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La lett. g del comma 7 dell’art. 1 prevede la «introduzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rapporti aventi ad oggetto una prestazione di lavoro subordinato nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale».

L’Italia è uno dei pochi Paesi europei a non avere una legge sul salario minimo, insieme a Svezia, Finlandia, Danimarca, Austria e Cipro114. Nell’Unione europea il contesto giuridico ed economico è caratterizzato da fenomeni specifici, quali il decentramento della contrattazione collettiva a livello aziendale e la riduzione dei salari garantiti dei contratti nazionali115.

114

M. MAGNANI, Salario minimo, in questo volume, 2 del dattiloscritto; T. BOERI, C. LUCIFORA, Salario minimo e legge delega, in Lavoce.info, 26 settembre 2014. Su tali aspetti si veda soprattutto S.LEONARDI, Salario minimo e ruolo del sindacato: il quadro europeo fra

legge e contrattazione, in LD, 2014, n. 1, 188 ss.

115 M. M

AGNANI, Salario minimo, cit., 2 ss. del dattiloscritto; F. GUARRIELLO, Verso

l’introduzione del salario minimo legale?, in questo volume, 2 del dattiloscritto; V.BAVARO,

Inoltre, le indicazioni europee in materia sono ispirate ai principi di austerità retributiva, auspicando il «congelamento o taglio ai salari minimi» e la «deindicizzazione degli stessi»116. Il tutto in un ambito nel quale la retribuzione è considerata un «fattore di competitività dei costi» e non come prefigura l’ILO un «fondamentale labour standard», tale da rafforzare «l’uguaglianza retributiva e favorire l’inclusione sociale»117.

La mancanza di una legge sul salario minimo nel nostro Paese è connessa alla funzione svolta dalla giurisprudenza, che sin dagli anni Cinquanta, con una interpretazione dell’art. 36 Cost. quale disposizione immediatamente precettiva, ha stabilito che la retribuzione sufficiente deve essere identificata con i minimi salariali previsti dai contratti collettivi nazionali dei vari settori produttivi118, creando, in questo modo, «un equivalente funzionale del salario minimo legale proprio di altri ordinamenti»119. La stessa giurisprudenza, come è noto, ha previsto deroghe a questa regola, consentendo al giudice, con adeguata motivazione, di discostarsi dalle disposizioni dei CCNL in relazione a condizioni locali del mercato del lavoro e del costo della vita, alle retribuzioni praticate nella zona, alle dimensioni delle imprese o al suo carattere artigianale o «per conto terzi»120. E si è rilevato, anche in questo caso, come sia in corso, negli ultimi anni, «un “trend ribassista”»121, legato all’opera “correttiva” della giurisprudenza.

La mancanza di una legge sul salario minimo non ha però impedito la generale estensione dei livelli retributivi dei contratti collettivi nazionali. I minimi salariali, infatti, sono applicati all’80% dei lavoratori dipendenti, mentre il 20% di quelli esclusi costituisce una media, con «picchi di oltre il 40% in agricoltura, 30% delle costruzioni, oltre il 20% delle attività artistiche, di

116 F.G

UARRIELLO, op. cit., 1 del dattiloscritto, che sottolinea come queste regole non sono imposte soltanto ai Paesi in evidente crisi finanziaria sottoposti alla regole enunciate dalla Troika nei Memoranda of Understandings, ma anche a tutti gli altri Stati «attraverso le CSRs utilizzate dalla Commissione nel quadro del semestre europeo».

117 F.G

UARRIELLO, op. cit., 2 del dattiloscritto. 118 Su tale aspetto si rinvia, per tutti, a T.T

REU, Il Io comma dell’art. 36, in Commentario della Costituzione. Art. 35-40. Rapporti economici, Zanichelli, 1979, 77 ss., e, in tempi più recenti,

a G. RICCI, Il diritto alla retribuzione adeguata. Tutele costituzionali e crisi economica, Giappichelli, 2012; S.LEONARDI, op. cit., 190, 204-205; M.MAGNANI, Salario minimo, cit., 5 ss. del dattiloscritto (con ulteriori indicazioni bibliografiche), F.GUARRIELLO, op. cit., 1 del dattiloscritto; F.SANTONI, op. cit., 111 del dattiloscritto.

