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L’evoluzione della disciplina in materia di finanza pubblica, tra crescente primazia dell’interesse finanziario e “torsioni” della forma di governo

IL PROGRESSIVO ADATTAMENTO DELL’ORDINAMENTO NAZIONALE AI VINCOLI EUROPEI IN MATERIA DI BILANCIO

5. L’evoluzione della disciplina in materia di finanza pubblica, tra crescente primazia dell’interesse finanziario e “torsioni” della forma di governo

La legislazione nazionale in materia di bilancio ha conosciuto un’importante evoluzione a partire dal 1978, con l’approvazione di provvedimenti normativi che si sono succeduti a più riprese e che hanno inciso in modo sostanziale sull’attuazione (e, per certi versi, l’aggiramento) dell’art. 81 e sulla stessa configurazione del processo di bilancio98.

Sullo sfondo, come precedentemente evidenziato, si snoda il progressivo rafforzamento del processo di integrazione europea, dapprima sul solo versante valutario con l’introduzione del Sistema Monetario Europeo nel 1978, poi con la progressiva liberalizzazione dei movimenti di beni, capitali e persone a seguito dell’Atto Unico Europeo del 1985, successivamente con il Trattato di Maastricht del 1992.

Tale Trattato ha rappresentato un momento di svolta rispetto alle scelte fino a quel momento adottate in ambito europeo -che si erano concentrate principalmente sul governo della moneta, oltre che sulla liberalizzazione degli scambi- in quanto, per la prima volta, sono stati previsti espressi parametri quantitativi alle politiche di bilancio nazionali, non solo per poter entrare a far parte dell’Unione Monetaria Europea ma anche per rafforzare la convergenza tra le economie dei

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Questi passaggi storici dell’integrazione europea sembrano operare in parallelo alle modifiche normative della legislazione italiana in materia: la legge n. 478/1978 e la legge n. 362/1988 precedentemente esaminate, nonché la legge n. 94/1997 ed il connesso d.lgs. n. 279/1997, la legge n. 208/1999 e la legge n. 196/2009, sono state approvate in concomitanza, ovvero immediatamente a ridosso, di eventi su scala europea aventi riflessi, più o meno diretti, sulla politica di bilancio nazionale.

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Paesi membri e la stabilità delle rispettive condizioni di finanza pubblica anche all’indomani della loro adesione all’eurozona.

Tuttavia, il collegamento sopra descritto tra vincolo europeo e le scelte normative del Legislatore sembra evidenziare come l’evoluzione della forma di governo -pur derivando dall’indubbia necessità di affrontare e risolvere gli ormai evidenti problemi di funzionamento delle istituzioni nazionali- abbia tratto una spinta decisiva proprio dalla continua restrizione di sovranità conseguente al processo di integrazione europea99.

E’ come se la progressiva formazione di quel sistema istituzionale multilivello che oggi rappresenta la realtà dei rapporti tra realtà territoriali, singoli Stati ed Unione Europea abbia posto le premesse, “a cascata”, per una ridefinizione delle politiche di bilancio e, in tale contesto, per una diversa modalità di razionalizzazione dei rapporti tra Governo e Parlamento.

In sostanza, il vincolo europeo sembra aver offerto i necessari spunti per porre in essere quegli interventi al “parlamentarismo all’italiana” da tempo auspicati ma sempre rimasti nel novero delle intenzioni, proprio attraverso lo specifico settore della finanza pubblica100: il punto fondamentale è vedere ora se tali modifiche siano state durature oppure strettamente legate ad una logica emergenziale.

In particolare, a partire dagli anni ’80, direttamente per effetto della nuova legislazione elettorale (prevalentemente) maggioritaria introdotta nel 1993, indirettamente a seguito del processo di integrazione monetaria, la posizione del Governo si è notevolmente rafforzata non solo di fronte alle istituzioni europee ed agli altri partners comunitari, ma anche nei confronti del Parlamento, rispetto al periodo precedente nel quale era relegato in una posizione “tutto sommato collaterale”101 rispetto alla centralità conferita all’Assemblea nelle decisioni di finanza pubblica.

