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La genesi dell’art. 81 della Costituzione

La versione dell’art. 81 della Carta elaborata in sede di Assemblea Costituente riflette il dibattito dottrinario sviluppatosi a partire dalla seconda metà del XIX secolo e la stessa normativa di contabilità pubblica del Regno d’Italia emanata nel biennio 1923-1924. Ciò traspare sia dalla formulazione del terzo comma dell’art. 81 Cost., che richiama i risultati della teoria formale della legge di bilancio, sia il successivo comma 4, che riprende in maniera quasi letterale il contenuto del R.D. n. 2440 del 1923, pur nella diversità dell’impostazione di fondo seguita.

In sintesi, la disciplina della materia in argomento sembra caratterizzarsi da stratificazioni normative e dottrinarie succedutesi nel tempo, più che da strappi rispetto al tessuto giuridico consolidato80.

La teoria della natura formale della legge di bilancio si fonda, come noto, sulla qualificazione del bilancio come atto amministrativo proprio del Governo, nell’esercizio di un potere in nome del Re, su cui il Parlamento esprime il proprio consenso mediante una legge, appunto, formale di approvazione81: in tale visione il bilancio, poiché presupponeva, senza potervi incidere, la

79 Cfr. J. Buchanan e R. E. Wagner, op. cit., 1997, pag. 210.

80 Nel senso A. Brancasi, Le decisioni di finanza pubblica secondo l’evoluzione della disciplina costituzionale, in

www.astrid-online.it, 8 agosto 2009, pag. 1-3.

81 Non si ravvisano soluzioni di continuità neanche all’indomani del passaggio dalla monarchia alla repubblica, al punto da far prefigurare, sotto certi aspetti, una mera ricezione dell’esistente che, secondo parte autorevole della dottrina, emergerebbe dal fatto che tale disposizione è stata una di quelle meno pensate dal Costituente. Come precisato da A. Brancasi (Legge finanziaria e legge di bilancio, Giuffrè, Milano, 1985) l’idea della legge di bilancio

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legislazione sostanziale di spesa, si limitava a riprodurne le ricadute finanziarie su un piano prettamente contabile82.

A prima vista, tale assetto risulterebbe più coerente con la forma di governo che aveva caratterizzato il Regno d’Italia, secondo la lettera dello Statuto albertino, teoricamente ascrivibile al modello della monarchia costituzionale con ministri responsabili di fronte al Sovrano, che solo l’evoluzione della prassi ha poi caratterizzato (sia pure in modo erratico e ferme restando le importanti prerogative del Re) in senso più marcatamente parlamentare83.

In tale quadro, sarebbe apparsa giustificata la limitazione dei poteri dell’Assemblea alla sola approvazione dei documenti di bilancio redatti dal Governo84, secondo l’approccio formale che

come legge formale affondava le radici nella teoria dualistica delle forme di governo: nella monarchia costituzionale il dualismo sociale veniva riprodotto, all’interno dello Stato, nella contrapposizione tra Governo e Parlamento rappresentativo e, in tale quadro, l’attività finanziaria veniva ricompresa nella competenza del Governo, su cui l’Assemblea elettiva si limitava ad esercitare un mero controllo al solo fine di esonerare preventivamente il Governo da ogni responsabilità politica. In conclusione, intendendo la legge di bilancio come legge formale veniva mantenuto il dualismo istituzionale, garantendo l’esecutivo monarchico dalle ingerenze parlamentari ed evitare che l’approvazione di tale atto consenta all’Assemblea di piegare l’esecutivo al proprio indirizzo politico. Peraltro, siffatta visione ha continuato a valere anche nei sistemi parlamentari, col fine precipuo di evitare l’ingerenza del Parlamento nella sfera dell’amministrazione e, nello specifico, lo strapotere della maggioranza.

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Il carattere esclusivamente formale della legge di approvazione del bilancio deriva da una serie di effetti associati a quest’ultima, quale quello di far eseguire le leggi vigenti in materia di entrate e spese mediante una periodica autorizzazione e di dichiarare regolari determinati stanziamenti previsti dalle leggi vigenti, pur tuttavia seguendo l’ordinario procedimento legislativo (M. Stramacci, Contributo all’interpretazione dell’art. 81 della Costituzione, in Rassegna Parlamentare, 1959, pag. 172).

83 Per una disamina dello principali disposizioni statutarie e dell’evoluzione della forma di governo del Regno d’Italia, si veda, tra gli altri, G. Rebuffa, Lo Statuto Albertino, Il Mulino, Bologna, 2003.