119 S.L

EONARDI, op. cit., 205.

120 Si vedano gli AA. citati nella nota 118. 121 F.G

UARRIELLO, op. cit., 2 del dattiloscritto. In tal senso anche S.LEONARDI, op. cit., 208; G.RICCI, op. cit.

intrattenimento e nei servizi di hotel e ristorazione»122. Inoltre, anche per l’effetto della crisi è presente un 16% di lavoratori dipendenti qualificati come

working poor123.

Si è osservato che in Italia vi sono già alcune forme di salario minimo previste in forma diretta o indiretta, come nel caso del socio lavoratore (art. 3, l. n. 141/2001), dell’equo compenso dei giornalisti (l. n. 233/2012) o dei collaboratori a progetto (si veda infra) e dei lavoratori in distacco124. Tuttavia in queste ipotesi non vi è la predeterminazione esatta di un compenso orario, come previsto da tutte le normative europee, ma solo il rinvio ai minimi salariali dei contratti collettivi per i lavoratori equiparabili dal punto di vista delle prestazioni svolte. In questo caso, dunque, il meccanismo è parzialmente diverso, perché richiede un giudizio di comparazione dell’attività lavorativa che lascia margini di discrezionalità, del tutto assenti nel caso in cui il compenso orario è predeterminato in cifra fissa dalla legge.

Le organizzazioni sindacali sono fortemente contrarie ad una legge sul salario minimo per varie ragioni tutte comprensibili. La normativa sul compenso orario molto difficilmente potrebbe recepire i minimi retributivi previsti dai contratti collettivi125. Questo recepimento, se effettuato con la determinazione della retribuzione e senza automatico rinvio ai contratti, non porrebbe comunque problemi di costituzionalità, sia perché, secondo la Corte, non esiste una riserva normativa in materia da parte delle OO.SS.126, sia perché non vi

122 F. G

UARRIELLO, op. cit., 3 del dattiloscritto, con indicazione di ulteriori riferimenti bibliografici. Si vedano anche T.BOERI, C.LUCIFORA, op. cit.; S.LEONARDI, op. cit., 195 ss., 205-206.

123

F.GUARRIELLO, op. cit., 3 del dattiloscritto, con riferimento ai lavoratori poco istruiti o scarsamente qualificati, ai giovani, alle donne, ai part-timers, ai lavoratori a termine occupati in agricoltura e nei servizi, nel mezzogiorno o in piccole imprese. S.LEONARDI, op. cit., 195 ss., tuttavia, individua i working poor in una percentuale del 12,4%. T.BOERI, C.LUCIFORA,

op. cit., rilevano che «circa il 13 per cento dei lavoratori risulta avere un salario orario lordo

inferiore al minimo contrattuale rilevante per il settore di appartenenza, con punte superiori al 30 per cento nelle costruzioni e in agricoltura».

124 F.S

ANTONI, op. cit., 112 del dattiloscritto; M.MAGNANI, Salario minimo, cit., 8 ss. del

dattiloscritto; F.GUARRIELLO, op. cit., 2 del dattiloscritto.

125 Si rinvia all’analisi di S.L

EONARDI, op. cit., 193-194, che rileva come i salari minimi legali si discostino in misura considerevole dalla media nazionale di quelli contrattuali. Tra l’altro, il nostro Paese è quello dove il salario minimo orario, calcolato sulla media di quelli dei CCNL, è tra i più alti d’Europa. Sarebbe quindi assai difficile poterlo confermare per legge.

126 Si vedano le sentenze della C. cost. n. 106/1962, n. 120/1963, n. 60/1968 e n. 101/1968. Si rinvia, sul punto, a T. TREU, op. cit., 74; L. ZOPPOLI, L’articolo 36 della Costituzione e

l’obbligazione retributiva, in B.CARUSO, C. ZOLI, L.ZOPPOLI (a cura di), La retribuzione.