In tale quadro, tuttavia, il ruolo di quest’ultima non è stato del tutto depotenziato: sembra piuttosto che si siano configurati maggiori margini di intervento nella co-definizione delle linee

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Di fondo, il rinnovato quadro sovranazionale ha inciso sulla forma di governo italiana, che proprio in questo trentennio ha subìto una radicale trasformazione, con la fine dell’esperienza della c.d. “solidarietà nazionale” nel 1978 ed il tentativo di rafforzare il Governo e la stessa figura del Presidente del Consiglio inizialmente a Costituzione e legislazione elettorale invariata (tra l’altro, a seguito delle innovazioni introdotte con la legge n. 400 del 1988 e la legge n. 86 del 1989) per poi giovarsi della riforma elettorale maggioritaria del 1993. In particolare, secondo M. Degni (Forma di governo e decisione di bilancio, in Democrazia e Diritto, n., 2003, pag. 201) sono stati almeno tre i fattori che hanno inciso sulla procedura di bilancio italiana: innanzitutto, il passaggio dal sistema elettorale proporzionale a quello (prevalentemente) maggioritario, l’adesione al Patto di Stabilità e Crescita e la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.

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I parametri europei hanno così posto al centro dell’attenzione l’esigenza di ridefinire gli equilibri istituzionali in nome dell’esigenza di determinare un indirizzo politico finanziario chiaro ed univoco, senza le ataviche incertezze e sovrapposizioni di ruoli tra attori istituzionali che avevano contraddistinto per lungo periodo il processo di bilancio. Come ricorda P. De Ioanna (op. ci.t, Il Mulino, Bologna, 1993), nella discussione in Senato dei documenti finanziari per il triennio 1992-1994, il Ministro del Tesoro aveva ribadito “che i vincoli che derivano dall’integrazione europea, devono condurre a ridefinite le procedure per la costruzione dei bilanci pubblici ispirata ad una concezione teorica ormai superata”.

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guida di politica economica fissate preventivamente nel Dpef nonché, nella fase gestionale, nel controllo sull’effettiva rispondenza dell’operato dell’Esecutivo agli obiettivi prefissati102.

In tale quadro, le riforme della legislazione in materia implementate tra il 1997 ed il 1999 (cioè proprio nel periodo in cui l’Italia è stata ammessa all’Unione Monetaria Europea) hanno rappresentato un indubbio progresso nella direzione della razionalizzazione del procedimento di bilancio, perseguita con la legge n. 94 del 1997 ed il successivo decreto legislativo n. 279 del 1997 attraverso una riaggregazione delle singole “partite” contabili in “unità previsionali di base” che sono diventate l’unità di voto parlamentare in luogo dei capitoli, rimasti ai soli fini gestionali.

Si è realizzato così uno “sdoppiamento” tra il documento di bilancio presentato dal Governo ed oggetto del dibattito e dell’approvazione parlamentare (articolato per aggregati di spesa e, pertanto, più leggibile e trasparente) e quello amministrativo che viene utilizzato dalle p.a. nel corso dell’esercizio finanziario per provvedere alle proprie necessità103.

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Come evidenziato da N. Lupo (op. cit., 1999, pag. 561) con riferimento all’evoluzione della forma di governo italiana sotto l’influenza dei vincoli dell’Unione economica e monetaria “il Parlamento non è stato escluso dai procedimenti di decisione finanziaria, ma si tende ora a coinvolgerlo nella forma più corretta, consentendogli cioè di contribuire alla predeterminazione, «a monte», delle grandi linee di politica economica, e di controllare, «a valle», che il Governo si sia mosso lungo queste linee, nonché di fornire un contributo autonomo -sempre all’interno delle linee predefinite nel DPEF ed in continua dialettica con il Governo- ove si tratti di compiere scelte di tipo legislativo, ossia attinenti alla funzione che è attribuita alle camere dall’art. 70 Cost. Con ciò non si vuol certo dire che non vi siano ancora significativi margini di miglioramento nella disciplina delle procedure finanziarie: si vuol però indicare che non sembra più sussistere quell’anomalia italiana per quanto attiene al peso che in esse viene riconosciuto al Parlamento (o, reciprocamente, al Governo) che invece era riscontrabile fino a qualche tempo or sono”. Purtroppo tali positive tendenze che si sono effettivamente affacciate nel corso degli anni ’90 non hanno trovato conferma nel decennio successivo.