84 Lo Statuto Albertino codificava la riserva di legge in materia di bilancio: l’unica norma di interesse era l’art. 10 che riconosceva una sorta di supremazia alla Camera elettiva per le leggi concernenti il bilancio ed il rendiconto, nonché quelle tributarie, non solo nel senso letterale di attribuirle prioritariamente alla Camera ma anche di demandare a quest’ultima il potere di apportarvi modifiche, di fatto inibito al Senato. Nulla disponeva invece in merito alla natura, formale o sostanziale, della legge di bilancio, in merito al quale la dottrina si mostrava divisa e la prassi incerta: di fatto, la modifica delle leggi vigenti in sede di approvazione del documento contabile era frequentemente praticata. Secondo M. Mancini e U. Galeotti, Norme ed usi del Parlamento italiano, Tipografia della Camera dei Deputati, Roma 1887, pag. 345 e seguenti “una lunga controversia si è agitata nel nostro Parlamento a proposito della facoltà di modificare, con articolo della legge di bilancio, una disposizione di qualche altra legge dello Stato; né si potrebbe con sicurezza affermare quale consuetudine sia prevalsa al proposito, perocché la giurisprudenza del Parlamento nostro intorno a ciò è stata ed è tuttora assai variabile” ; si veda anche F. Racioppi e I. Brunelli, Commento allo Statuto del Regno, Unione Tipografico-editrice torinese, vol. I, Torino 1909, pag. 488 e seguenti, secondo i quali “se il bilancio è un atto dell'Esecutivo e se la legge d'approvazione non ne muta il carattere, conviene riconoscere che le sue disposizioni non si possono mai interpretare nel senso che abbiano modificata o abrogata qualche legge esistente: perciocchè è fondamentale ufficio dell'Esecutivo di provvedere all’esplicazione dei fini pubblici, senza sospendere l'osservanza delle leggi o dispensarne. Né è corretto lo addivenire a modificazioni od abrogazioni delle permanenti leggi in occasione o per mezzo della legge di approvazione annua del bilancio; senza di che si va incontro al pericolo d'innovazioni di straforo, con rinunzia a tutta quella ponderazione ch' è necessaria per le riforme legislative, e che può solo raggiungersi quando esse si studiano senza impacci di tempo, in sè e per sè, coi metodi ordinarii, all'infuori da preoccupazioni estranee (…) Quello che la legge del bilancio può fare, è di regolare gli stanziamenti in guisa da impedire l'esecuzione d'una data legge; ma impedirla per la sola durata dell'esercizio e non oltre. Essa infatti è condizione (…) Adunque la variazione in più cd in meno avrà l'effetto di intensificare o indebolire quel dato ramo di servizio pubblico: l'aggiunta d'uno stanziamento nuovo avrà l'effetto di far sorgere una nuova attività pel Governo; la soppressione integrale d'un capitolo avrà l'effetto di rendere impossibile un servizio: - sempre però limitatamente all'anno o esercizio finanziario. A maggior ragione, la soppressione d'uno stanziamento su cui un privato abbia dirilio (nè

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Laband aveva teorizzato a giustificazione della primazia dell’esecutivo bismarkiano (e del monarca) in materia finanziaria rispetto al Reichstag, consentendo l’esercizio dei poteri di spesa da parte del Governo anche in assenza del consenso dell’Assemblea85.

In realtà, pur in presenza di una forma di governo sostanzialmente dualista (alla luce degli importanti poteri esercitati dal Sovrano e della debolezza delle maggioranze parlamentari che portavano il Presidente del Consiglio ad affidarsi spesso alla Corona per dirigere l’azione di governo), i parlamentari potevano presentare emendamenti alle leggi tributarie e di bilancio.

In sostanza, all’epoca lo Statuto non specificava la natura del bilancio, in presenza di una forma di governo le cui dinamiche non erano ascrivibili, sic et simpliciter, a quelle proprie del parlamentarismo classico: pur tuttavia, dottrina autorevole sosteneva il carattere formale della legge di bilancio86

Ulteriore apparente trait d’union tra il precedente ed il nuovo sistema sembra rappresentato dal fatto che la versione finale del quarto comma dell’art. 81 riprende quasi letteralmente il terzo comma dell’art. 43 del R.D. 2440/1923 sulla contabilità generale dello Stato87, secondo il quale

importa se a titolo oneroso o gratuito), non pregiudica”. Come si vedrà in seguito, tali indicazioni si rinvengono in gran parte della dottrina anche per la legge di bilancio come prevista dall’art. 81 della Costituzione repubblicana. 85 Si trattava, nello specifico, di due distinti episodi che avevano visto dapprima contrapporsi la Corona al Landtag e

