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La “svolta” in senso pubblicistico della legge Crispi.

Nel documento Profili costituzionali del Terzo settore (pagine 32-40)

A seguito delle riflessioni svolte sul fenomeno, cronologicamente intermedio, delle società di mutuo soccorso, giova ora tornare a riflettere sul complesso processo di riforma della legge sulle Opere pie.

Dando seguito ai precedenti rilievi, si evidenzia a tal proposito come i risultati dell‟“inchiesta Correnti” furono preceduti da un dibattito assai variegato in merito alle modalità, e più generalmente all‟approccio, con cui procedere a un ripensamento della “gran legge” del 1862, che in parte avrebbe poi avuto un riflesso anche sugli esiti finali della riforma.

Così, si avvicendarono due fondamentali orientamenti: l‟uno teso a un intervento di portata nel complesso ridotta ma non per questo meno marcata, l‟altro volto a incidere in modo risoluto sull‟intero impianto normativo, trasformandone i contenuti e in definitiva concependo una ridefinizione totale del sistema della beneficenza80.

Ad ogni buon conto v‟è da rilevare come, nonostante la pluralità di vedute, fosse pressoché unanime la volontà di rideterminare i contorni della regolamentazione al tempo vigente, sia pur nel difficile intento di trovare un adeguato bilanciamento tra il “rifiuto di automatismi giuridici” e la necessità di assicurare una “solidarietà diffusa”81

.

Il sistema dei controlli della legge del 1862 era infatti ritenuto inconsistente e risultavano non meno gravi le responsabilità dei vari livelli istituzionali chiamati a garantirne l‟effettività82

.

Allo scenario tracciato dall‟inchiesta Correnti si accompagnò un progetto predisposto dalla medesima Commissione che l‟aveva condotta e che per la verità, nonostante modificasse i contenuti della precedente normativa, non ne rinnegava i principi ispiratori.

80

E. BRESSAN, Percorsi del Terzo settore e dell‟impegno sociale dall‟unità alla prima guerra mondiale, in E.ROSSI,S.ZAMAGNI (a cura di), Il Terzo settore nell‟Italia unita, cit., p. 39 s.. Nel contributo si segnalano segnatamente i sostenitori delle due fondamentali posizioni. Tra i primi vi erano VILLARI,LUZZATTI,CORRENTI,BODIO e SCOTTI, mentre tra i secondi assunse un ruolo significativo in particolare CARAVAGGIO, che fu tra i primi a denunziare le inefficienze nell‟amministrazione delle Opere pie.

81 Ivi, p. 40. 82 Ibidem.

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Al suo interno si era invero formata una salda maggioranza che si impegnava a consolidare l‟autonomia alle Opere pie, incidendo in modo più marcato sul sistema delle incompatibilità degli amministratori e rafforzando l‟apparato dei controlli83.

Si intendeva altresì implementare le attribuzioni delle Congregazioni di carità nell‟ottica di un potenziamento della beneficenza nei confronti degli indigenti, introducendo inoltre il principio del domicilio di soccorso, mutuato dalle principali esperienze europee84.

Come noto, tuttavia, le intenzioni espresse con il “progetto Correnti”, furono nel complesso disattese, non trovando un seguito nella successiva legge 17 luglio 1890, n. 6972 che approdò a esiti di diverso tenore85.

Quest‟ultima, peraltro, sembrò mostrarsi coerente con un clima politico in cui si assisteva a un progressivo consolidamento delle istanze centralistiche e degli strumenti di controllo governativo sul territorio, con l‟intento di assicurare una più incisiva supervisione su quegli ambiti sociali potenzialmente in conflitto con i valori liberali86.

Con tale provvedimento, nondimeno, si è colto un radicale mutamento di prospettiva con cui si mosse la classe dirigente rispetto a quanto accaduto circa tre decenni prima all‟indomani dell‟unificazione.

In quel momento, infatti, la genericità della disciplina sui controlli - accompagnata successivamente da una sua applicazione poco solerte - appariva sintomatica della prudenza con cui si voleva approcciare un ambito intriso di istanze tra loro contrastanti e di complessa dipanatura87.

