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I c.d tetti agli organici: il rapporto tra legge e contratto collettivo Veniamo ora a quello che, in materia di c.d tetti agli organici, è stato

Vincoli e sanzioni nel ricorso al contratto a termine: forma e tetti agli organic

3. I c.d tetti agli organici: il rapporto tra legge e contratto collettivo Veniamo ora a quello che, in materia di c.d tetti agli organici, è stato

battezzato come il primo nodo ermeneutico, ossia la questione delle fonti deputate a individuare questi stessi “tetti”. Qui, come già visto, siamo al cospetto del nuovo art. 1, comma 1, d.lgs. n. 368/2001, che fissa ex lege una proporzione del 20% tra lavoratori a termine e a tempo indeterminato in ciascuna impresa e precisa che il datore con un numero di dipendenti fino a 5 può sempre assumere un prestatore a termine13.

Questa nuova disciplina deve, tuttavia, convivere – lo si anticipava – con la vecchia: in particolare, con l’art. 10, comma 7, d.lgs. n. 368/2001, che mantiene inalterato il rinvio «ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi» per «la individuazione, anche in maniera non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione dell’istituto del contratto a tempo determinato».

informazioni sul punto? […] Quindi, è molto rilevante che la norma di legge sia integrata con una serie di ulteriori disposizioni ed al riguardo mi pare intelligente la proposta di […] Alleva di mettere a punto un sistema di monitoraggio accessibile a tutti, una sorta di anagrafe pubblica dei rapporti di lavoro. Altrimenti il limite del 20% avrà qualche effetto, ma sarà preso alla leggera».

13

Si tenga presente che la percentuale non si applica alla somministrazione di lavoro, per la quale vige solo l’art. 20, comma 4, d.lgs. n. 276/2003, ai cui sensi «la individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione di lavoro a tempo determinato è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi in conformità alla disciplina di cui all’art. 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368».

Il problema sta nel capire come vadano coordinate le due menzionate previsioni, considerato che qui si sconta il limite di una tecnica normativa non certo all’altezza dell’annunciato obiettivo di semplificazione.

A prima vista, si potrebbe attribuire alla legge una funzione sussidiaria e residuale14. In quest’ottica, il tetto legale sarebbe deputato a intervenire solo nell’assenza di percentuali liberamente fissate dal contratto collettivo15, ferma restando, comunque, la possibilità di stipulare sempre un contratto a termine «per i datori i quali occupino fino a 5 dipendenti».

È lecito, tuttavia, domandarsi se davvero possa essere questo il senso di un precetto formulato in termini imperativi e posto in apertura del decreto legislativo, sì da consacrare la persistenza di limiti legali ben precisi al contratto a tempo determinato, pur in un contesto di ormai libera apposizione del termine.

In realtà, appare difficile rispondere positivamente a una tal domanda, anche perché il legislatore avrebbe dovuto esprimersi più chiaramente, come ha fatto, ad esempio, per i lavoratori da licenziare collettivamente16, la cui scelta deve avvenire «nel rispetto dei criteri previsti dal contratto collettivo […] ovvero, in mancanza di questi contratti, nel rispetto (dei criteri legali) […] in concorso tra loro» (art. 5, l. n. 223/1991).

È noto che, nel regime pregresso, l’autonomia collettiva era chiamata, ex art. 10, comma 7, d.lgs. n. 368/2001, a individuare – tramite percentuali massime di assunzioni a tempo determinato (c.d. regola del “contingentamento”) – limiti ulteriori all’apposizione del termine rispetto a quelli fissati dalla legge17;

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A.PANDOLFO, P.PASSALACQUA, op. cit., 38.

15 Per la derogabilità assoluta del limite del 20% ad opera della contrattazione collettiva ex art. 10, comma 7, d.lgs. n. 368/2001, si è, tuttavia, espressa finora la dottrina maggioritaria: tra i tanti si veda A.PANDOLFO, P.PASSALACQUA, op. cit., 38; M.BROLLO, La nuova flessibilità

“semplificata” del lavoro a termine, cit., 584; C.ALESSI, La difficile convivenza della legge e

della contrattazione collettiva nella disciplina del contratto a tempo determinato, in F.

CARINCI, G.ZILIO GRANDI (a cura di), op. cit., 97; V.SPEZIALE, Totale liberalizzazione del

contratto a termine, in ASSOCIAZIONE LAVORO &WELFARE,op. cit., 31; M.TIRABOSCHI, P. TOMASSETTI, op. cit., 6; cfr. pure la circ. Min. lav. 30 luglio 2014, n. 18.