Corona (1862-1866), successivamente il Governo al Reichstag (1878): come precisato da M. Luciani (Costituzione,

bilancio, diritti e doveri dei cittadini, in Astrid-online, 2012, pag. 1-6) la questione della natura formale della legge

di bilancio, pertanto, non era volta, sic et simpliciter, ad individuare un criterio per risolvere possibili antinomie tra legge di bilancio ed altre leggi, nel quadro della tematica delle fonti di diritto, ma anche per tracciare i limiti dei poteri di Governo e Parlamento nella specifica materia, in sintonia con la forma di governo vigente. Si veda, al riguardo, P. Laband, Il diritto del bilancio, a cura di C. Forte, Giuffrè Editore, Milano, 2007, nonché R. Gneist e G. Jellinek, Legge e bilancio. Legge e decreto, a cura di C. Forte, Giuffré Editore, Milano, 1997; in particolare, R. Gneist teorizzava la supremazia delle leggi sostanziali di spesa rispetto alla legge formale di bilancio. Contro l’impostazione di Laband si veda H. Heller in La sovranità ed altri scritti sulla dottrina del diritto e dello Stato, Giuffré Editore, Milano, 1987.

86 Si rimanda a V. E. Orlando, Principii di diritto costituzionale, V edizione, Firenze, 1925, nonché S. Romano,

Saggio di una teoria sulle leggi di approvazione, Il Filangeri, 1898. In particolare, quest’ultimo, nell’attribuire alla

legge di bilancio il carattere di una autorizzazione, configura tale provvedimento normativo come un “atto che l’autorità amministrativa compie per un potere che a lei spetta a prescindere dall’autorizzazione medesima, donde la conseguenza (…) che il bilancio, in quanto è conto, prospetto di cifre, previsione di entrate e spese, non è un progetto di legge, ma un atto che il Parlamento approva con una legge. Contro tale veduta si potrebbe obbiettare che il Parlamento non si limita in vero ad una sola approvazione, ma discute il bilancio medesimo introducendovi modificazioni e correzioni. Tale obbiezione però non avrebbe che assai scarso valore. Le correzioni cui accenniamo dovrebbero considerarsi non come modificazioni di un progetto di legge, ma come proposte di emendamenti che il Parlamento fa al Governo e che, se non vengono da questo accettate, hanno per conseguenza il rifiuto dell’approvazione. Le modificazioni in sostanza sono fatte dal Governo; il Parlamento non fa che proporre, mettendo una condizione all’approvazione del bilancio” (pag. 253-254). Appare evidente la centralità riconosciuta da Romano al Governo, cui addirittura viene fatta “logicamente” confluire l’attività parlamentare per eccellenza in materia di bilancio, cioè l’emendamento.

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In particolare, A. Brancasi (Le decisioni di finanza pubblica secondo l'evoluzione della disciplina costituzionale, in

La costituzione economica: Italia, Europa, a cura di C. Pinelli e T. Treu, Il Mulino, Bologna, 2010, pag. 347) ha

evidenziato che “l’art. 81 è certamente una delle disposizioni meno pensate dal costituente: in essa si ritrova, per un verso, una ricezione dell'esistente poco consapevole e comunque assolutamente acritica e, per altro verso, una disciplina che addirittura tradisce le stesse intenzioni di quei costituenti che più l'avevano voluta”.

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“nelle proposte di nuove e maggiori spese occorrenti dopo l'approvazione del bilancio devono essere indicati i mezzi per far fronte alle spese stesse”88.

Ciò non significa che la disposizione della Costituzione derivi dall’art. 43, tenuto conto dei diversi terreni in cui entrambe sono sorte (la prima nell’ambito della iniziativa legislativa, la seconda nel quadro della disciplina della contabilità pubblica)89. Tuttavia in entrambi i casi si fa menzione dell’obbligo di “indicare i mezzi” e non di “provvedere ai mezzi” (formula questa inizialmente approvata in sede di Sottomissione dell’Assemblea Costituente); inoltre, la “novità” della spesa viene intesa, nell’un caso, in relazione alla legislazione sostanziale, nell’altro, rispetto agli stanziamenti di bilancio90.