83 G. F

ARRELL-VINAY, Povertà e politica nell‟Ottocento. Le opere pie nello stato liberale, cit., pp. 276 ss..

84

S.LEPRE, Le difficoltà dell‟assistenza. Le Opere pie in Italia fra „800 e „900, Roma, 1988, p. 126.

85 Si precisa, per quanto in questa sede può rilevare, che sulla legge, a quasi cento anni dalla

sua entrata in vigore, si abbatté l‟importante e nota declaratoria d‟incostituzionalità rappresentata dalla pronuncia della Consulta n. 396 del 1988, di cui si darà conto nel prosieguo della trattazione.

86

A.VITTORIA, Il Welfare oltre lo Stato. Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra istituzioni e democrazia, cit., p. 15 s..

87 S.S

EPE, Amministrazione statale e assistenza: il controllo sulle “Opere pie”nel periodo giolittiano, in Rivista Trimestrale di Scienza dell‟Amministrazione, n. 1, 1984, p. 4 s..

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La “legge Crispi”88, al contrario, segnò l‟assunzione di un importante ruolo di

“regolazione” da parte dello Stato89

, evidente sin dalle previsioni introduttive dell‟articolato normativo90

.

Questo, difatti, nella sua formulazione originaria disponeva in modo assai evocativo che ogni ente privato che provvedesse a offrire ai poveri assistenza, educazione, istruzione, avviamento lavorativo, nonché un miglioramento economico e morale, acquisisse la qualificazione giuridica di Istituzione pubblica di beneficenza91.

Da tale confine applicativo esulavano tuttavia un complesso di enti, che quindi non erano assimilati in siffatte Istituzioni, quali i comitati di soccorso92, le fondazioni private a destinazione familiare, oltre che le associazioni e le società disciplinate dal codice civile o dal quello di commercio93.

Nel complessivo disegno riformatore ricoprivano una posizione di assoluto rilievo le Congregazioni di carità - composte da consigli eletti dai Comuni - i cui compiti non si riducevano più alla sola gestione dei lasciti per i poveri, ma si estendevano più generalmente all‟indirizzo e al coordinamento delle attività caritatevoli a livello locale94.

88 Per una riflessione d‟insieme su tale legge V. O

NIDA, Apertura al convegno: la legislazione sulle I.p.a.b. tra passato e presente, in AA.VV., L‟autonomia delle I.P.A.B., storia, problemi, prospettive, cit., pp. 15 ss..

89 P.B

ATTILANI, I protagonisti dello Stato sociale italiano prima e dopo la legge Crispi, in V.ZAMAGNI (a cura di), Povertà e innovazioni istituzionali in Italia, cit., p. 661.

90

Per una completa illustrazione della legge si veda A.F.GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza con riferimento alle leggi complementari ed ai regolamenti relativi, II ed., Padova, 1929.

91 Art. 1, legge 17 luglio 1890, n. 6972. Sul punto si vedano anche le considerazioni di B.

SORDI, Origine e itinerari scientifici della nozione di “ente pubblico” nell‟esperienza italiana, in V.CERULLI IRELLI,G.MORBIDELLI (a cura di), Ente pubblico ed enti pubblici, Torino, 1994, p. 8.

92 I comitati di soccorso, tuttavia, erano sottoposti a vigilanza.

93 Art. 2, legge 17 luglio 1890, n. 6972. Con riferimento a tale disposizione A. F.

GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., p. 46, rileva efficacemente come in realtà “l‟enumerazione contenuta nell‟art. 2 è una necessaria conseguenza logica dei principi stabiliti nell‟articolo precedente, e, a tutto rigore avrebbe potuto anche omettersi. Ma specialmente dal lato pratico non si può disconoscerne la opportunità, in quanto serve quasi da riprova dei criteri fondamentali che regolano tutta la materia disciplinata dal legislatore. Deriva da ciò che l‟enumerazione stessa va riguardata non come tassativa ma meramente dimostrativa, e si intende che comprenda i casi più interessanti e quelli che potrebbero, forse, dar luogo a qualche dubbio”.

