• Non ci sono risultati.

Alcune considerazioni sulla teoria economica in materia di bilancio

Questa breve disamina sull’evoluzione del concetto della politica di bilancio tra il XIX ed il XX secolo consente non solo di evidenziare la compenetrazione tra aspetti istituzionali, evoluzione delle condizioni economico-sociali e sviluppo della decisione di finanza pubblica, ma anche di apprezzare lo sfondo teorico nel quale è stato elaborato dapprima l’art. 81 della Costituzione e, successivamente, i vincoli di bilancio europei.

Per quanto riguarda l’art. 81, tale collegamento emerge dalla stessa circostanza che i principali autori della versione definitiva della citata disposizione costituzionale sono stati Einaudi e Vanoni, vale a dire due esponenti della Scuola italiana di scienza delle finanze, nonché, più in generale, dal fatto che la discussione sul quarto comma di tale disposizione si è sviluppata, non a caso, in sede di esame dell’iniziativa legislativa nella Seconda Sottocommissione dell’Assemblea Costituente.

Con riferimento ai vincoli comunitari di finanza pubblica che saranno esaminati nel prosieguo del presente lavoro, occorre premettere che la scelta di fissare limiti quantitativi ai saldi di bilancio degli Stati appartenenti all’area euro è indubbiamente derivata da specifiche ragioni macroeconomiche, data l’impossibilità di addivenire ad una unificazione delle politiche di bilancio con la stessa rapidità del processo di creazione della moneta unica (cosa che, peraltro, avrebbe inevitabilmente determinato ricadute importanti sugli stessi equilibri istituzionali europei).

Ciò nonostante, appare innegabile il fondamento liberista e monetarista delle scelte adottate a partire dal Patto di Stabilità in poi, come se le carenze strutturali delle economie nazionali e la loro compatibilità con la creazione di un’area monetaria comune dovessero essere affrontate mediante interventi strutturali (nel mercato del lavoro, nel sistema previdenziale, nella qualità della spesa pubblica, nella promozione di dinamiche concorrenziali nell’attività produttiva), anziché ricorrere a politiche di spesa espansive77.

77 L’economista americano (A Theory of Optimum Currency Area, in American Economic Review, vol. 51, n. 4, 1961, pag. 657-665), nell’individuare le condizioni per la creazione di un’area valutaria ottimale, parla della necessità che

33

Più in generale, la scelta di prevedere il pareggio di bilancio nel medio termine riflette un determinato modo di concepire il rapporto tra i pubblici poteri e l’economia.

Nella teoria classica, nei suoi sviluppi della c.d. Public Choice e nell’approccio monetarista, si ritiene prioritaria l’esigenza di contenere l’interventismo statale, foriero di determinare inefficienze e limitazioni dell’iniziativa privata, sia in campo economico che politico.

Nella dottrina keynesiana, invece, il bilancio viene apprezzato nel suo continuo interagire con il ciclo economico, sia nelle capacità di stimolo dal lato della domanda, sia per i riflessi che il ciclo stesso può determinare sui saldi di finanza pubblica.

Se, da una parte, una politica economica attiva può scontare le carenze del processo democratico, dall’altra inefficienze e pro-ciclicità si possono determinare, paradossalmente, anche per effetto di misure volte a perseguire l’obiettivo del pareggio.

Per questo sarebbe necessario distinguere le componenti del bilancio che variano per effetto di decisioni discrezionali delle autorità da quelle che si modificano automaticamente per effetto dell’evoluzione del ciclo economico, al fine di evitare politiche di riduzione di un eventuale disavanzo derivante da una congiuntura avversa, foriere a loro volta di deprimere ulteriormente l’economia nazionale.

In conclusione entrambe le teorie sopra esposte mostrano punti di forza e di debolezza: in ogni caso, una valutazione critica delle stesse non può trascendere dall’epoca storica nel quale si sono sviluppate, perché solo così se ne può apprezzare l’attualità e valutarne le possibili proiezioni sull’odierno dibattito sulla politica di bilancio.

