

.

Da quanto sopra osservato si può agevolmente comprendere pertanto come il quadro normativo stratificatosi a partire dagli anni Novanta, in seguito alla progressiva emersione della crisi del welfare State, si sia contraddistinto per la sua scarsa organicità nonché per una marcata frammentarietà.

Simili provvedimenti infatti, se per un verso hanno avuto il merito di intervenire in ambiti costituzionalmente rilevanti, non sembrano d‟altra parte esser stati varati secondo una logica unitaria, bensì con un approccio settoriale di tipo per lo più contingente429.

Nondimeno, al di là del “tentativo di riorganizzazione”430 - peraltro parziale431 - operato dal d.lgs. n. 460/1997 sulle Onlus, questo coacervo normativo non ha assistito ad alcun incisivo processo di coordinamento, il che non ha di certo contribuito a offrire un quadro giuridico chiaro per i molteplici soggetti del Terzo settore.

Anzi, questo stesso atteggiamento ha indotto taluno ad osservare come fosse ormai venuta a determinarsi un‟autentica “competizione tra tipi organizzativi

427 Anche tale normativa è stata specificamente predisposta, così come previsto dall‟art. 1, in

attuazione di alcune previsioni costituzionali e, segnatamente, degli artt. 2, 3 comma secondo, 18, 31 comma secondo, 32, 35 e 38 Cost..

428

A questo complesso quadro normativo devono peraltro aggiungersi quelle discipline che, pur non essendo destinate a regolamentare alcuna specifica figura soggettiva del Terzo settore, assegnano comunque ad esso un ruolo peculiare. Ci si riferisce, in specie, a quelle ipotesi evidenziate anche da P.ADDIS,E.FERIOLI,E.VIVALDI, Il Terzo settore nella disciplina normativa italiana dall‟unità ad oggi, cit., p. 207 ss., secondo i quali “la prospettiva adottata dal legislatore non è quella dell‟individuazione immediata dei soggetti del Terzo settore impegnati nello svolgimento di una determinata attività, ma è piuttosto legata ad aspetti di carattere funzionale”. Tra i vari riferimenti indicati può richiamarsi, così, l‟art. 9 della legge n. 241 del 1990 che riconosce la facoltà di intervenire nel procedimento amministrativo a tutti quei soggetti, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, portatori di interessi pubblici o privati, nonché ai portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati.

429 Pone in rilievo il carattere settoriale e contingente della disciplina giuridica del Terzo

settore, in particolare, G.TIBERI, La dimensione costituzionale del Terzo settore, cit., p. 26 s..

430 G. P. B

ARBETTA, Il settore non profit italiano: solidarietà, democrazia e crescita economica negli ultimi vent‟anni, cit., p. 237.

431

L. VIOLINI, A. ZUCCHELLA, Il Terzo settore tra cittadinanza dell‟impresa e contesto costituzionale sussidiario, cit., p. 276, per i quali pur potendo il provvedimento essere ricordato come il testo “normativo forse più importante della storia del non profit in Italia” non deve tuttavia dimenticarsi il dato per cui tale disciplina risulti caratterizzata “per unanime riconoscimento degli esperti” da “una marcata parzialità di approccio al problema” sotteso a tale complesso fenomeno. Difatti si osserva come ponendosi “l‟attenzione sulla questione fiscale e prescindendo da una definizione civilistica degli enti in esame, se da un lato si evita un ingabbiamento di un fenomeno che è considerato ancora in fase di stabilizzazione, dall‟altro si rinuncia anche al tentativo - per contingente che possa essere - di promuoverne e valorizzarne tutta la positività”.

121

differenti”432

, profilandosi in tal modo uno scenario che rischiava di non valorizzare tutte le potenzialità sottese a un fenomeno in costante ascesa come quello in analisi.

Si è presto avvertita così la necessità di predisporre una riforma organica della materia attraverso un‟operazione di razionalizzazione della pregressa normativa433, che però ha visto la luce solamente in tempi recenti434.

Deve conclusivamente osservarsi, ad ogni modo, come nell‟ambito della disciplina promozionale ora richiamata, abbia assunto una sempre maggiore rilevanza il tema delle relazioni intercorrenti tra il privato sociale e i pubblici poteri, che a seguito della crisi del welfare State, e coerentemente con una logica sussidiaria, hanno assistito a una crescita graduale.

Difatti, la diversa sensibilità che si è mostrata sul piano normativo per gli enti non lucrativi a partire dagli anni Novanta, non è transitata solo dalla disciplina di alcune specifiche figure soggettive, ma anche da una loro progressiva attrazione allo svolgimento di attività tipicamente assolte dalla sfera pubblica435.

Una simile tendenza, trovando successivamente “un riconoscimento ed insieme un nuovo slancio prospettico” con l‟accoglimento in Costituzione del principio di sussidiarietà, ha condotto a una riconsiderazione dell‟assetto precedente, attraverso “il passaggio da un modello incentrato sulla prevalenza dell‟erogazione pubblica di servizi” ad un “sistema di servizi sociali a più protagonisti, istituzionali e della solidarietà”436

.

432 G. P. B

ARBETTA, Il settore non profit italiano: solidarietà, democrazia e crescita economica negli ultimi vent‟anni, cit., p. 236.

433 E.R

OSSI, La necessità di una “revisione organica” della legislazione del Terzo settore: un‟opportunità da cogliere, un lavoro parlamentare da realizzare, in Non profit, n.3/2014, p. 25.

434 Tale processo è stato intrapreso infatti a partire dalla legge 6 giugno 2016, n. 106

contenente la delega al Governo per la riforma del Terzo settore e dell‟impresa sociale e per la

Nel documento Profili costituzionali del Terzo settore (pagine 115-124)

Documenti correlati