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Alcune conferme fattuali della visione del contratto a termine come veicolo d’accesso al contratto a tempo indeterminato Prospettive e

Contratto a tempo determinato e interventi sul costo del lavoro I nuovi percorsi orientat

7. Alcune conferme fattuali della visione del contratto a termine come veicolo d’accesso al contratto a tempo indeterminato Prospettive e

problematicità rinvenibili nella l. n. 183/2014 e nel disegno di legge di stabilità per l’anno 2015

Sulla rispondenza di questo nuovo assetto – rispondenza da valutare non tanto, a me pare, ai vincoli di matrice europea quanto con riferimento alla conformità a ragionevolezza di tale modalità di esercizio della discrezionalità legislativa – il dibattito rimane comunque aperto, come attestato dai primi commenti alla nuova disciplina16 e proseguirà certamente grazie ai molti nuovi studi in preparazione17. In questa sede ci si può limitare a segnalare alcuni profili che possono prestarsi ad essere sviluppati nell’ambito di queste trattazioni.

16

Il riferimento è, in particolare, al recente saggio di M.BROLLO, op. cit., 566 ss., in chiusura del quale si osserva come la nuova normativa «potrebbe risultare foriera di impegnativi nodi critici […] sia con i principi costituzionali interni ed europei; sia con il (conservato) principio della natura “comune” del rapporto di lavoro a tempo indeterminato» (589).

17 Per spunti in argomento, recentemente, A.P

RETEROTI, La violazione dei limiti quantitativi

Un primo aspetto, si diceva, è quello della eventuale valutazione di ragionevolezza del nuovo bilanciamento di interessi operato dal legislatore del 2014 in relazione, come già sottolineato da altri, al mantenimento del comma 01 all’interno del microsistema legislativo del contratto a tempo determinato e al perdurante riconoscimento del rilievo prioritario del contratto dominante, espressamente confermato nella legge-delega in cui si sostanzia l’avvio della seconda fase del progetto Jobs Act18.

Tale ragionevolezza potrebbe essere revocata in dubbio da coloro i quali, sino al recente passato, hanno ritenuto sussistente una saldatura apparentemente imprescindibile tra il principio del contratto a tempo indeterminato come forma comune dei rapporti di lavoro e l’eccezionalità delle ipotesi giustificative del contratto a tempo determinato.

Va, tuttavia, evidenziato che una siffatta valutazione, eventualmente da svolgersi nelle forme del giudizio di costituzionalità sulla base del parametro costituito dall’art. 3 Cost. non potrebbe essere limitata al perimetro delle innovazioni introdotte nel corpo del d.lgs. n. 368/2001, ma dovrebbe prendere in considerazione l’intero gruppo delle misure attraverso le quali il legislatore continua a coltivare la finalità di promozione e consolidamento del ruolo prioritario del contratto di lavoro a tempo indeterminato, comprensivo tanto delle previsioni in materia di contrasto agli abusi, quanto di quelle in materia di incentivazione economica del ricorso al contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche attraverso la conversione di contratti a tempo determinato19.

di), Jobs Act e contratto a tempo determinato. Atto I, Giappichelli, 2014, spec. 72, il quale individua nel riconoscimento del contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma comune del rapporto di lavoro un argomento a sostegno dell’interpretazione che fa discendere dalla violazione dei limiti quantitativi ex artt. 1, comma 1, e 10, comma 7, del d.lgs. n. 368/2001 la conseguenza della conversione a tempo indeterminato, accanto alla sanzione ammnistrativa pecuniaria espressamente prevista dall’art. 5, comma 4-septies, del d.lgs. n. 368/2001, aggiunto dal d.l. n. 34/2014.

18 A tal proposito, si vedano le considerazioni nella premessa di G.S

ANTORO-PASSARELLI (a cura di), op. cit., XVI, il quale valuta come “esiguo” il sostegno ora riservato alla “forma comune” di assunzione a tempo indeterminato, reputando che il perseguimento di questa finalità dovrà essere proritariamente affidato alla nuova disciplina del contratto unico a tutele crescenti prefigurato dalla legge-delega.

