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Alcuni nodi della ricerca collaborativa e le loro implicazion

di Patrizia Magnoler

1. Alcuni nodi della ricerca collaborativa e le loro implicazion

Le tre fasi (co-situazione, co-operazione, co-produzione) che caratterizzano la Ricerca Collaborativa (Desgagné, 1997) possono essere diversamente inter- pretate in base al contesto, alle posture e desiderata dei partecipanti e quindi al percorso da realizzare. Verranno perciò presentati alcuni nodi sui quali è oppor-

tuno porre l’attenzione nel momento in cui si decide di adottare questo partico- lare modello di ricerca-formazione.

Il primo nodo è insito nella co-situazione, momento in cui la domanda che avvia la ricerca può partire dal ricercatore o dalla scuola e riguarda l’individua-

zione dell’oggetto di ricerca. Nel caso che verrà successivamente ripercorso, la

domanda di formazione era giunta dalla scuola. La questione posta, a seguito dell’emanazione delle Indicazioni Nazionali (2012) era così formulata: “Come realizzare un insegnamento più pertinente alle indicazioni ministeriali per svi- luppare le competenze degli alunni?”. La questione, come in questo caso, può essere molto generale, per cui si rende necessario procedere con una fase di ap- profondimento insieme agli insegnanti. È di fondamentale importanza costruire una negoziazione di significati prendendo in esame le diverse idee, percezioni, interpretazioni, al fine di elaborare in modo chiaro e condiviso l’oggetto della ricerca-formazione. Nel caso della domanda posta dalla scuola era opportuno mettere a confronto i tre diversi approcci alla competenza utilizzati dai diversi attori implicati: quello teorico, solo parzialmente conosciuto dagli insegnan- ti (Pellerey, 2004; Roegiers, 2009; Le Boterf, 2011; Maccario, 2012), quello ministeriale (Indicazioni Nazionali, 2012) che attribuisce al soggetto compe- tente un comportamento responsabile, autonomo (dimensione personale), una capacità di gestire efficacemente e in forma critica le conoscenze, le abilità per gestire situazioni, e quello delle concezioni personali degli insegnanti che gui- dano le loro scelte in azione.

A fronte di questa primo momento di “messa in comune”, si possono rileva- re due reazioni da parte dei docenti riconducibili a due comportamenti: riporta- re il non conosciuto al già noto (“ma io questo lo faccio già”) o manifestare un senso di disorientamento, di non chiarezza su ciò che veramente bisognerebbe fare. In entrambi i casi è auspicabile riportare la riflessione sulla diversità che si dà tra dichiarato e l’agito. Ciò richiede la necessaria partecipazione degli insegnanti per indagare la propria pratica ma anche per decidere, in qualità di esperti della situazione e dei vincoli in essa presenti di tipo tecnico, pratico ed etico1 (Desgagné, 2001), quale azione didattica possa essere veramente sosteni-

bile e condivisa all’interno della comunità professionale per rispondere al man- dato delle indicazioni ministeriali. L’analisi e il confronto facilitano il proces- so di chiarificazione della diversità tra il compito prescritto e il compito reale, valorizzano il sapere prodotto dalla pratica in funzione del bisogno dichiarato e della definizione dell’oggetto della ricerca. Gli “attori” della RC non sono più solamente lì per fornire dei dati, per informare e testimoniare, ma anche per 1. Ordine tecnico (regole e procedure da seguire), pratico (condizioni di apprendimento da gestire) e morale (codice etico assunto).

co-costruire il senso della loro esperienza e della loro situazione, per mettere a fuoco l’oggetto della ricerca-formazione.

È in quel momento che è possibile mettere in atto un processo di esplorazio- ne approfondita per chiarire come si possa determinare un percorso di ricerca collaborativa realmente ispirato a alla doppia verosimiglianza. Dopo aver rac- colto le conoscenze teoriche adeguate al problema, le informazioni dagli inse- gnanti e la domanda formulata dai dirigenti scolastici, il ricercatore produce un progetto articolato in tre momenti (Barry e Saboya, 2015) che possa avere una pertinenza per il mondo della ricerca e per quello della pratica.

È necessario che il ricercatore proponga il progetto con un linguaggio e dei significati riconosciuti da tutti i soggetti implicati al fine di facilitare la com- prensione reciproca. Dopo l’approvazione dei differenti interlocutori si pervie- ne alla definizione di ciò che definisce un buon avvio del progetto e alla nego- ziazione delle prime modalità di funzionamento (numero di incontri, durata degli stessi, ecc.). Una co-situazione così definita orienta verso le attività di esplicitazione, confronto, riconoscimento, nuova costruzione di significati con- divisi, eventuale presa di decisioni e analisi degli effetti nell’attività a seguito di un cambiamento sperimentato.

Il secondo nodo riguarda le azioni necessarie in una RC. Descrivere ed esplicitare sono percepiti come passaggi che anticipano/favoriscono un cam- biamento; essi costituiscono il modo attraverso il quale ci si può appropriare del reale con l’obiettivo di prendere decisioni orientate verso un rinnovamen- to. Occorre prevedere un approccio comprensivo “rendere conto del senso che i professionisti assegnano alle loro pratiche e delle logiche che sottendono” (Vinatier e Morrisette, 2015, p. 145), di un approccio esplicativo per individua- re le variabili o i fattori che influenzano la realtà. Tutto questo al fine di com- prendere meglio i problemi e poter introdurre delle trasformazioni, decise dai singoli insegnanti all’interno di un processo collaborativo. Si manifesta quindi una visione della RC che partecipa ad una formazione continua favorendo un atteggiamento di fiducia reciproca, di ascolto e valorizzazione dell’altro, primo fattore che contribuisce allo sviluppo identitario professionale, parte integrante della professionalizzazione (Jorro e De Ketele, 2011).