88 Il R.D. n. 2440 del 1923 (poi integrato l’anno successivo dal regolamento di cui al R.D. n. 827 del 1924) era il frutto di una riforma legislativa attuata dal Ministro delle finanze Alberto De Stefani, che riordinava sostanzialmente la normativa ottocentesca in materia di contabilità pubblica dopo il disordine degli anni di guerra: il fine era quello di adattare tali disposizioni in vigore alle nuove condizioni, nel solco comunque di una pratica gestionale oculata e conforme all’obiettivo finale del pareggio di bilancio, peraltro conseguito effettivamente già nel 1924. Nella relazione al R.D. in esame (pubblicata, unitamente al provvedimento normativo, nella G.U. del Regno d’Italia n. 275 del 1923) De Stefani precisava, tra l’altro, che “le leggi sulla materia, rimaste fino ad ora in vigore, sono risultate, alla prova di una lunga esperienza, informate a savi concetti e, in massima, atte a garantire una gestione cauta e regolare della pubblica finanza. Ma il periodo trascorso, e in particolar modo gli effetti recati dagli eventi eccezionali degli ultimi tempi, hanno reso, in parte, non più consone alle nuove esigenze alcune disposizioni di quelle leggi, onde è divenuto indispensabile, non una radicale innovazione, ma un migliore adattamento di esse alle mutate condizioni”. Le disposizioni ivi contenute riguardavano, tra l’altro, la contrattualistica e la disciplina dei pagamenti: al riguardo, particolare rilievo assumono le norme sull’accertamento delle responsabilità dei pubblici funzionari, prevedendo sanzioni pecuniarie in capo ai funzionari amministrativi autorizzati ad assumere impegni e a disporre pagamenti, nonché ai capi delle ragionerie, che impegnano l’Amministrazione oltre il limite degli stanziamenti di bilancio. Peraltro nella legge di delegazione veniva specificato, all’art. 1, che “per riordinare il sistema tributario allo scopo di semplificarlo, di adeguarlo alle necessità del bilancio e di meglio distribuire il carico delle imposte; per ridurre le funzioni dello Stato, riorganizzare i pubblici uffici ed istituti, renderne più agili le funzioni e diminuire le spese, il Governo del Re ha, fino al 31 dicembre 1923, facoltà di emanare disposizioni aventi vigore di legge”.

89 In particolare, nel combinato disposto dei commi 3 e 4 dell’art. 81, come interpretati da autorevole dottrina, si ritrova non solo la limitazione della potestà emendativa da parte dei parlamentari ma anche il rispetto, dopo l’approvazione del bilancio, dell’indirizzo politico-finanziario espresso dal Governo in tale sede. Sul rapporto tra l’art. 43 del R.D. e l’art. 81 comma 4 della Costituzione, si rimanda a G. Caporali, Leggi in materia finanziaria ed

ammissibilità del referendum, Giuffrè, Milano, 2004, pag. 251 e seguenti.

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V. Onida (op. cit., 1969) ritiene che l’art. 81 della Carta non derivi dall’art. 43 del R.D. n. 2440/1923, essendo la disposizione costituzionale sorta nel terreno dell’iniziativa legislativa ed è finalizzata a tutelare l’equilibrio finanziario da iniziative parlamentari irresponsabili; inoltre l’inciso riferito alle “spese occorrenti dopo l’approvazione del bilancio” non è presente nel citato art. 43, dove l’obbligo di copertura non viene pertanto limitato al solo esercizio finanziario in corso. Infine, nell’art. 81 la “novità” della spesa riguarda il momento in cui tale onere viene deliberato in sede di legislazione ordinaria, non quando lo stesso viene iscritto nel bilancio di competenza. A. Brancasi (op. cit., 1985), superando l’idea della legge di bilancio come mera risultante delle prescrizioni previste nella legislazione finanziaria, evidenzia invece la capacità per il Governo di esprimere, proprio con il documento di bilancio, un indirizzo politico finanziario proprio, in grado di esprimersi con un grado di ampiezza variabile a seconda del contenuto finanziario delle altre leggi: in tale visione, la limitazione del potere di emendamento parlamentare propria del comma 4 si lega alla capacità del Governo di agire in sede di bilancio nella definizione degli equilibri finanziari ed alla garanzia del loro mantenimento per tutta la durata dell’esercizio rispetto alle misure di legislazione ordinaria comportanti nuove e maggiori spese. G. Di Gaspare (Innescare un

sistema di equilibrio: ritornando all’art. 81 della Costituzione, in Le procedure finanziarie in un sistema istituzionale multilivello, Giuffré Editore, Milano, 2005, pag. 204) ritiene che l’art. 81 co. 3 della Costituzione evita

che con l’approvazione del bilancio si decidano nuove entrate e nuove spese senza esplicitare il nesso tra loro intercorrente, in modo che l’introduzione di nuovi tributi e nuove spese avvenga previa definizione dei relativi costi

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Giova peraltro precisare che secondo il comma 1 del medesimo art. 43 “le nuove e le maggiori spese, alle quali non possa provvedersi nella forma indicata negli articoli precedenti, debbono essere autorizzate per legge”. In sostanza, le nuove e maggiori spese che non possono essere soddisfatte a valere delle disponibilità del “fondo di riserva per le spese obbligatorie e d’ordine” e del “fondo di riserva per le spese impreviste” devono essere autorizzate per legge, nelle quali vengono, altresì, indicati i mezzi per fronteggiarle, ai sensi del citato comma 391.