19

E già in questo senso e in questa prospettiva appaiono a maggior ragione condivisibili oggi le considerazioni formulate un paio di anni fa da L.ZAPPALÀ, La tutela della persona nel

lavoro a termine. Modelli di regolazione e tecniche di regolamentazione al tempo della flexicurity, Giappichelli, 2012, 143-144, secondo la quale il principio del contratto a tempo

indeterminato come forma comune dovrebbe essere letto, più che attraverso l’attribuzione di una portata regolativa diretta, come destinato a fungere «da bussola e da necessario criterio

A tal proposito è utile rammentare come nell’ambito della generale categoria teorica dello scrutinio di ragionevolezza operato dalla Corte costituzionale, sia stato anche recentemente sottolineato20 come una delle particolari figure nelle quali tale categoria viene ad estrinsecarsi sia rappresentata dalla valutazione di coerenza degli interventi legislativi, intesa come rispondenza logica della norma rispetto al fine perseguito dalla legge ovvero alla sua ratio. Una rispondenza che come è stato anche recentemente evidenziato, va verificata non solo rispetto a singole componenti dell’impianto normativo, bensì con riferimento all’intero sistema e, deve aggiungersi, con riferimento alla complessiva portata dell’intervento legislativo sul sistema suddetto21.

Un secondo profilo connesso al primo parte da una precisazione fattuale e come tale apparentemente irrilevante, ma appare viceversa di grande utilità per comprendere i reali elementi dimensionali del fenomeno su cui questo nuovo apparato normativo appare destinato ad incidere.

Pur essendo un aspetto apparentemente pre-giuridico non si tratta di un risvolto assolutamente ininfluente proprio ai fini della valutazione della coerenza tra gli obiettivi perseguiti dal legislatore e le misure da questi adottate.

Si allude al fatto che le finalità di salvaguardia della forma comune di rapporto di lavoro mediante la promozione del rilievo prioritario del contratto dominante evocano necessariamente un raffronto tra diversi ordini di grandezze, sicché in questo più che in altri casi il conseguimento dello scopo normativamente prefissato non sembra dissociabile da una misurazione degli effetti delle nuove norme. Misurazione che, per inciso e per completezza dell’impianto legislativo, sarebbe auspicabile vedere inserita tra i contenuti dei decreti attuativi, quale possibile esplicitazione del modello di “esperimento istituzionale” delineato da Pietro Ichino nella relazione introduttiva al

ispiratore della disciplina, vincolando finalisticamente i legislatori nazionali ad adottare regolamentazioni che, pur con modalità diversificate, garantiscano il risultato ultimo di mantenere il lavoro a termine nell’alveo di una sfera limitata» (corsivo dell’A., ndr).

20 Si veda C

ORTE COSTITUZIONALE – SERVIZIO STUDI, I principi di proporzionalità e ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale, anche in rapporto alla giurisprudenza delle corti europee, 2013, con particolare riferimento al contributo di M. FIERRO, La

ragionevolezza nella giurisprudenza costituzionale italiana, 7.

21 In questo senso si veda C. cost. 24 gennaio 2007, n. 3, nella cui motivazione il giudice delle leggi ribadisce che «la valutazione della ragionevolezza del sistema attuato dalla norma censurata deve essere operata tenendo conto del complessivo intervento del legislatore», e già, in precedenza, C. cost. 20 aprile 1997, n. 84.

Convegno di qualche anno fa sulla valutazione degli effetti della legislazione del lavoro22.

A questo proposito, un dato frequentemente richiamato nei discorsi sulle misure di contrasto alla precarietà (e frequentemente evocato, va detto, a sostegno dell’idea del progressivo indebolimento del ruolo del contratto a tempo indeterminato quale forma comune di rapporto di lavoro, a dispetto degli intenti professati dal legislatore) è quello sulla graduale crescita della percentuale dei contratti di lavoro a tempo determinato rispetto al totale delle nuove assunzioni.

Come segnalato anche recentemente nelle analisi condotte dagli economisti del lavoro la constatazione, incontrovertibile con riferimento ai dati di flusso, richiederebbe tuttavia di essere accostata alle indicazioni relative ai dati di stock, che ancora oggi confermano largamente la posizione dominante del contratto a tempo indeterminato23. Al contempo si pone in evidenza che l’aumento dell’incidenza percentuale del contratto a tempo determinato rispetto al flusso delle nuove assunzioni non ha di per sé un’incidenza negativa sui tassi di trasformazione.