16 A.P

ANDOLFO, P.PASSALACQUA, op. cit., 38, nota 15. 17 M.N

APOLI, Il ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina del lavoro a termine, in M.NAPOLI (a cura di), Il diritto del lavoro tra conferme e sviluppi, Giappichelli, 2006, 170; A. BOLLANI,Lavoro a termine, somministrazione e contrattazione collettiva in deroga, Cedam,

2003; G.M.MONDA, Il ruolo della contrattazione collettiva nella disciplina del contratto a

tempo determinato, in G.FERRARO (a cura di), Il contratto a tempo determinato, Giappichelli, 2008, 271 ss.; S. CIUCCIOVINO, Il contratto a tempo determinato: la prima stagione

applicativa del d.lgs. n. 368 del 2001, in DLRI, 2007, n. 115, 455 ss.; P. PASSALACQUA,

ulteriori perché già il legislatore, con norma generale (vecchio art. 1, comma 1, d.lgs. n. 368/2001)18, condizionava le assunzioni a termine alla sussistenza di «ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive» (c.d. causalone). Ebbene, sarebbe davvero singolare offrire una lettura esattamente rovesciata del menzionato art. 10, comma 7, proprio ora che la percentuale del 20% è rimasta l’unico vero baluardo della stabilità occupazionale, introdotto dalla riforma proprio per compensare l’abrogazione della norma generale anzidetta. Del resto, che il limite del 20% non possa essere modificato ex contractu in senso più favorevole al datore di lavoro lo dimostra la disciplina, per quanto ermeneuticamente problematica, della fase transitoria. L’art. 2-bis del d.l. n. 34/2014, convertito dalla l. n. 78/2014, a conferma del carattere imperativo dell’art. 1, comma 1, del d.lgs. n. 368/2001, stabilisce l’obbligo per i datori di lavoro di «rientrare nel predetto limite entro il 31 dicembre 2014», attribuendo sì ai contratti collettivi (anche aziendali) la legittimazione a fissare un limite percentuale più favorevole all’impresa, ma unicamente in funzione della messa a regime della riforma19.

Certo è che, se si ammettesse la derogabilità in peius della sopramenzionata percentuale legale, le prospettive non sarebbero tanto rosee per le persone in cerca di stabilità occupazionale20. Questo appare chiaro ove si consideri la tradizionale tendenza dei sindacati ad assecondare, sul piano negoziale, le richieste imprenditoriali di più accentuata flessibilità contrattuale degli

outsiders (inoccupati e disoccupati) in cambio di un qualche vantaggio per gli

insiders (i lavoratori già occupati)21. Il che spiega pure perché mai la

contrattazione gestionale e di rinvio, Giappichelli, 2005, 195 ss.; P.PASSALACQUA, Il ruolo

della contrattazione collettiva nella regolamentazione del lavoro a termine, in G.PERONE (a cura di), Il contratto di lavoro a tempo determinato nel d.lgs. 6 settembre 2001, n. 368, Giappichelli, 2002, 398 ss.; P.CAMPANELLA, Contrattazione collettiva e lavoro a termine, in AA.VV., Interessi e tecniche nella disciplina del lavoro flessibile. Atti delle giornate di studio

di diritto del lavoro. Pesaro-Urbino, 24-25 maggio 2002, Giuffré, 2003, 597 ss.

18 Sull’art. 1, comma 1, d.lgs. n. 368/2001, come “norma generale”, si consenta di rinviare a P. CAMPANELLA, Clausole generali e obblighi del prestatore di lavoro, relazione al convegno

Clausole generali e diritto del lavoro – Giornate di Studio Aidlass 2014, Roma, 29-30 maggio 2014, 41 ss., in www.aidlass.it.

19 Cfr., sia pur dubitativamente sul punto, le osservazioni di M.M

AGNANI, op. cit., 33; ma diversamente A.PANDOLFO, P.PASSALACQUA, op. cit., 39, pur con l’ammissione che, così disponendo, il legislatore si sia quantomeno complicato «la vita da solo».

20 Si accentuerebbero, al tempo stesso, i problemi di compatibilità con il diritto comunitario, come ben osserva F.CARINCI,op. cit.,33.

21 E. G

RAGNOLI, L’ultima regolazione del contratto a tempo determinato. La libera

apposizione del termine, cit., 434, il quale sottolinea che «il controllo sociale immaginato dalla

contrattazione collettiva sia talora giunta a stabilire percentuali di assunzione a termine ben più alte di quelle oggi fissate ex lege22, con conseguente abbandono di ogni pretesa a porre un serio argine alla “precarizzazione” della manodopera nel mercato del lavoro italiano.

4. Segue: gli ulteriori problemi e il livello di contrattazione interessato

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