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Cfr. M. Degni, op. cit., 2004, pag. 170. Pertanto, con la legge n. 94 del 1997 il bilancio strutturato per capitoli assume pertanto una valenza meramente conoscitiva per le Camere (nel senso, M. V. Lupò Avagliano, Temi di

contabilità pubblica. La riforma del bilancio dello Stato, Cedam, Padova, 2010) e non è allegato alla legge di

bilancio bensì è contenuto in un decreto del Ministro dell’Economia emanato dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di bilancio (pur se viene già predisposto in avvio della sessione di bilancio e modificato, sia pure in via provvisoria, in base alle innovazioni legislative apportate dalla “legge finanziaria”, mediante il noto strumento delle “note di variazione”). Al riguardo, proprio nella relazione introduttiva al disegno di legge era stato precisato che l’obiettivo della riforma era quello di migliorare la qualità e la trasparenza della decisione di bilancio, non solo rispetto ai ruoli attribuiti nel particolare settore a Governo e Parlamento, ma anche con riferimento all’einaudiano “contributo del primo che passa”, cioè dei cittadini, elettori e contribuenti, i quali da un documento contabile semplificato possono più agevolmente evincere -e giudicare- le priorità allocative decise dai

policy-makers e, in sede di consuntivo, il corretto utilizzo di tali risorse rispetto alle finalità istituzionali. In particolare,

nella relazione viene precisato, tra l’altro, che “nel corso di questi anni è venuto chiarendosi come la riforma non abbia come obiettivo, neppure indiretto, quello di restringere l'autonomia decisionale delle Camere: ma invece quello di consentire, prima al Governo e poi al Parlamento, una selezione e dunque una decisione più trasparente e responsabile sulle priorità e sulle scelte allocative incorporate nella struttura della entrata e della spesa. Si tratta in definitiva di rendere il bilancio più chiaro e leggibile, oltre che per l'autorità politica, per gli stessi cittadini-contribuenti. Il testo in esame pone dunque al centro del processo di formazione del bilancio statale, sia sul versante del Governo che su quello del Parlamento, una nuova unità decisionale denominata: "unità previsionale di base": tale aggregato é costruito in corrispondenza con il centro di responsabilità al quale é affidata la relativa gestione. Le unità previsionali di base formeranno d'ora in avanti il limite giuridico entro cui si esprime la deliberazione e, dunque, l'autorizzazione parlamentare a gestire il bilancio. L'articolazione in capitoli entra in gioco dopo l'approvazione parlamentare ai fini della gestione e del controllo. Tuttavia il quadro di documentazione che il Governo presenta alle Camere dovrà consentire fin dall'inizio della sessione di bilancio una compiuta ed analitica conoscenza dell'ipotesi di articolazione in capitoli delle unità previsionali di base”.

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Al tempo stesso, il raccordo tra i due bilanci è stato individuato nella figura del “centro di responsabilità amministrativa”, inteso come l’ufficio di livello generale cui fanno riferimento più unità previsionali di base il cui capo diventa responsabile dell’attività gestionale e dei relativi risultati non soltanto in forza delle innovazioni normative dell’organizzazione amministrativa avviate a partire dalla legge n. 421/1992 ma anche per l’attribuzione annuale delle risorse volte al perseguimento degli obiettivi affidatigli104.