94 In merito si vedano, tra le altre, le disposizioni di cui agli articoli 7 e 8 della legge 17

luglio 1890, n. 6972. Evidenzia questo ruolo in particolare P.BATTILANI, I protagonisti dello Stato sociale italiano prima e dopo la legge Crispi, in V.ZAMAGNI (a cura di), Povertà e innovazioni istituzionali in Italia, cit., p. 659 s., secondo la quale “le congregazioni di carità divennero un po‟ il perno della razionalizzazione dell‟intero sistema delle opere pie”. Con specifico riferimento

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Tanto è valso a far loro attribuire la qualifica di “agenzi[e] forse più rilevant[i] della politica sociale dell‟Ottocento”95 o, in modo più figurato, a farle assurgere “da cenerentole a principesse del sistema assistenziale”96.

Sta di fatto che questa implementazione di funzioni impose al legislatore una maggiore premura nel delineare il modello di nomina degli amministratori, stretto tra l‟esigenza, da un lato, di evitare conflitti d‟interesse e, dall‟altro, di scongiurare un‟eccessiva laicizzazione di quello stesso apparato97

.

Su tali presupposti furono stabilite previsioni assai minuziose con riferimento al regime di incompatibilità, che impedì ai religiosi con cura d‟anime di poter far parte delle Congregazioni, anche se venne ad essi concesso di partecipare ai comitati operativi, con funzioni di concreta gestione del settore assistenziale98.

Le Congregazioni di carità, inoltre, avevano un peso decisivo nell‟assicurare un più efficiente funzionamento del sistema, dato che al loro interno avveniva il “concentramento” forzato - tra le altre - delle Opere pie elemosiniere99

, di cui erano rivisti gli statuti in un‟ottica di una più agevole organizzazione delle attività di beneficenza100.

all‟art. 7 - che conferiva alle Congregazioni il compito di curare gli interessi dei poveri e di assumerne la rappresentanza legale, sia in sede amministrativa che giudiziaria - è stato efficacemente osservato come gli indigenti formassero quasi una “classe o collettività distinta di persone” e fossero pertanto portatori di interessi che assumevano, data la pregnanza loro riconosciuta in via legale, “il grado e la qualità di interessi pubblici”, rappresentando le Congregazioni di carità il loro “organo naturale” di tutela. In questo senso A.F.GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., p. 79 s..

95 G. S

ILVANO, Origini e sviluppi del Terzo settore italiano, in G. SILVANO (a cura di), Società e Terzo settore. La via italiana, cit., p. 58.

96 G.F

ARRELL-VINAY, Povertà e politica nell‟Ottocento. Le opere pie nello stato liberale, cit., p. 281. Sotto tale aspetto sembrano assai evocative anche le valutazioni di A.F.GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., p. 57 s., che le elegge ad “istituto elemosiniero per eccellenza ed il centro in cui si impernia l‟organizzazione della pubblica beneficenza legale”.

97 P.B

ATTILANI, I protagonisti dello Stato sociale italiano prima e dopo la legge Crispi, in V.ZAMAGNI (a cura di), Povertà e innovazioni istituzionali in Italia, cit., p. 660.

98 Art. 11, legge 17 luglio 1890, n. 6972. Queste previsioni si collocavano ad ogni modo in

un più ampio processo di responsabilizzazione degli amministratori degli enti di beneficenza, come testimoniato dalla possibilità di esperire un‟azione popolare per l‟ipotesi in cui questi non avessero ottemperato ai propri obblighi. Di tale aspetto rende testimonianza in particolare F. SOFIA, Dalle opere pie allo sviluppo del settore non-profit: profilo del contesto giuridico istituzionale, in Società e storia, n. 90, 2000, p. 652.