L’attività individuale, divenuta risorsa per la concettualizzazione, permet- te di rendere visibile come l’insegnante affronta la trasposizione disciplinare e progetta dispositivi nei quali l’allievo possa cimentarsi con compiti autentici che favoriscano la devoluzione.

Un terzo nodo riguarda la relazione tra style personale e genre collettivo (Clot, 2008; Saujat, 2004; Yvon e Clot 2003), ciò che supporta l’agire indi- viduale ma che ha una radice nella cultura professionale (Desgagné, 1997), i saper-fare comuni intrinseci alle pratiche attuali, una sorta di “zona condivisa”

(Morrisette, 2013). Si può anche parlare di una “cultura del mestiere” sia indi- viduale sia collettiva, trasparente e difficile da trasformare. Proprio sulla consa- pevolezza di questa “trasparenza” si può fondare un percorso di esplicitazione delle pratiche: solo a condizione di essere “visibili possono diventare oggetto di trasformazione.

La riflessione effettuata da Veyrunes (2015) parte dalle configurazioni dell’attività collettiva che si sviluppano su “uno sfondo costituito dai ‘formati pedagogici’, dispositivi di lavoro utilizzati in classe caratteristici della cultu- ra scolastica” (Veyrunes, 2015, p. 33). Essi sono organizzati dalle componen- ti culturali (norme, artefatti, modi d’interazione, abitudini incorporate…) che tengono conto delle prescrizioni, della modalità di lavoro degli alunni, delle pratiche socialmente riconosciute. Sono veicolati dalla cultura della classe, dagli artefatti e dall’attività degli individui (Veyrunes, 2011). Diversi forma- ti sono utilizzati da molto tempo e la maggior parte delle discipline e dei si- stemi educativi a tutti i livelli: ne sono esempi la lezione dialogata, il lavoro individuale scritto (Veyrunes e Saury, 2009; Veyrunes e Delpoux, 2012). Gli alunni, dal canto loro, hanno appreso ad agire all’interno di questi dispositivi, a interpretare le domande e i feed-back degli insegnanti, a regolare la propria attività in funzione delle aspettative dell’insegnante, di un contratto didattico (Brousseau, 1998).

Osservare lo sviluppo di una sequenza d’insegnamento può consentire di tracciare la configurazione e, al suo interno, l’ordine dei formati pedagogi- ci. La partecipazione dell’insegnante a questa analisi gli permette di appro- priarsi della logica della propria azione e delle motivazioni, sovente implicite, che sollecitano la decisione in situazione. Egli si può confrontare con le pro- prie convinzioni e con quelle degli altri colleghi in relazione all’efficacia dei formati.

Il ricercatore supporta il “pratico-ricercatore” (Allenbach, 2012) nell’iden- tificare gli automatismi, i formati pedagogici e l’attività, orienta l’attenzione sugli artefatti che favoriscono l’implementazione e la ripetizione delle attivi- tà routinarie, aiuta ad analizzare le dinamiche collettive nelle quali si inserisce l’agire degli individui e a confrontarsi con le diverse trasformazioni possibili.

Il quarto nodo riguarda la postura formativa che può avere il ricercatore La RC prevede che il ricercatore interpreti in due diverse modalità la funzione di “formare”. Egli può proporre delle piste di lavoro, costruire dei materiali con gli insegnanti, partecipare all’attività in classe ma deve assegnare sem- pre all’insegnante il ruolo di “attore competente” che può e deve scegliere tra i “possibili” ciò che ritiene più adeguato per se stesso, per il personale modo di gestire la classe e per supportare l’apprendimento. Egli è formatore anche quando conduce un processo di accompagnamento alla problematizzazione,

quando fa uscire dalla “nebbia dell’indistinto della pratica”, solleva questioni che permettono all’insegnante di andare più in profondità al problema defini- to, tenendo conto di quanto progressivamente si rende palese dalla rilevazione dei dati. Il ricercatore deve ascoltare le persone e i contesti con una “sensibi- lità pratica” e deve disporre di una cornice teorica che supporti l’analisi e la comprensione. La sua funzione è di offrire un quadro di esplicitazione affinché i partici possano riuscire a comunicare la loro esperienza e la conoscenza sul proprio lavoro.

Può verificarsi anche il caso di partecipazione alla ricerca-formazione da parte di diversi ricercatori (Vinatier e Altet, 2008), ciascuno esperto in differen- ti discipline, capace di fornire all’insegnante riflessioni e suggestioni su aspetti diversi. Tale pluralismo diviene generativo nel momento in cui riesce a fornire agli insegnanti implicati nel percorso differenti punti di vista che loro stessi va- luteranno per ricostruire un nuovo rapporto con le situazioni (Theureau, 2004, 2006).

Il ricercatore svolge, in entrambi i casi, una funzione di mediatore, di gene- ratore di uno “spazio di transizione e d’interazione” (De Lavergne, 2007, p. 30) attuando una formazione configurabile come “spazio di azione incoraggiato” (Durand, 2008) che favorisce una trasformazione soggettiva e collettiva.