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Definizioni di pubbliche amministrazioni e possibili ricadute sul sistema delle font

La politica del Governo Renzi per il settore pubblico

4. Segue: il riparto tra font

4.3. Definizioni di pubbliche amministrazioni e possibili ricadute sul sistema delle font

Il discorso non sarebbe compiuto senza considerare quanto previsto dall’art. 8 (Definizioni di pubbliche amministrazioni) del ddl S 1577 con cui – come

54 In questo senso la Corte costituzionale con riferimento speciale alla disciplina dell’assunzione con contratto a termine di cui al vigente comma 6 dell’art. 19 con la sentenza 3 novembre 2010, n. 324; sia permesso in termini critici rinviare a A.BOSCATI, Ordinamento

civile per incarichi dirigenziali ad esterni e per procedure di mobilità tra enti, in RIDL, 2011,

n. 4, II, 1197 ss.; si veda anche D.BOLOGNINO, Problemi di applicabilità dell’art. 19, comma

6 e 6-bis, alle regioni ed agli enti locali in uno Stato multilivello, in LPA, 2011, n. 1, II, 144

ss. In merito si veda per l’affermazione della competenza statale C. cost. 28 marzo 2014, n. 61; C. cost. 6 luglio 2012, n. 2012.

55 F.C

ARINCI, Riforma costituzionale e diritto del lavoro, cit., 67; e dello stesso A. si veda anche Una riforma “conclusa”. Fra norma scritta e prassi applicativa, cit., LXI.

riportato nella Relazione al provvedimento – si delimita il «“perimetro pubblico” con le diverse nozioni di pubbliche amministrazioni, al fine di agevolare l’individuazione dei destinatari delle norme». Si precisa che «le definizioni introdotte non riguardano soltanto l’ambito di applicazione della presente legge, ma anche quello di tutte le future disposizioni normative che vi faranno espresso riferimento». «In questo modo – prosegue la Relazione – si offrirà al futuro legislatore uno spettro di definizioni di diversa ampiezza, che gli consentiranno di scegliere consapevolmente l’ambito di applicazione delle disposizioni normative in materia, in relazione alla logica e allo scopo delle norme». Si prevedono così sette definizioni di amministrazione, variamente articolate, secondo un modello “matrioska” per cui alcune sono sintesi di altre: amministrazioni statali, amministrazioni nazionali, amministrazioni territoriali, amministrazioni di istruzione e cultura, amministrazioni pubbliche, soggetti di rilievo pubblico e organismi privati di interesse pubblico. Vengono poi fatti salvi i riferimenti ad altri elenchi e definizioni redatti a fini specifici o per l’applicazione delle disposizioni in materia di finanza pubblica.

Il dibattito fino ad ora si è concentrato sulle inclusioni/esclusioni operate con riferimento ad ogni singola definizione. Si tratta certamente di un aspetto importante e rispetto al quale anche le Università hanno espresso criticamente il proprio punto di vista (segnatamente con riguardo alla diversa collocazione tra Università pubbliche ed Università private). Posto che le definizioni proposte assumono valore generale, è indubbio che vi siano alcune specificità che ricadono anche sul lavoro pubblico.

La prima attiene al rapporto tra le definizioni dell’art. 8 del disegno di legge e quanto disposto dall’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 con cui, come noto, si definisce l’ambito oggettivo di applicazione del d.lgs. n. 165/2001. La soluzione è in apparenza semplice: poiché nella definizione di “amministrazioni pubbliche” di cui alla lett. e dell’art. 8 sono comprese le «amministrazioni nazionali, quelle territoriali, quelle di istruzione e cultura, nonché gli ordini professionali» si può sostenere una coincidenza tra tali amministrazioni e quelle indicate al citato art. 1, comma 2. Dal punto di vista descrittivo oggi è così, ma dal punto di vista giuridico si apre la via a possibili differenziazioni di disciplina; il che, con tutta evidenza, può essere sia positivo, sia negativo, «dipendendo dall’uso che se ne fa».

La seconda, di portata certamente maggiore, attiene all’impatto che le nuove definizioni legislative hanno sulla contrattazione collettiva e, più precisamente, sull’ambito soggettivo della stessa. Come noto, la disciplina vigente nel demandare ad un accordo quadro la definizione dei comparti pone una doppia regola. L’art. 40, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001 prevede che

siano definiti fino ad un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza. L’art. 41, commi 2 e 3, dello stesso d.lgs. n. 165/2001, individua chi opera come Comitato di settore fornendo alcune precise indicazioni circa l’ambito dei comparti e delle aree. Si prevede, infatti, la costituzione di tre Comitati di Settore: un Comitato nell’ambito della Conferenza delle regioni e che esercita i propri compiti per le regioni, i relativi enti dipendenti e le amministrazioni del Servizio Sanitario Nazionale; un secondo costituito nell’ambito dell’ANCI, dell’UPI e dell’Unioncamere e che esercita le proprie competenze per i dipendenti degli enti locali, delle Camere di Commercio e dei Segretari comunali e provinciali; infine per tutte le altre amministrazioni opera come Comitato il Presidente del Consiglio dei Ministri tramite il Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con il Ministro dell’economia. Per assicurare le specificità delle diverse amministrazioni e categorie di personale ivi impiegate devono esser sentiti i ministeri di riferimento e/o le istanze rappresentative delle varie amministrazioni56.

L’elemento che emerge evidente se si comparano le definizioni contenute nel disegno di legge con quelle del d.lgs. n. 165/2001 appena richiamate è il numero 4, ovvero la coincidenza tra il numero massimo di comparti previsti dalla vigente disciplina del d.lgs. n. 165/2001 ed il numero di articolazioni interne contenute nella definizione di amministrazioni pubbliche dall’art 8 del disegno di legge (cfr. lett. e prima citata). Il che porta a ritenere che la definizione legislativa del disegno di legge possa avere una significativa influenza sulla determinazione dei comparti da parte del futuro accordo quadro. Anche perché si potrebbe considerare non lineare un sistema in cui l’ambito di applicazione di alcune specifiche disposizioni normative non coincida con quello negoziale.

Sullo sfondo vi è però un altro e più complesso tema: l’incidenza che tutto ciò ha sul tema della rappresentatività sindacale, atteso che in base alla disciplina vigente questa viene misurata a livello di comparto. Non è escluso, ed anzi è probabile, che la scelta delle parti negoziali, volta a contemperare le istanze delle varie anime dell’ampio comparto, possa essere nel senso di far rivivere all’interno dei contratti di comparto delle apposite sezioni con cui, dopo una prima parte comune, si detti una disciplina particolare per certe categorie. Rimane però la questione che la rappresentatività è misurata a livello di comparto, con la probabile conseguenza che alcuni sindacati con disomogenea

56 Sui comitati di settore si veda M.D’O

NGHIA, I soggetti della contrattazione collettiva di

parte pubblica: Comitato di settore e ARAN, in F.CARINCI, S.MAINARDI (a cura di), op. cit., 373 ss.

presenza possano non raggiungere la fatidica soglia del 5%, con l’effetto di non avere la forza di poter neppure presentare le proprie istanze.

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