Struttura e regime giuridico, I, Jovene, 1994, 93 ss.; M.MAGNANI, Salario minimo, cit., 14 del

sarebbe un’estensione generalizzata dell’autonomia collettiva in violazione dell’art. 39 Cost., bensì un’autonoma determinazione del salario da parte dello Stato, che utilizzerebbe i CCNL soltanto come parametro. Tuttavia, le retribuzioni previste dai contratti collettivi sono mediamente superiori a quelle che, nelle varie realtà europee, caratterizzano il compenso minimo127. Pertanto, con quasi certezza, i compensi orari sarebbero inferiori a quelli contrattuali, penalizzando i lavoratori. Infatti, a fronte di una disciplina legislativa come quella indicata ed al meccanismo di estensione ai sensi dell’art. 36 Cost. utilizzato dalla giurisprudenza, è plausibile ritenere che il nuovo “salario sufficiente” verrebbe identificato in quello legale, riducendo quindi le somme rivendicabili da coloro che non hanno l’applicazione diretta del CCNL128. Oltre a danneggiare i lavoratori, la normativa sul salario minimo avrebbe un forte effetto di depotenziamento della contrattazione collettiva. L’ampia utilizzazione dei CCNL – che riguardano, come si è visto, l’80% dei lavoratori – è conseguenza della estensione generalizzata dei minimi salariali da parte della giurisprudenza. Oggi, infatti, le imprese applicano spontaneamente il contratto collettivo anche se non sono iscritte alle associazioni sindacali stipulanti in quanto la mancata adesione ai sindacati non incide sulla possibile estensione dei minimi salariali ai sensi dell’art. 36 Cost. Tra l’altro, in molti casi (anche se non tutti), questa situazione spinge le imprese ad applicare l’intero contratto collettivo e non soltanto le retribuzioni. E questo spiega perché il grado di applicazione dei contratti è ben superiore alla quota di imprese e di lavoratori iscritti alle rispettive associazioni sindacali stipulanti i CCNL129.

L’introduzione di un salario minimo inferiore a quello previsto dai contratti collettivi determinerebbe una “fuga” degli imprenditori dalle rispettive associazioni sindacali, al fine di evitare il vincolo delle retribuzioni più elevate imposte dalla applicazione diretta dei CCNL Inoltre, verrebbe meno l’effetto di “trascinamento” che spinge le imprese ad applicare l’intero contratto collettivo e non solo i salari. Per evitare queste conseguenze, i sindacati «dovranno accettare di abbassare il salario minimo contrattuale nazionale,

127 Il salario minimo, infatti, è «fissato a: 4,48 euro in Spagna, circa 7,50 euro nel Regno Unito (6,31 sterline) fino agli 8,5 euro della Germania (dal 2015) e i 9,35 euro della Francia» (T. BOERI, C.LUCIFORA, op. cit.). Sul punto si veda anche M.MAGNANI, Salario minimo, cit., 17

del dattiloscritto, e S.LEONARDI, op. cit., 192 (con dati riferiti anche ad altri Paesi europei).

128 Ed è questa la conclusione a cui giungono, ad esempio, F.S

ANTONI, op. cit., 111-112 del

dattiloscritto, e V.BAVARO, op. cit.

129 Infatti, a fronte di una applicazione dei minimi salariali dei contratti collettivi pari all’80%, il tasso di sindacalizzazione nazionale è del 35% (S.LEONARDI, op. cit., 191).

avvicinandolo sempre più al salario minimo legale»130. In questo modo, tra l’altro, si realizzerebbe quel complessivo effetto di riduzione generalizzata delle retribuzioni quale fattore di competitività auspicato dall’Unione europea, in un contesto di forte penalizzazione dei lavoratori in considerazione dei salari già non molto elevati – rispetto agli altri Paesi europei – attualmente garantiti dai contratti collettivi nazionali.