Dal punto di vista dei rapporti tra Governo e Parlamento, la riduzione delle “poste” contabili presenti nel bilancio “politico” ha avuto l’effetto di ridurre il margine per le proposte emendative di deputati e senatori, potendo queste ultime riguardare le sole dotazioni delle unità previsionali di base e non il dettaglio dei capitoli che vi sono ricompresi: tuttavia, tale scelta non appare dettata

sic et simpliciter dall’intenzione di limitare la capacità dell’Assemblea di incidere sulle scelte

allocative del Governo, bensì di canalizzarle su obiettivi meno circoscritti e, pertanto, riconducibili ad un indirizzo politico finanziario generale105.

Tale riforma, pertanto, appare in linea con quella politica di razionalizzazione delle procedure decisionali (il quale, peraltro, si riflette anche all’interno del Consiglio dei Ministri, con l’accorpamento del Ministero del Bilancio e della Programmazione economica con quello del Tesoro) che trova fondamento nella ratio della disciplina costituzionale, nonché nella prassi seguita nel tempo dal Legislatore, evitando la patologica tendenza al microbudgeting propria dei moderni Parlamenti eletti a suffragio universale e favorendone, piuttosto, le possibilità di controllo delle proposte avanzate dall’Esecutivo106.

104Alcune considerazioni sui rischi di sovraccaricare la riforma di bilancio di eccessive aspettative rispetto ai riflessi che può determinare sull’organizzazione amministrativa sono state espresse da G. Pisauro (Il processo di riforma

del bilancio dello Stato, in Le Regioni, 1998, pag. 1195) secondo il quale, pur riconoscendo l’importanza delle

innovazioni apportate dalla legge n. 94 del 1997, evidenzia che “la riforma del bilancio deve avere come obiettivo principale il miglioramento della trasparenza del processo e della leggibilità dei documenti. Per altri obiettivi, per quanto importanti, il bilancio può svolgere un ruolo di ausilio, ma non può essere lo strumento risolutivo”. Si veda anche G. Rivosecchi, La riforma del bilancio dello Stato: tra razionalizzazione procedimentale della decisione

finanziaria e riforma dell'amministrazione, in Gazzetta Giuridica, n. 18, 1997, pag. 3 e seguenti. Si rimanda, altresì,

alle indicazioni dell’allora Ragioniere Generale dello Stato A. Monorchio sulle linee-guida che avrebbero dovuto caratterizzare la disciplina di bilancio nel quadro del nuovo sistema maggioritario, nell’ottica di valorizzare la funzione del Parlamento (Il controllo parlamentare sul bilancio dello Stato e, più in generale, sulla finanza

pubblica in una democrazia maggioritaria, in Parlamento, Governo e controlli nei convegni del COGEST,

Documenti CNEL, n. 72, Roma, 1996, pag. 59-65).

105 In conclusione, secondo N. Lupo (op. cit., 2007, pag. 44-45) “il triplice intento del Legislatore del 1997 è stato, dunque, in primo luogo quello di rendere più significativa e trasparente la decisione politica sul bilancio dello Stato; in secondo luogo, quello di accrescere i margini entro cui può muoversi l’azione governativa, rendendone più elastica la gestione; in terzo luogo, quello di favorire una riforma dell’amministrazione centrale contrassegnata da una maggiore responsabilizzazione della dirigenza statale”.

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Nel senso N. Lupo (op. cit., 2007, pag. 42) il quale evidenzia, altresì, la necessità di addivenire un punto di equilibrio tra una eccessiva specializzazione che rende meno leggibile il bilancio ed una aggregazione delle “voci” contabili talmente spinta da squilibrare i rapporti tra Parlamento e Governo a vantaggio di quest’ultimo e configurare quella votazione “in blocco” del bilancio stesso che rappresenta il limite estremo della teoria del bilancio come legge di mera approvazione.