99 Art. 54, legge 17 luglio 1890, n. 6972. 100

Art. 54 e 55 della legge 17 luglio 1890, n. 6972. Segnala questo aspetto, tra gli altri, G. SILVANO, Origini e sviluppi del Terzo settore italiano, in G.SILVANO (a cura di), Società e Terzo settore. La via italiana, cit., p. 58. Sul punto è stato infatti posto in rilievo come una volta attribuita “unità di indirizzo e di erogazione della beneficenza” per il tramite del concentramento,

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L‟obiettivo di fondo consisteva invero in una riduzione complessiva delle spese, assai gravose, per l‟amministrazione di tali istituzioni, obiettivo di cui è possibile trovare riscontro altresì nella previsione che ordinava, allorquando non avvenisse il concentramento, un “raggruppamento” di quelle opere che avessero scopi tra loro similari101.

L‟esigenza di un più penetrante controllo pubblico, si manifestava inoltre attraverso numerose previsioni che imponevano una maggiore trasparenza e uniformità a livello contabile102: nonostante ve ne fossero anche nella normativa del 1862, difatti, erano rimaste in gran parte inosservate103.

In linea con la ratio ispiratrice della disciplina apparivano gli oneri procedurali e amministrativi, così come il complesso delle attribuzioni facenti capo al Ministero dell‟Interno, al quale erano riconosciuti significativi poteri di vigilanza e di ingerenza sul sistema della pubblica beneficenza104.

La stessa influenza pubblicistica, per di più, poteva cogliersi anche con riferimento al profilo della “tutela”105

, trasmigrando le relative funzioni dalle

venisse nelle intenzioni del legislatore a “cessare quel continuo e pericoloso sperpero di piccole somme che impedi[va] di soccorrere i veri bisognosi”, in tal modo configurandosi un sistema di beneficenza “illuminata ed efficace”. In questi termini A.F.GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., p. 301.

101 Art. 58, legge 17 luglio 1890, n. 6972. Si tratta delle previsioni contenute nel Titolo VI

della legge 17 luglio 1890, n. 6972, rubricato “Delle riforme nell‟amministrazione e delle mutazioni nel fine”.

102 Si vedano in proposito le disposizioni contenute nel Titolo III della legge 17 luglio 1890,

n. 6972.

103 P.B

ATTILANI, I protagonisti dello Stato sociale italiano prima e dopo la legge Crispi, in V.ZAMAGNI (a cura di), Povertà e innovazioni istituzionali in Italia, cit., p. 659. Con riferimento al sistema della contabilità infatti la legge, “non senza qualche disordine sistematico”, distingueva quattro fasi consistenti nell‟accertamento del patrimonio, nella formazione del bilancio preventivo, nel servizio di cassa e nella predisposizione del conto consuntivo, così come rilevato da A. F. GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., p. 129.

104 Articoli 44 e seguenti, legge 17 luglio 1890, n. 6972. 105

In proposito è opportuno rammentare, seguendo le riflessioni di A. F. GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., p. 214, come con il concetto di tutela amministrativa debba intendersi quell‟attività di “partecipazione o di cooperazione dell‟Autorità superiore agli atti delle Amministrazioni pubbliche al fine di esercitare sugli stessi e nell‟interesse generale un sindacato o un controllo, detto appunto preventivo, perché, fino a tanto che non ha avuto luogo, la manifestazione di volontà dell‟ente non ha efficacia giuridica”, e consistente non semplicemente nel mero riscontro di conformità dell‟atto alla legge ma, più ampiamente, nello svolgimento di valutazioni di opportunità.

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Deputazioni alle Giunte provinciali, che, tra le altre cose, approvavano i bilanci preventivi e consuntivi 106.

La previsione contenente l‟obbligo di investire le somme a disposizione in titoli di Stato107, poi, è stata efficacemente ritenuta come una delle misure maggiormente sintomatiche della “complessa manovra di irreggimentazione del vecchio sistema caritativo”108

, così come estremamente significativa in questo senso è stata ritenuta la disciplina relativa alla “trasformazione”109, peraltro orientata a depotenziare il ruolo ecclesiastico nella gestione degli enti caritatevoli110.

In linea di continuità con il progetto Correnti, era contemplato inoltre il domicilio di soccorso, anche se le disposizioni espressamente dedicate agli indigenti risultarono nel complesso esigue e non del tutto incisive111.