Da questo punto di vista, dunque, la riforma potrebbe avere effetti di profonda alterazione dei rapporti tra ordinamento statuale e sindacale131, ridurre fortemente il ruolo delle OO.SS. e determinare un ulteriore impoverimento dei redditi. Tuttavia, la soluzione adottata dalla legge-delega non sembra prefigurare questa situazione. La normativa sul compenso orario va applicata «nei settori non regolati da contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». La disposizione è quindi assai chiara: essa non potrebbe incidere sui lavoratori a cui si applica il contratto collettivo, ma soltanto nei casi in cui i CCNL non sarebbero esistenti.

Da questo punto di vista, la funzione dei minimi salariali dei contratti collettivi non cambierebbe. Essi continuerebbero, infatti, ad avere applicazione diretta per le imprese iscritte. Inoltre, anche in relazione alla funzione parametrica ai sensi dell’art. 36 Cost., nulla muterebbe. Se infatti il salario minimo legale non riguarda le categorie caratterizzate dalla presenza dei CCNL, è evidente che la giurisprudenza dovrebbe necessariamente continuare ad operare come sino ad oggi è accaduto. Non può infatti essere qualificato come salario “sufficiente” quello che non ha un’applicazione generalizzata a tutto il sistema produttivo, ma limitato soltanto alle situazioni in cui l’autonomia collettiva non è presente. Per tale ragione vi sarebbero due meccanismi di applicazione dell’art. 36 Cost. Il primo opererebbe nei confronti dei lavoratori operanti in contesti produttivi nei quali vi è il contratto collettivo, non utilizzabile in via diretta per i limiti di efficacia soggettiva. Il secondo riguarderebbe invece i settori non regolati dall’autonomia collettiva e avrebbe come punto di riferimento il salario legale132. Questa situazione, tra l’altro, non

130 V.B

AVARO, op. cit. 131 Ivi, 2 ss.

132

Si è sostenuto che «non si può pensare di avere ben due diverse soglie di limite minimo di sufficienza retributiva di rango costituzionale» (V. BAVARO, op. cit.). Non vedo in realtà ostacoli in tal senso. L’art. 36 delinea un parametro, quello della sufficienza, la cui definizione è rimessa alla legge ordinaria o alla interpretazione giurisprudenziale. Nulla vieterebbe, ad esempio, che la fonte primaria differenziasse la sufficienza del salario in relazione a diversi profili (ad esempio in relazione ai settori produttivi) purché il trattamento differenziato fosse ragionevole alla luce del principio di eguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Non si comprende

determinerebbe neanche l’effetto di “fuga” dal contratto collettivo in precedenza descritto e le altre modificazioni essenziali nell’ordinamento intersindacale (compresa la rinegoziazione “al ribasso” dei minimi dei CCNL per adeguarli a quello definito per legge). Le imprese, in presenza di un sistema non modificato di applicazione parametrica dell’autonomia collettiva per la determinazione dei salari minimi, non avrebbero nessun interesse ad “uscire” dal sistema di relazioni industriali. Anche se operassero in tal modo, infatti, correrebbero il rischio di essere ugualmente soggette ai minimi retributivi previsti dai contratti ai sensi dell’art. 36133.

Vi sarebbe quindi un sistema “duale”, caratterizzato in via prevalente dalla presenza dei contratti collettivi applicati in via diretta e parametrica in base alla norma costituzionale, ed un altro settore, minoritario, garantito dal salario minimo legale134. Va anche detto, peraltro, che i 440 contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati più rappresentativi regolano i rapporti di lavoro nella quasi totalità delle attività produttive del nostro Paese. Pertanto sarà difficile identificare i «settori non regolati dai contratti collettivi» a cui dovrebbe applicarsi il compenso orario legale. Il rischio, dunque, potrebbe essere quello di una concreta inapplicabilità della normativa di attuazione per carenza dell’oggetto da regolare. Comunque, se in effetti sarà possibile identificare queste particolari categorie di dipendenti in aree produttive prive dell’intervento dell’autonomia collettiva, il salario minimo potrebbe svolgere una funzione importante per i «lavoratori vulnerabili»135, riducendo i working

poors e favorendo un processo di inclusione sociale136.

dunque perché la legge stessa non potrebbe limitare il suo intervento legislativo solo a settori non regolati dai CCNL, lasciando alla giurisprudenza la possibilità di definire, in via interpretativa, una soglia più elevata di retribuzione sufficiente, giustificata dal ruolo e dal rilievo costituzionale (art. 39 Cost.) dell’autonomia collettiva.