Forse, oggi la difficoltà maggiore è quella di individuare soluzioni in grado di adattarsi alle specifiche situazioni congiunturali senza irrigidirsi in posizioni dogmatiche, in ogni caso deleterie: dopo essere passati da un eccesso di deficit spending, si rischia oggi di cadere nell’eccesso opposto, privando lo Stato degli strumenti di intervento il cui utilizzo può rendersi in alcuni casi indispensabile.

per far fronte ad eventuali shocks asimmetrici una unione monetaria (cioè con cambi irreversibilmente fissi) presenti una alta mobilità dei fattori produttivi e/o una adeguata flessibilità di prezzi e salari: in caso contrario, secondo P. Kenen (The Theory of Optimum Currency Areas: An Eclectic View, in Monetary Problems in the

International Economy, a cura di R. Mundell e A. K. Swoboda, University of Chicago Press, Chicago, 1969) solo

una politica fiscale centralizzata consentirebbe di gestire siffatte situazioni di criticità. Pertanto, creare una moneta unica vincolando nel contempo le politiche di bilancio nazionali equivale a scaricare l’aggiustamento delle economie degli Stati sulle sole misure di flessibilizzazione. Sotto questo aspetto, i parametri europei in materia di bilancio appaiono in linea con i presupposti della teoria contrattualistica di Buchanan, specie alla luce delle conseguenze della nuova governance economica europea dei conti pubblici nazionali e del recepimento nell’ordinamento interno del principio del pareggio previsto dal c.d. Fiscal Compact. La differenza è che al timore dei cittadini per lo “Stato Leviatano” si è sostituita la preoccupazione della Germania per le ricadute sugli equilibri dell’area euro delle politiche di bilancio dei singoli Stati aderenti, peraltro in un contesto -quello della seconda metà degli anni ’90- caratterizzato da un generalizzato sviluppo economico e dal progressivo allargamento degli scambi commerciali che lasciava intravedere per lo Stato un ruolo sostanzialmente secondario, quanto più possibile non intrusivo del mercato.

34

Peraltro, la complessità di tali problemi risulta ulteriormente accresciuta nell’odierno sistema multilivello dell’Unione Europea -di cui l’Italia è parte integrante- nel quale si sovrappongono due piani distinti ma, al tempo stesso, fortemente interconnessi tra loro. Nel caso specifico del processo di integrazione europea, infatti, non bisogna solo perseguire un corretto bilanciamento tra una equilibrata gestione delle risorse pubbliche e la garanzia dei diritti sociali, ma anche assicurare una continua e proficua interazione tra autorità nazionali ed istituzioni europee al fine di ricercare un punto di equilibrio tra le specifiche necessità nazionali ed il doveroso rispetto dei parametri finanziari sovranazionali.

In tale quadro, non può essere negata la profondità e l’estrema attualità del pensiero di Buchanan: la forte compenetrazione tra diritto ed economia, nonché tra scelte pubbliche ed istituzioni, che lo caratterizza esprime la consapevolezza delle difficoltà di assumere decisioni in un contesto economico, sociale e politico radicalmente diverso da quello nel quale si era sviluppata sia la teoria classica che quella keynesiana.

La prima (quella classica) era stata superata dai cambiamenti intercorsi tra la fine del XIX e la prima metà del XX secolo, la seconda (quella keynesiana) non aveva compreso l’importanza delle istituzioni e delle regole, ordinarie e costituzionali, nella nuova realtà della democrazia rappresentativa emersa con l’affermazione dello Stato pluriclasse, tanto da concentrarsi sulle misure di rilancio dell’economia senza considerare i processi decisionali che avrebbero dovuto determinarne l’adozione.

L’acutezza dell’analisi di Buchanan, che coinvolge nelle problematiche di bilancio quelle istituzionali, fornisce quella poliedricità ed interdisciplinarità che la materia della finanza pubblica necessita.

Tuttavia, pur prendendo le mosse dalle idee di Knut Wicksell e da taluni spunti della Scuola italiana della Scienza delle Finanze, la teoria della c.d. Public Choice sembra privilegiare il ricorso a vincoli contenutistici che prevedano l’obbligo del pareggio, ovvero limiti al disavanzo ed al debito, anziché valutare l’importanza di prevedere adeguate regole procedurali in grado di creare dal basso le condizioni per una politica di bilancio responsabile. Tali condizioni devono essere tali da consentire una chiara identificazione sia dei benefici che dei costi associati ad una determinata misura di politica economica, nel quadro di chiaro ed univoco indirizzo politico finanziario all’interno di un parlamentarismo razionalizzato.

In sostanza, pur tenendo in considerazione tali problematiche, sembra prevalere in Buchanan (e negli altri fautori dell’approccio costituzionalistico) una sorta di pessimismo di fondo circa la possibilità di correggere, al di fuori delle cogenti prescrizioni costituzionali, quel fenomeno di “illusione fiscale” derivante dalla divaricazione tra la figura dei soggetti contribuenti e di quella

35

dei beneficiari della spesa, che l’eventuale ricorso alla spesa in deficit rischia di determinare che si viene a determinare inevitabilmente negli odierni Stati pluriclasse di welfare.