Furono questi dunque gli aspetti salienti della legge Crispi, che ordinandosi secondo le parole del suo stesso ideatore112 attorno a una logica eminentemente razionalizzatrice, in realtà non determinò un assorbimento integrale del mondo della beneficenza alla sfera pubblicistica.

106 Evidenzia tali aspetti della legge in particolare G.F

ARRELL-VINAY, Povertà e politica nell‟Ottocento. Le opere pie nello stato liberale, cit., p. 284.

107 Art. 28, comma 1, legge 17 luglio 1890, n. 6972. Sulla disposizione, si veda anche A.F.

GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., pp. 171 ss., per il quale con la diminuzione della sfera di autonomia delle Opere pie diventava una conseguenza automatica la disciplina delle forme d‟investimento, attesa la sua incidenza sull‟entità e sul mantenimento del patrimonio degli indigenti.

108 V.F

ARGION, L‟assistenza pubblica in Italia dall‟unità al fascismo: primi elementi per un‟analisi strutturale, in Rivista Trimestrale di Scienza della Amministrazione, n. 2, 1983, p. 40.

109 Art. 70, comma 1, legge 17 luglio 1890, n. 6972, a mente del quale: “[l]e istituzioni

contemplate dalla presente legge, alle quali sia venuto a mancare il fine, o che per il fine loro più non corrispondono ad un interesse della pubblica beneficenza, o che siano diventate superflue perché siasi al fine medesimo in altro modo pienamente e stabilmente provveduto, sono soggette a trasformazione”. Trattasi, questa, della “forma più grave di ingerenza statuale” attesa la sua incidenza su un aspetto caratterizzante l‟identità degli enti, così come puntualizzato da A. F. GAMBERUCCI, Commento organico alla legge sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza..., cit., p. 362,

110 V.F

ARGION, L‟assistenza pubblica in Italia dall‟unità al fascismo: primi elementi per un‟analisi strutturale, cit., p. 40.

111

G.FARRELL-VINAY, Povertà e politica nell‟Ottocento. Le opere pie nello stato liberale, cit., p. 285.

112 Sul punto si vedano le affermazioni di F

RANCESCO CRISPI contenute nella relazione introduttiva al disegno di legge del 18 febbraio 1889 presso la Camera dei deputati in Atti del Parlamento, Documenti, leg. XVI, II, n. 66, p. 12, per il quale si intendeva dar luogo una “razionale, onesta, severa gestione del patrimonio delle classi diseredate, necessaria nell‟interesse politico e sociale che impone decisamente di curare la sorte dei proletari con un indirizzo più pratico e serio di quello seguito sinora”.

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Come è stato autorevolmente sostenuto in dottrina, la legge Crispi non consistette in una pubblicizzazione in senso stretto di quel settore, bensì nella realizzazione di un insieme di meccanismi di “beneficenza legale”, di controllo e di regolamentazione uniforme, sulla beneficenza privata113.

Difatti, la connotazione pubblicistica derivava dall‟essere la stessa beneficenza indirizzata “al pubblico” e non tanto dalla qualifica del soggetto cui faceva capo tale attività: lo Stato esercitava solo sporadicamente un‟azione immediata in tale ambito, riservandosi nella pluralità di casi solamente un potere di controllo 114.

Volendo individuare una linea di continuità tra provvedimenti normativi, non si assisteva altro che a una conferma - anche se più accentuata - di quell‟“istituzionalizzazione” del Terzo settore intervenuta con la legge del 1862 a fronte della quale, tuttavia, “non corrispondeva una sua riconduzione alla sfera della statualità” poiché “la risposta al bisogno sociale continuava [...] a vivere di vita propria”115

.

Per vero l‟articolato del 1890, se da un lato non sembrò trasfigurare il sistema di fondo delle relazioni tra Stato e Opere pie fondato sui controlli, dall‟altro furono le “modalità del controllo” a cambiare radicalmente sì da “consentire al potere pubblico di intervenire per indirizzare l‟assistenza pubblica” 116: la prospettiva complessiva, infatti, consisteva in una laicizzazione delle Opere pie, che si accompagnava a una sempre maggiore esigenza di controllo sociale.