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La successiva legge n. 208 del 1999 ha apportato ulteriori modificazioni sia sulla tempistica di presentazione dei documenti connessi alla manovra annuale di finanza pubblica107 che sulla riconduzione all’interno della “legge finanziaria” delle norme sostanziali di entrata e di spesa (rinviando ai collegati le proposte “a carattere ordinamentale o organizzatorio” eccetto quelle che “si caratterizzino per un rilevante contenuto di miglioramento dei saldi”, ai sensi dell’art. 11, comma 3 let. i-bis della legge n. 468 del 1978 come modificato dalla legge in esame) che la legge n. 362 del 1988 aveva originariamente espunto.

A questa legge hanno fatto seguito modifiche repentine ai regolamenti parlamentari -che hanno riguardato principalmente la disciplina procedurale dei disegni di legge collegati- tanto ravvicinate da quasi sovrapporsi alla procedura di approvazione della riforma de qua, analogamente a quanto praticato in occasione della legge n. 362 del 1988108.

Tuttavia, la prassi successiva testimonia come le finalità perseguite dai promotori della legge n. 208 del 1999 (la prima riforma intervenuta all’indomani dell’ammissione dell’Italia nell’Unione Monetaria) non siano state realizzate.

Non solo si è assistito alla riproposizione delle “finanziarie omnibus” -peraltro senza il filo conduttore del risanamento finanziario che aveva contraddistinto il contenuto dei “collegati” durante gli anni ‘90109- ma le stesse sono state sempre più oggetto di emendamenti da parte dello stesso Governo durante l’iter di approvazione, fino alla patologia della presentazione di “maxi-emendamenti” contenenti l’intera “finanziaria” su cui veniva posta la questione di fiducia.

Si delineava così proprio quella votazione in blocco da parte delle Camere (peraltro sotto la “spada di Damocle” del voto di fiducia) che rappresenta la forma più estrema di compressione del potere dell’Assemblea non solo di emendare ma anche, sic et simpliciter, di esaminare i documenti di finanza pubblica.

I delicati equilibri della decisione di bilancio che sembravano essersi attestati con l’ingresso dell’Italia nell’eurozona e la progressiva modificazione della legislazione di contabilità (e, correlativamente, dei regolamenti parlamentari) -peraltro con un parallelo, progressivo consolidamento della dinamica maggioritaria ed un graduale, seppur ancora incerto,

107 Il termine ultimo per la presentazione del disegno di legge di bilancio è stato riportato al 30 settembre di ogni anno, contestualmente alla “legge finanziaria”, mentre per i “collegati” è stato fissato al 15 novembre; inoltre, la data di presentazione del DPEF è stata posticipata dal 15 maggio al 30 giugno. Con tali modifiche è stato ribadito lo stretto collegamento tra il bilancio e la “finanziaria”, allungando altresì i tempi intercorrenti tra la deliberazione parlamentare del DPEF e l’avvio della “sessione”.

108 Nel senso, A. Palanza, La perdita dei confini: le nuove procedure interistituzionali nel Parlamento italiano, in Il

Parlamento. Storia d’Italia, Annuale n. 17, a cura di L. Violante e F. Piazza, Einaudi, Torino, 2001, pag. 1233. Per

l’esame delle innovazioni apportate ai Regolamenti parlamentari, si rimanda a N. Lupo, op. cit., 2007, pag. 101-102, nonché del medesimo Autore, Le procedure di bilancio dopo l’ingresso nell’Unione economica e monetaria, in Quaderni Costituzionali, n. 2, 1999, pag. 544 e seguenti.

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miglioramento della stabilità dell’Esecutivo- sono stati così travolti proprio quando le principali urgenze erano state sostanzialmente soddisfatte: o forse, si potrebbe dire, proprio per questo motivo.

In altri termini, all’indomani del 1998-1999 si riscontra non solo un rinnovato aggiramento del combinato disposto del terzo e del quarto comma dell’art. 81 di cui sono espressione le “finanziarie omnibus”, ma anche una lesione del primo comma della citata disposizione costituzionale (oltre che dell’art. 72 della Carta) laddove il potere delle Camere di approvare il bilancio appare sostanzialmente depotenziato da “finanziarie” che, nei casi-limite del 2004, del 2005 e del 2006, sono state composte da un articolo unico con centinaia di commi, frutto di “maxi-emendamenti” governativi oggetto di questione di fiducia110.