133 Non potrebbe dunque esservi il rischio descritto da V.B

AVARO, op. cit.: «dato il nostro sistema giuridico nel quale si può liberamente applicare o non applicare un contratto collettivo (appunto perché privo di efficacia giuridica vincolante per tutti), è facile prevedere che un numero sempre maggiore di imprese potrebbe trovare più conveniente non applicare il salario previsto dal contratto nazionale più rappresentativo e limitarsi ad applicare il salario minimo legale». Questa convenienza, alla luce della permanenza del meccanismo previsto dall’art. 36 Cost. descritto, non sussisterebbe realmente.

134

Tra l’altro, se questo salario fosse vicino o addirittura superiore a quello previsto dai contratti collettivi “pirata”, un ulteriore effetto positivo sarebbe costituito dal disincentivo alla diffusione di questi CCNL.

135 F.S

ANTONI, op. cit., 112 del dattiloscritto.

136 Questi effetti si sono realizzati, ad esempio, in Gran Bretagna e Francia, con benefici estesi proprio a categorie “deboli” di lavoratori (part-timers, giovani, immigrati) e scarsamente sindacalizzati (S.LEONARDI, op. cit., 198 ss.).

La disposizione della legge-delega, nella parte in cui non prevede un salario minimo legale per tutti i lavoratori ma solo per quelli operanti nei settori dove l’autonomia collettiva è assente, è stata criticata137. A fondamento di questa tesi si sottolineano le alte percentuali di lavoratori che percepiscono somme inferiori ai minimi contrattuali138, auspicando quindi una normativa di generale applicazione. In realtà questi autori non comprendono quali effetti destrutturanti, già descritti, potrebbe avere questa opzione. D’altra parte, nel sistema attuale, i lavoratori non pagati in base ai minimi dei CCNL avranno sempre la possibilità di rivolgersi al giudice per ottenere, ai sensi dell’art. 36 Cost. l’adeguamento salariale in base a quanto previsto dall’autonomia collettiva. Mentre, qualora vi fosse il salario minimo legale generalizzato a tutti i lavoratori, se essi non fossero pagati nonostante l’entità più ridotta del compenso – ipotesi possibile in considerazione della crisi economica e della impossibilità per molte imprese di sopportare anche costi salariali modesti – potrebbero rivendicare solo questa retribuzione inferiore e non quella del CCNL di riferimento. Per questa categoria di “lavoratori vulnerabili”, quindi, non vi sarebbe alcun concreto vantaggio.

L’assetto scaturente dalla introduzione di una normativa sul compenso orario minimo può certamente essere quello descritto in considerazione della interpretazione della disposizione contenuta nella legge-delega. Tuttavia le conseguenze sarebbero completamente differenti qualora si assumesse una interpretazione della disposizione che, di fatto, attribuisse al salario minimo legale il valore di parametro generale di determinazione della retribuzione in tutti i casi in cui non vi fosse l’applicazione diretta del contratto collettivo. In questo caso, infatti, se il compenso orario diventasse “l’unica” retribuzione sufficiente ai sensi dell’art. 36 Cost., si determinerebbero tutti gli effetti di depotenziamento della contrattazione collettiva e di alterazione del sistema di relazioni industriali già descritti in precedenza, oltre all’abbassamento generalizzato delle retribuzioni dei lavoratori.