113 U.D

E SIERVO, Le trasformazioni della legislazione in tema di Ipab, in Giur. cost., I, p. 298. Nello stesso senso ID., Il problema dell‟assistenza fra Stato e società, in AA.VV., Stato e Chiesa di fronte al problema dell‟assistenza, Roma, 1996, p. 402 s..

114 In questo senso S.S

EPE, Amministrazione statale e assistenza: il controllo sulle “Opere pie” nel periodo giolittiano, cit. p. 7, che aggiunge che “[i]n generale l‟attività statale era „indiretta‟ perché mirava a raggiungere il suo scopo (miglioramento delle condizioni di vita dei poveri e loro assistenza) mediante delle istituzioni che avevano una origine privata e, comunque, non erano dotati dell‟imperium proprio dei pubblici poteri”. In tema, di rilievo appaio anche le considerazioni di C.BORZAGA,A.SANTUARI, L‟evoluzione del Terzo settore in Italia, cit., p. 38 s. per i quali “scompariva la distinzione esistente tra beneficenza pubblica e privata, in quanto tutta la beneficenza avrebbe dovuto divenire pubblica, intendendo con questo termine, non tanto una scomparsa di qualsiasi intervento di natura privata, quanto piuttosto l‟esigenza che tutte le attività di beneficenza venissero controllate dalle istituzioni statali”.

115 E.B

RESSAN, Percorsi del Terzo settore e dell‟impegno sociale dall‟unità alla prima guerra mondiale, in E.ROSSI,S.ZAMAGNI (a cura di), Il Terzo settore nell‟Italia unita, cit., p. 53.

116 S. S

EPE, Amministrazione e storia. Problemi della evoluzione degli apparati statali dall‟Unità ai nostri giorni, Rimini, 1992, p. 92, che soggiunge infatti come “il modello voluto da Crispi, non modific[asse] l‟organizzazione dell‟assistenza (che restava indiretta) [...]”.

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Deve comunque rammentarsi come sul disegno tracciato dalla legge del 1890, intervenne a qualche anno di distanza la legge 18 luglio 1904, n. 390, attraverso la quale il governo Giolitti provvide a ovviare a talune criticità emerse in sede di applicazione della normativa crispina.

A fronte dell‟accresciuto conferimento di competenze in capo all‟autorità, infatti, non corrispose un adattamento dell‟apparato amministrativo, che condusse tra le altre cose a una limitata operatività della legge nelle sue previsioni più accentuatamente riformatrici, come accadde con riguardo sistema dei controlli contabili117.

In questo senso, nell‟esigenza di un maggior controllo e coordinamento delle attività, furono istituiti alcuni importanti organi, tra cui le Commissioni provinciali e il Consiglio superiore di assistenza e beneficenza pubblica.

Tra le principali attribuzioni delle Commissioni - che risentivano, a discapito delle istanze locali, di un notevole peso governativo nella loro composizione - figuravano anzitutto una generale supervisione a livello amministrativo, oltre che alcune funzioni consultive. A queste veniva altresì riconosciuto il coordinamento nell‟erogazione delle attività assistenziali, nonché un controllo sull‟operato delle Congregazioni di carità.

Al Consiglio, invece, era riservato un ruolo più marcatamente consultivo con riguardo allo svolgimento dell‟attività, pubblica o privata, di natura assistenziale. In questo compito veniva a sostituire il Consiglio di Stato, che in passato era preposto al rilascio di pareri su problematiche complesse in tema di beneficenza118.

È possibile comprendere tuttavia come il provvedimento, varato in quel contesto politico del tutto nuovo, non abbia inciso radicalmente sulla legge del

117

Tale sistema infatti è stato ritenuto un vero e proprio “cardine della riforma in quanto esteso anche ai bilanci preventivi” da F.SOFIA, Dalle opere pie allo sviluppo del settore non- profit: profilo del contesto giuridico istituzionale, cit., p. 652 s., la quale - oltre a segnalare i citati

Nel documento Profili costituzionali del Terzo settore (pagine 32-40)

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