In realtà, anche in precedenza il contenuto della “finanziaria” era stato sovraccaricato, durante il procedimento di approvazione, di disposizioni aggiuntive, peraltro a forte carattere localistico e micro settoriale, senza che ancora si fosse inverata la prassi dei “maxi-emendamenti” governativi111. Ciò però poteva giustificarsi alla luce della transizione della forma di governo

110 Mentre nel caso delle manovre del 1994, del 1996 e del 1997 le iniziative governative volte a ridurre i tempi e l’incisività del Parlamento sulla manovra trovavano giustificazione nella particolare congiuntura economico-finanziaria e la necessità di addivenire con urgenza al risanamento dei conti pubblici, lo snaturamento dei documenti di bilancio che si riscontra tra il 1999 ed il 2002 appare lo specchio di un procedimento decisionale non adeguatamente razionalizzato e che, una volta superata l’emergenza di rispettare i parametri di Maastricht, ritornava alle sue strutturali disfunzioni. A. Manzella (Finanziaria blindata, Parlamento umiliato, in La Repubblica, 20 dicembre 2004) facendo riferimento alla legge “finanziaria 2005” appena approvata, sottolineava come “non è certo la prima volta che la Finanziaria si conclude così con la sequenza: “maxi-emendamenti”, voti di fiducia, Natale con i tuoi. Ci sono precedenti specifici di questa procedura di dicembre. Il primo governo Berlusconi alla Camera, nel 1994; il governo Prodi nel 1996 alla Camera e nel 1997 al Senato; il secondo governo Berlusconi, l' anno scorso, alla Camera. Mai però come ieri una prassi, di per sé anomala, era stata così radicalizzata. Fino a doversi chiedere se siamo ancora di fronte ad una procedura parlamentare stravolta per eccessi di governo. Ovvero piuttosto a una qualche forma di potere governativo che deve passare per il parlamento non per cercarne autorizzazione o legittimazione ma per attestarne la irrilevanza: con la fine della sua specifica funzione rappresentativa”.

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La “finanziaria 2001” è passata dai 71 articoli della bozza licenziata dal Consiglio dei Ministri ai 158 della versione finale: tra questi numerosi erano i commi inseriti a protezione di singole realtà locali (art. 27 comma 3, 12, 14, 19), in materia di assunzioni di personale (art. 19 commi 1, 10, 14, 15) e di attività primarie (art. 64, 65 e 67). Inoltre, nel dibattito parlamentare è stato inserito un intero articolo, il 52, che rappresenta una sorta di “finanziaria minore” composta da 88 commi di interventi vari riguardanti misure di sostegno ad aree depresse e istituti di cultura, eccezioni o estensioni nell’applicazione di disposizioni normative a enti o a categorie sociali, proroghe o introduzione di agevolazioni fiscali, istituzione di fondi a promozione dello sviluppo dell’informatica. Peraltro nella maggior parte dei casi si trattava del rifinanziamento di misure previste nelle “finanziarie” della passata legislatura, a testimonianza della difficoltà per governi di qualsiasi orientamento di interrompere flussi di finanziamento verso gruppi o comunità dotati di qualche peso elettorale. In generale, secondo N. Lupo (op. cit., in Le regole del diritto

parlamentare nella dialettica tra maggioranza e opposizione, a cura di E. Gianfrancesco e N. Lupo, Luiss

University Press, Roma, 2007, pag. 101 e seguenti) “l’istituto in esame, quello dei maxiemendamenti, presentati dal Governo o da uno o più parlamentari, ai fini della posizione, da parte del Governo, della questione di fiducia, è uno di quelli relativamente ai quali le tendenze suddette si sono manifestate con maggiore chiarezza: esso, infatti, è sicuramente pre-esistente alle legislature della transizione e del maggioritario, ma in queste ultime legislature è stato