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Una valutazione complessiva della riforma del 2012

IL PROGRESSIVO ADATTAMENTO DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE AI VINCOLI EUROPEI IN MATERIA DI BILANCIO

5. Una valutazione complessiva della riforma del 2012

In conclusione, tenuto conto dei contenuti della legge n. 243 del 2012, la riforma della “Costituzione economica” italiana sembra aver seguito il meccanismo del “rinvio mobile” a parametri e vincoli fissati in ambito sovranazionale, quasi a voler sottolineare il superamento di una visione prettamente nazionale della politica economica e, in particolare, delle scelte di bilancio.

Il paradosso di fondo è che tale schema è stato esplicitato nella legge “rinforzata” ma non nel novellato testo costituzionale, con particolare riferimento proprio all’art. 81, tanto che forse sarebbe stato sufficiente prevedere un semplice riferimento nella Carta all’approvazione di una legge “rinforzata” ove prevedere l’ “equilibrio” dei conti al fine di favorire la procedura di rientro dal debito (che attualmente è la vera causa del disavanzo di bilancio, cioè del “disequilibrio” dei conti pubblici), senza la necessità di stravolgere i contenuti dell’art. 81. In tal modo sarebbe stato

78 Cfr. G. M. Salerno, Equilibrio di bilancio, coordinamento finanziario e autonomie territoriali, in Costituzione e

pareggio di bilancio, Jovene Editore, Napoli, 2012. In caso di valore negativo dei citati saldi, l’ente interessato

(Regione, Comune, Provincia, Città metropolitane e Province Autonome di Trento e Bolzano) dovrà adottare misure di correzione tali da assicurarne il recupero nel triennio successivo. Inoltre, in caso di mancato conseguimento dell’equilibrio gestionale, l’ente interessato potrà essere destinatario di sanzioni definite da legge dello Stato fino al ripristino dell’ “equilibrio”, anche attraverso la previsione di specifici piani di rientro.

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utilizzato uno strumento meno “solenne” della revisione costituzionale per affrontare un problema congiunturale.

In ogni caso, si può salutare positivamente l’intendimento del legislatore di procedimentalizzare il conseguimento dell’obiettivo di “equilibrio” dei conti pubblici, senza ricorrere a vincoli predefiniti ed ancor più stringenti rispetto a quelli stabiliti dall’ordinamento europeo e dal c.d. Fiscal Compact, diversamente da altri Paesi (come la Germania).

Tale scelta è stata probabilmente motivata, sia pure solo di riflesso, dalla consapevolezza storica secondo la quale senza un “vincolo esterno” l’Italia non sarebbe in grado di assicurare, in modo coerente e duraturo, finanze pubbliche sane e sostenibili nel tempo, nonché dalla volontà di non di vincolarsi eccessivamente a principi troppo rigidi79.

La credibilità che una regola costituzionale inevitabilmente comporta e che il generico principio dell’ “equilibrio” rischiava di indebolire è stata così recuperata dal meccanismo del “rinvio mobile”.

Al tempo stesso, probabilmente ha agito positivamente sulle scelte del Legislatore il fatto che la legge n. 243/2012 non ha dovuto scontare quella esigenza di visibilità nei confronti di mercati, istituzioni europee e partners dell’eurozona, che invece ha caratterizzato il rapido iter di approvazione della legge di revisione costituzionale.

Nel contesto, l’art. 81 appare meramente strumentale al conseguimento del pareggio, configurandosi come un collettore tra le decisioni assunte in sede internazionale (sostanzialmente vincolate, almeno per il momento, alla riduzione del disavanzo e del debito) e l’allocazione delle risorse necessarie per assicurare la quotidiana attività di gestione da parte della pubblica amministrazione, secondo i principi espressi dall’art. 97 della Carta.

Peraltro, in prospettiva, l’obbligo di perseguire l’ “equilibrio” di bilancio potrebbe beneficiare di un certo margine di flessibilità, alla luce delle deroghe previste dall’art. 81 della Carta e specificate nella legge n. 243 del 2012, in quanto tale vincolo dovrebbe essere declinato, volta per volta, in funzione del valore-obiettivo del “saldo strutturale” concordato in sede europea. In sostanza, il problema della rigidità di siffatto parametro è da ricondurre non tanto alle scelte di politica economica interna, quanto alle decisioni che saranno prese, di volta in volta, in sede europea, nell’ambito delle quali il “pareggio” rappresenta una delle opzioni possibili.

