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Alcune brevi osservazioni conclusive sul Partenariato puramente contrattuale

Innanzitutto, occorre premettere un dato che dall’analisi effettuata negli scorsi capitoli risulta indiscutibile: anche su specifica richiesta degli Stati membri256, il Partenariato non è un distinto e unitario istituto giuridico257, ma un fenomeno complesso, ancora non ben definito e sostanzialmente non tipizzabile.

Secondo la definizione adottata dalla Commissione europea258, il termine PPP di tipo puramente contrattuale riguarda un partenariato basato esclusivamente sui legami contrattuali tra i vari soggetti. Tale strumento include diverse tipologie di operazione, nei quali uno o più compiti più o meno ampi vengono affidati al partner privato259.

E, come già anticipato nei paragrafi precedenti, la condivisione dell’operazione rappresenta il fondamento concettuale della categoria.

In tale contesto, si colloca il c.d. “modello concessorio”, caratterizzato dal legame diretto esistente tra il partner privato e l’utente finale.

In questa circostanza il partner privato fornisce un servizio al pubblico, “in luogo”, ma sotto il controllo, del partner pubblico. Nondimeno, il modello è caratterizzato anche dal tipo di retribuzione del co-contraente, consistente in compensi riscossi presso gli utenti del servizio, se necessario, integrata da sovvenzioni versate dall’autorità pubblica.

In operazioni di altro tipo, il partner privato è, invece, incaricato di realizzare e gestire un’infrastruttura per la pubblica amministrazione (quali a titolo esemplificativo scuole,

255

Commissione Europea, Comunicazione, 15 ottobre 2005, cit., p.4.

256

Si fa riferimento al dibattito seguito al Libro Verde 2004 ed ai pareri inviati alla Commissione dai singoli Stati membri.

257

Così sostenuto da tempo da M.P. CHITI, in ultimo in M.P. CHITI, La nuova direttiva concessioni e il

partenariato pubblico-privato, in C.FRANCHINI,F.SCIAUDONE (a cura di), op.cit.

258

Commissione Europea, Libro verde, 30 aprile 2004, cit., par.21 ss

259

A titolo non esaustivo vengono indicati la progettazione, il finanziamento, la realizzazione, il rinnovamento o lo sfruttamento di un lavoro o di un servizio.

ospedali o infrastrutture di trasporto). L’esempio maggiormente rappresentativo e noto di questo schema collaborativo è l’operazione di Private Finance Initiative.

A differenza del modello concessorio, nel private financing il compenso del partner privato non si realizza mediante la contribuzione degli utenti del servizio, ma attraverso pagamenti regolari realizzati dal partner pubblico. Aspetto peculiare dell’istituto è costituito dall’importo dei pagamenti che può essere fisso o calcolato in modo variabile, in funzione, ad esempio, della disponibilità dell’opera o dei servizi ad essa relativi, o anche della frequentazione dell’opera260

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Al di là di tali premesse identificative, uno dei concetti fondamentali ripresi più volte dalla Commissione è che la denominazione assegnata dal diritto nazionale o dalle parti in causa non ha e non deve avere alcuna incidenza sulla qualificazione giuridica di questi contratti ai fini dell’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni.

Di tal maniera, rileverebbe l’effettiva natura dello strumento adottato, valutato sulla base dei criteri distintivi individuati dalla normativa europea.

Il termine Partenariato sembrerebbe, quindi, riferirsi ad una macro-categoria, comprensiva anche di tertia genera rispetto agli appalti e alle concessioni261, per cui la Commissione ha avvertito l’esigenza di porre nuovi stimoli, nell’intento di promuovere nuove soluzioni contrattuali e associative.

Ciò che può certamente accomunare i diversi modelli partenariali, secondo l’intento dell’esecutivo comunitario, è il rilievo ai fini dell’applicazione delle direttive comunitarie, particolarmente in materia di pubblicità e di partecipazione. E, seguendo quanto già osservato in precedenza, non potrebbe essere diverso l’intento del legislatore comunitario.

Non intendendo giungere ad una nuova disciplina propria degli strumenti partenariali contrattuali, come esplicitato dai Paesi membri nel corso della consultazione lanciata dalla Commissione, l’evidente finalità residua è quella di riunire sotto i principi del Trattato ogni genere di rapporto che realizzi una collaborazione tra pubblico e privato, astrattamente idonea a turbare l’equilibrio del mercato.

In questo direzione si colloca anche l’ultimo intervento comunitario che ha dimenticato

260

Ciò accade ad esempio con i c.d. pedaggi virtuali, utilizzati nel quadro di progetti autostradali, in particolare nel Regno Unito, in Portogallo, in Spagna ed in Finlandia.

261

Nonostante, come si vedrà, non siano mancate interpretazioni restrittive che hanno identificato i PPP con i soli strumenti di concessione e appalti.

il termine “partenariato” nella direttiva che si pensava logicamente lo potesse contenere, ossia la direttiva 2014/23/UE sulle concessioni, mentre ha voluto dedicare un ruolo specifico al già citato partenariato per l’innovazione all’art.31 della direttiva appalti 2014/24/UE.

Così, anche coloro che hanno in più occasioni ritenuto che l’istituto dell’appalto non fosse conforme ai caratteri del partenariato di cui al Libro Verde 2004262, si sono ritrovati con l’unica collocazione di un istituto facente riferimento al termine partenariale nella direttiva dedicata proprio agli appalti. E peraltro il partenariato per l’innovazione diviene un istituto sistematicamente collocato tra gli appalti, quale fase degli stessi.