L’incremento percentuale del contratto a tempo determinato in termini di flusso, pertanto, non rappresenta, preso a sé stante, un dato negativo rispetto alla “dominanza” del contratto a tempo indeterminato; al contrario, tale crescita potrebbe costituire un’utile trampolino di lancio per quest’ultima tipologia contrattuale, soprattutto in presenza di un adeguato regime incentivante24.

L’adeguatezza, tanto quantitativa quanto sistematica di tale regime implicherebbe fisiologicamente la salvaguardia, in tutti gli interventi legislativi di concessione di agevolazioni ai datori di lavoro che assumano con contratti stabili, del “raccordo virtuoso” tra il contratto di lavoro a termine e il contratto di lavoro a tempo indeterminato. Un coordinamento che appare opportuno verificare e mettere adeguatamente a punto, viste le iniziali ambiguità, con riferimento alla nuova previsione incentivante contenuta nel disegno di legge di stabilità 2015 attualmente in discussione al Senato, che riconosce per tre anni, nella sua attuale versione, l’esonero contributivo totale per la quota di contributi a carico dei datori di lavoro e nei limiti di un massimo di 8.060 euro

22

P.ICHINO, Come il metodo sperimentale può contribuire al progresso del diritto del lavoro, in RIDL, 2011, n. 3, I, 394.

23 L.C

APPELLARI, M.LEONARDI, Lavoro: gli scenari dopo il decreto Poletti, in Lavoce.info, 2 settembre 2014.

24 In argomento, E.C

IANI, G.DE BLASIO, A volte funzionano: i sussidi alla stabilizzazione dei precari, in Lavoce.info, 24 giugno 2014.

annui «con riferimento alle nuove assunzioni a tempo indeterminato» che saranno effettuate entro il 31 dicembre 2015.

È vero che appaiono esplicitamente escluse dalla misura incentivante le sole assunzioni di lavoratori già occupati «a tempo indeterminato» nei sei mesi precedenti all’assunzione; ma il fatto che non venga espressamente previsto il riconoscimento dell’agevolazione anche per le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato, unitamente alla prospettiva, già paventata in alcuni primi commenti giornalistici, che l’espressione “nuove assunzioni” possa essere interpretata in senso restrittivo, ossia come necessaria assenza di pregressi rapporti lavorativi, anche flessibili, tra le parti, potrebbe determinare un problematico momento di discontinuità rispetto alle impostazioni sin qui seguite. L’effetto da evitare, in sostanza, è che la nuova norma renda preferibile rispetto alla prospettiva della trasformazione la “rottamazione” dei contratti a termine in essere al 31 dicembre 2014, vale a dire la loro mancata conversione in favore dell’assunzione ex novo di prestatori di lavoro certo probabilmente giovani, ma sino a questo momento rimasti distanti dalle dinamiche della flessibilità e dai carichi anche esistenziali e psicologici della precarietà.

A prima vista non parrebbe che tale ipotetica e pur criticabile delimitazione dell’ambito di applicazione degli incentivi, in quanto comunque diretta a privilegiare l’accesso al “contratto dominante” possa dar luogo a dubbi sul versante del ragionevole esercizio della discrezionalità legislativa. Ma questa prima impressione meriterebbe comunque di essere ulteriormente verificata se la formulazione definitiva e l’interpretazione della norma si assestassero su questa linea di esclusione; una verifica che apparirebbe giustificata dall’implicazione, indubbiamente paradossale anche al di là di ogni valutazione giuridico-formale, di una collocazione dei lavoratori a tempo determinato in una posizione “svantaggiata” ossia arretrata e meno favorita rispetto alle “nuove assunzioni”, lungo il difficile e spesso accidentato percorso di avvicinamento al regime garantistico (qualunque forma esso sia destinato ad assumere nella prospettiva dell’attuazione della legge-delega) del contratto a tempo indeterminato. Una implicazione paradossale perché si risolverebbe in una parziale e non condivisibile sconfessione di quell’impostazione, elaborata in ambito europeo, che indentifica proprio nel contratto di lavoro a tempo determinato uno dei fondamentali percorsi di avvicinamento alla forma comune del rapporto di lavoro.

Vincoli e sanzioni nel ricorso

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