L’indirizzo politico finanziario viene così di fatto ricondotto ad una precisa scelta di ordine costituzionale, anziché essere l’esito di un processo decisionale modellato sulla base di regole di

governance predefinite78.

In questa sede, si ritiene invece che il pareggio di bilancio, ovvero l’obbligo di copertura finanziaria “al margine” delle leggi ordinarie che comportano nuove e maggiori spese, dovrebbe assumere una valenza ben più profonda della mera finalità di legare l’ “Ulisse” istituzionale alle “sirene” della spesa: anche perché tali vincoli devono essere tanto più forti quanto più ingovernabile risulta il sistema decisionale di finanza pubblica.

Di contro, il rafforzamento della governance europea dei conti pubblici che si registra negli ultimi anni potrebbe consentire di riconsiderare la portata dei vincoli contenutistici di bilancio essendo in grado di intervenire già nella fase ex ante rispetto alla predisposizione delle linee programmatiche e degli stessi documenti di bilancio.

In altri termini, l’obiettivo di fondo dovrebbe essere quello di individuare da subito i costi ed i relativi finanziamenti al fine di rendere le scelte delle autorità pubbliche trasparenti e responsabili, sia nella fase di definizione dell’indirizzo politico finanziario che nella successiva valutazione di tali decisioni da parte dei cittadini (nonché dei mercati).

In conclusione, la progressiva attenuazione del valore assoluto della sovranità statuale nell’odierno mondo globalizzato, ulteriormente amplificata per i Paesi membri dell’Unione Europea dall’evoluzione del sistema istituzione multilivello di cui essi stessi sono ormai parte integrante, rende necessario inquadrare il principio dell’ “equilibrio” dei conti pubblici in una nuova prospettiva.

Se si ritiene che la corretta gestione delle risorse derivi, in principio, da un equilibrato rapporto tra gli organi istituzionali che intervengono, a vario titolo, nella decisione di bilancio, non si può non considerare il valore del vincolo sovranazionale: il punto è vedere se rileva maggiormente la previsione di parametri qualitativi ai saldi di bilancio, ovvero la partecipazione delle istituzioni extrastatuali alla governance della finanza pubblica.

78 Facendo riferimento alla Scuola della c.d. “Public Choice”, G. Rivosecchi (Governo, maggioranza e opposizione a

quarant’anni dai regolamenti parlamentari del 1971: dai (presunti) riflessi della stagione consociativa al (presumibile) declino del Parlamento, in Rivista AIC, n. 2, 2012) evidenzia come “alla logica del confronto

dialettico tra maggioranza e opposizione e del compromesso parlamentare finalizzato a garantire prestazioni unificanti nella legislazione e nella rappresentanza, si sostituisce molto spesso la ricerca di un equilibrio tra governo e parlamento dettato da vincoli esterni, che sono utilizzati come sponda per comprimere il ruolo delle assemblee elettive, con conseguenti e incisivi riflessi sul processo di produzione normativa e sul sistema delle fonti”. Al di là degli effetti sull’equilibrio tra i poteri, giova qui evidenziare come tali limiti costituzionali tendano ad incidere sulla libera interazione tra i soggetti istituzionali, ponendo quello che dovrebbe essere il risultato di siffatto processo a presupposto del funzionamento stesso del sistema”.

36

J. Buchanan ritiene che “il ripristino della regola di bilancio in pareggio servirà solo a consentire una valutazione in qualche modo più consapevole ed attenta di benefici e costi. La regola avrà l’effetto di rendere i decisori pubblici consapevoli dei costi reali delle spese pubbliche”79. In realtà, il suo approccio sembra piuttosto consolidare una visione contenutistica delle norme in materia di bilancio, anziché porre l’attenzione sull’introduzione di regole in grado di conformare i processi decisionali.

La stessa versione originaria dell’art. 81 della Costituzione sembra ricollegarsi a questo secondo punto di vista, mentre le regole europee introdotte con il Trattato di Maastricht ed il Patto di Stabilità e Crescita appaiono riconducibili al primo modello. I recenti sviluppi del quadro normativo interno e sovranazionale, volti a rafforzare la cogenza dei parametri finanziari, sembra avvalorare la definitiva consacrazione dei parametri numerici, ma forse solo all’apparenza, in quanto si assiste ad una crescente valorizzazione degli strumenti di governance dei conti pubblici per i Paesi membri dell’Unione Monetaria Europea.