La discrezionalità, infine, attribuita alle amministrazioni pubbliche nella scelta della procedura da seguire nell’ambito delle minime garanzie procedurali fissati per gli appalti e le concessioni, nonchè il potere di avviare negoziazioni sempre più libere, pare rispondere proprio all’esigenza di flessibilità e di apertura al contributo del privato, che certamente era uno degli obiettivi che hanno animato il dibattito sul partenariato in sede europea e nazionale.

In conclusione, quindi, ferma restando l’esigenza di vedere il nuovo corpus normativo finalmente a regime, si può affermare che un passo avanti sia stato fatto e che vi sia un primo effetto del dibattito sul tema partenariale.

Tuttavia, pare inevitabile e fondamentale che la pubblica amministrazione venga attrezzata per trattare le procedure di partenariato più complesse, e che la libertà di definire procedure e contenuti vada di pari passo con una maggiore e migliore formazione dei funzionari. E la questione amministrativa, d’altronde, è da sempre strettamente connessa alla qualità dell’amministrazione263

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5.1. A parti invertite

Un’ultima breve osservazione sia permessa su un caso di particolare interesse di studio: la richiesta del privato di un servizio da parte dell’ente pubblico. In particolare, tale rapporto si instaura tra Società economiche e Enti di ricerca o Università che per natura possono offrire rilevanti competenze tecniche, in molteplici settori.

Si tratta, frequentemente, di contratti di consulenza consistenti in accordi attraverso i

262

Tra gli altri, autorevolmente M.P.CHITI, op.cit.

263

Tema centrale, tra gli altri, del c.d. Rapporto Gore del 1993 (National Partnership for Reinventing

Government o National Performance Review) teso a predisporre una riforma della pubblica amministrazione

quali l’impresa riceve la prestazione professionale di professori e ricercatori impegnati ad alto livello nel settore di interesse. La consulenza può, infatti, consistere nel fornire pareri su problemi tecnico-scientifici o attività progettuali o prove sperimentali particolarmente complesse non rientranti nelle normali prestazioni per analisi e prove.

Orbene, tale fenomeno, che può assumere un rilevante ruolo in termini di finanziamento e sollecitazione delle attività di ricerca, non è in alcun modo toccato dalla normativa europea. Il che si può comprendere, non potendovisi applicare alcuna norma in tema di appalto e concorrenza, trattandosi dell’ipotesi inversa rispetto a quella che potenzialmente potrebbe minare l’equilibrio del mercato.

Tuttavia, alcune valutazioni paiono utili.

Il contratto o accordo tra il privato ed il pubblico, avente il primo quale promotore/committente, non deve in alcun modo celare un’ipotesi di appalto o altra ipotesi interessata dalla normativa europea. Per far ciò, deve sussistere un interesse economico (ad esempio un corrispettivo in denaro) oppure un interesse concreto di altra natura.

Il caso potrebbe essere, ad esempio, la formulazione di pareri pro-veritate dietro pagamento di un importo all’Università. Oppure la elaborazione di dati o la invenzione di un macchinario.

Se, da un lato, nella prima ipotesi risulterebbe quantomeno difficile (ma non impossibile) individuare un interesse corrispettivo non economico nella prestazione di consulenza universitaria, nella seconda, invece, la possibilità di fornire un’occasione di studio ed analisi potrebbe rappresentare l’interesse primario dell’ente di ricerca.

Tuttavia, è evidente il rischio sotteso che tale seconda tipologia di rapporto risulti idonea a ledere l’equilibrio del mercato, concedendo un vantaggio tecnico scientifico ad un soggetto privato per il rapporto privilegiato instaurato con l’ente di ricerca.

Orbene, non potendosi applicare alcuna normativa specifica, occorrerà ricondurre il ragionamento alla nozione di interesse della pubblica amministrazione.

Pertanto, se da un lato i diritti connessi alla fruibilità delle invenzioni frutto della ricerca universitaria, svolta su incarico di un committente esterno, dovranno necessariamente essere regolati dal contratto sottoscritto tra le parti, si può ritenere che il contratto debba essere principalmente a titolo oneroso, residuando il titolo gratuito per l’ipotesi eccezionale di perseguimento di finalità pubbliche o sociali, nazionali o internazionali, che siano

doverosamente individuate o individuabili nel contratto.

In quest’ottica rovesciata, dunque, non si applicherà la normativa in termini di appalti e di concorrenza, ma sarà necessario verificare la sussistenza di un interesse pubblico concreto, a legittimazione dell’accordo tra le parti.

Caso estremo, apparentemente solo astratto, ma non per questo impossibile, potrebbe essere quello di un accordo che preveda la dotazione di una serie di macchinari da parte del privato per lo svolgimento di un’attività a suo favore, ove la dotazione potrebbe in effetti rappresentare, non lo strumento per l’esecuzione dell’attività commissionata, ma una sorta di vera e propria controprestazione idonea a rappresentare un’ipotesi di fornitura. In tale occasione, andrebbe osservato se l’utilizzo della strumentazione avvenga prevalentemente (se non esclusivamente) per le finalità di cui all’accordo. In caso contrario, si potrebbe assistere ad una simulazione di appalto di fornitura a favore dell’ente pubblico, in base ad un accordo che conseguentemente risulterebbe illegittimo.

Tale problematica non risulta essere stata oggetto di alcuna attenzione del legislatore comunitario o nazionale e, pertanto, le osservazioni qui esposte potrebbero meritare un adeguato dibattito, per consentire di individuare limiti e condizioni, consentendo lo sviluppo legittimo anche di questa atipica forma di collaborazione tra pubblico e privato.