In ogni caso, non era fatto espresso divieto di introdurre nuovi tributi e nuove spese in sede di bilancio, né veniva esclusa l’iniziativa parlamentare in materia di leggi di spesa92: la normativa di contabilità si limitava ad affrontare il problema, prettamente finanziario, della mancata copertura di eventuali nuove o maggiori spese ad opera delle dotazioni previste in sede di bilancio (sia nei capitoli destinati al soddisfacimento di una specifica esigenza, sia nei fondi allocati presso lo stato di previsione del Dicastero economico), senza considerare i rapporti (ancora poco istituzionalizzati) tra gli organi che intervenivano nella decisione di bilancio93.

La nuova legislazione di contabilità è stata approvata nel mentre le autorità pubbliche perseguivano il ripristino del pareggio di bilancio, effettivamente conseguito nel 192494, pur se ben presto travolto dalle spinte espansive indotte dalla finanza corporativa e dalla crisi economica del

e benefici; da ciò deriva, altresì, che la copertura finanziaria di cui al successivo co. 4 non possa essere assicurata mediante l’indebitamento.

91 Con riferimento all’art. 43 della legge di contabilità, l’art. 156 del R.D. n. 827/1924 Regolamento per

l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato precisa che “le spese che è

imprescindibile di eseguire e per le quali non è stabilito alcun fondo, o non è sufficiente quello assegnato in bilancio, si distinguono in spese nuove, e maggiori spese. Sono spese nuove quelle che richiedono la istituzione di uno o più capitoli nuovi. Sono maggiori spese quelle che importano un aumento alle assegnazioni di capitoli esistenti. Tanto le spese nuove quanto le maggiori spese non possono essere comprese che nelle competenze dell'esercizio in corso”.

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Peraltro, l’art. 29 del R.D. n. 2440 del 1923 prevedeva che “i disegni di legge che importino o riflettano spese a carico dello Stato, sono proposti dal Ministro da cui dipendono i servizi ai quali le spese si riferiscono, di concerto con il Ministro delle Finanze. Sono del pari emanati di concerto con Ministro delle Finanze gli altri provvedimenti che regolino comunque l’assunzione di nuovi oneri, oppure modificazioni o deroghe a precedenti disposizioni adottate su proposta o di concerto col detto Ministro”. Con tale disposizione viene così introdotta, per la prima volta, una sorta di dialettica interna all’Esecutivo, tra una Amministrazione ed il Ministero delle Finanze, in modo da realizzare una ponderazione tra l’interesse pubblico di settore con quello più prettamente finanziario.

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Un importante elemento di novità apportato dal provvedimento normativo in esame attiene alla previsione dell’art. 37, concernente la suddivisione delle entrate e delle spese in titoli, secondo che siano “ordinarie” e “straordinarie”, nonché in categorie, a seconda che siano “effettive” o riguardino costruzioni di strade ferrate, movimenti di capitali o partite di giro (oltre, ovviamente, al riparto per capitoli, a loro volta raggruppati in rubriche, secondo la materia amministrata). Tale distinzione per titoli e categorie consente di differenziare i flussi di entrata e di uscita in base al loro carattere, rispettivamente, strutturale e patrimoniale: in particolare, l’equilibrio gestionale deve realizzarsi tra le entrate e le spese ordinarie.

94 In realtà, secondo Einaudi “il bilancio era in pareggio dal 1922-1923 sebbene quelle bestie sterline di Facta e C. non se ne fossero accorti e non abbiano neppure ora barlume dell’arma morale enorme che tal fatto dava loro in mano […]. Insomma io dico il bilancio, come fu ereditato dalla guerra e post guerra è in pareggio da due esercizi ( il passato e il corrente); e che lo spareggio se ci sarà, è un fatto nuovo, dovuto a cause nuove dei precedenti e degli attuali governanti” (A. D’Aroma e S. Martinotti Dorigo, Lettere di Luigi Einaudi a Pasquale D’Aroma (1914- 1927), Annali della Fondazione Luigi Einaudi Torino, vol. IX, 1975, pag. 401- 402.

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1929, cui si aggiunse lo stravolgimento definitivo dei principi di virtù finanziaria all’indomani