79 Ne è conferma il fatto che il risanamento finanziario ha preso avvio, alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, sulla scorta delle accelerazioni introdotte dall’Atto Unico Europeo del 1986 e nell’ottica della ever closer union culminata con gli accordi di Maastricht, ma anche la sostanziale “stasi” registrata all’indomani dell’entrata dell’Italia nell’euro fino allo scoppio della recente crisi, nel decennio cioè delle “occasioni perdute” di risanare strutturalmente i conti pubblici in un contesto di bassi tassi di interesse, stabilità dei prezzi, funzionamento ordinario dei mercati finanziari. Si consulti, al riguardo, G. Guarino, op. cit., 1997.

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Di fondo, si ritiene che la costituzionalizzazione tout court del pareggio di bilancio non sia sufficiente da sola ad assicurare l’effettivo perseguimento di tale obiettivo, nonostante gli auspici formulati dalla teoria della c.d. Public Choice, i cui limiti in merito al ruolo giocato dall’architettura istituzionale del rendimento della politica di bilancio appaiono ancora più marcati nel caso italiano.

Non si possono sottacere le ragioni economiche che sconsigliano la rigida formalizzazione del pareggio nella Carta, specie in presenza di fasi economiche particolarmente negative, dove potrebbe essere insufficiente scorporare gli effetti del ciclo dai saldi di bilancio o valutare la sussistenza di eventi eccezionali per giustificare un bilancio determinato, prescindendo dall’attuazione di politiche economiche discrezionali da parte dei policy-makers.

In tal caso, dovrebbe essere consentita una politica economica “attiva” che rimetta in funzione il meccanismo delle aspettative degli agenti economici e, più in generale, la domanda aggregata, senza che quest’ultima si trovi a dover essere frenata da emergenti, nuove esigenze di spesa e dai costi di debiti contratti in passato.

Non si tratta necessariamente di giustificare misure di deficit spending, cioè la mera riproposizione di ricette keynesiane: si vuole piuttosto evidenziare come non si possa escludere un potenziale conflitto tra politiche macroeconomiche volte a realizzare riforme strutturali e politiche di bilancio irrigidite sul mantenimento dell’obiettivo del “pareggio”80.

In ogni caso, è apprezzabile il “respiro” europeo conferito dalla legge n. 243/2012 al principio dell’ “equilibrio” che, allo stato, significa adeguare l’ordinamento nazionale ad una dottrina economica europea “ortodossa” in materia di finanze pubbliche, ma senza inibire la possibilità di beneficiare di un diverso indirizzo politico-finanziario che si dovesse imporre in sede comunitaria.

Criticabile appare, di contro, la disciplina introdotta dalla legge costituzionale n. 1 del 2012: forse sarebbe stato sufficiente “ritoccare” l’art. 81 (anche mantenendo il carattere “formale” della legge di bilancio81) nei suoi punti più controversi (ad esempio, rafforzando la prescrittività dell’obbligo di copertura finanziaria dell’originario quarto comma), prevedendo l’emanazione di

80

Oltre al problema della pro-ciclicità delle policies, si vuole qui evidenziare il rischio di un mancato coordinamento tra la politica macroeconomica e quella di bilancio, anche alla luce del fatto che spesso le riforme strutturali comportano costi immediati a fronte di benefici che si concretizzano nel medio periodo.

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Da notare, al riguardo, che l’originario terzo comma dell’art. 81 impediva alla legge di bilancio di introdurre nuovi tributi e nuove spese, non di intervenire in senso riduttivo sulla fiscalità e/o su oneri già previsti; da questo punto di vista, tale disposizione appare ben più ragionata ed equilibrata rispetto alla fissazione ex ante di obiettivi sui saldi di finanza pubblica il cui perseguimento, a fronte di una spesa non facilmente comprimibile nel breve termine, tende a scaricarsi sul lato delle entrate.

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una legge “rinforzata” che, da sola, avrebbe potuto comunque rispondere ai requisiti di vincolatività richiesti dal c.d. Fiscal Compact senza irrigidire la Costituzione.

In tal modo, ci si sarebbe posti, peraltro, nel solco della natura “interposta” già riconosciuta alla normativa di contabilità pubblica sin dalla legge n. 468/1978 da parte di dottrina, giurisprudenza e praxis degli organi istituzionali.

Il modo con cui è stato declinato il principio dell’ “equilibrio” di bilancio avrà anche effetti sulla stessa giustiziabilità del pareggio di bilancio, in quanto saranno insufficienti sia le nuove integrative disposizioni costituzionali in materia che i contenuti della legge “rinforzata”, dovendosi inevitabilmente tenere in considerazione quanto concordato in ambito europeo nello specifico settore per giudicare compiutamente l’effettivo “equilibrio” del bilancio nazionale82.

6. Gli effetti della riforma sul ruolo delle Assemblee legislative: l’Ufficio Parlamentare di