A mio giudizio questa possibilità è esclusa dalla formulazione letterale della disposizione contenuta nel comma 7, lett. g, dell’art. 1. Si parla infatti di una legislazione operante nei settori «non regolati dai contratti collettivi». Il termine utilizzato lascia chiaramente intendere che la normativa deve riguardare lavoratori per i quali non è previsto alcun contratto collettivo e non quelli ai quali il CCNL non si applica in via diretta per i noti limiti di efficacia soggettiva. Per avvalorare una diversa interpretazione, la legge avrebbe dovuto utilizzare parole differenti (come ad esempio «in caso di mancata applicazione

137 T.B

OERI, C.LUCIFORA, op. cit. 138 Si veda supra testo e nota 123.

di contratti collettivi» o altre analoghe). Tuttavia soltanto il decreto delegato potrà sgombrare ogni dubbio. E sarebbe opportuno che, proprio per evitare qualsiasi equivoco, la normativa specificasse come il parametro di riferimento per la retribuzione sufficiente ai sensi dell’art. 36 dove esistono i contratti collettivi continuerà ad essere costituito dal CCNL. Una simile disposizione, tra l’altro, non porrebbe alcun problema di costituzionalità per violazione dell’art. 39 Cost. Infatti, la legge non attribuirebbe ai contratti collettivi efficacia erga omnes, con il “recepimento materiale” costituito dalla generalizzazione, tramite fonte primaria o secondaria, dei contenuti di contratti collettivi come nel caso della l. n. 741/1959. In questo caso, in attuazione dell’art. 36 Cost., si limiterebbe a definire il parametro di individuazione della retribuzione sufficiente, dove i contratti collettivi non diventerebbero essi stessi “legge” né verrebbero recepiti in un atto normativo, ma costituirebbero soltanto un criterio di valutazione del principio di “giusta retribuzione” previsto dalla Costituzione.

Se questa chiarezza del decreto delegato non vi fosse, l’eventuale effetto positivo della tutela di lavoratori marginali oggi non garantiti dalla contrattazione collettiva sarebbe totalmente annullato dalla destrutturazione del sistema di relazioni industriali e dalla riduzione delle retribuzioni già descritte. Verrebbe quindi confermata la linea di “austerità salariale” perseguita dall’Unione europea che, a mio giudizio, non potrà che peggiorare complessivamente gli standard retributivi, già non molto elevati, dei lavoratori italiani139.

Il livello del salario minimo orario, che, con riferimento ai Paesi europei, oscilla tra i 4,48 euro della Spagna ai 9,35 della Francia è molto importante. Se, in linea generale l’esistenza di una retribuzione per legge non determina effetti negativi per l’occupazione e ha conseguenze positive su salari e redditi140, l’entità del compenso orario è molto importante perché se è troppo elevato può avere ricadute negative sui livelli occupazionali, particolarmente

139 Infatti, «i nostri salari contrattuali scontano da tempo ormai una delle peggiori dinamiche del mondo industrializzato, con grave perdita – nel lungo periodo – sia del loro potere di acquisto che della quota complessiva del reddito nazionale» (S.LEONARDI, op. cit., 206). 140 T.B

OERI, C.LUCIFORA, op. cit. (a cui si rinvia per ulteriori indicazioni bibliografiche). Cfr. anche S.LEONARDI, op. cit., 198.

per i giovani ed i lavoratori meno qualificati141, e, comunque, può scoraggiare l’applicazione dei minimi salariali previsti dai contratti collettivi142.

Si è proposta una articolazione del salario minimo correlata alle aree geografiche, con riferimento al costo della vita143, con una tesi che richiama le “gabbie salariali” osteggiate dalle organizzazioni sindacali. A parte l’opportunità o meno di un simile intervento, che forse potrebbe avere effetti occupazionali positivi in aree economicamente depresse (ma la questione è controversa, a meno che l’entità della retribuzione non fosse individuata ad un livello assai ridotto), una simile proposta sembra essere assai discutibile in relazione al salario minimo legale. Se, come è facile immaginare, esso sarà meno elevato rispetto alle medie dei contratti collettivi e riferito ad aree produttive nelle quali vi sono lavoratori “marginali”, l’entità del compenso si collocherà a livelli alquanto ridotti. Una riduzione ulteriore su base territoriale

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