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L’insegnante più gradito e quello da dimenticare

di Alberto Agosti – Università di Verona

7. L’insegnante più gradito e quello da dimenticare

Tornando ai tratti considerati positivi, a detta degli allievi interpellati l’inse- gnante maggiormente riconosciuto come tale è colui o colei che lascia “espri- mere liberamente” i suoi allievi, e, soprattutto, che non esprime giudizi. Un dato emerge con grande evidenza: tra i diversi insegnanti è quello di religione

che viene più spesso ricordato volentieri come colui, o colei, che dà spazio in aula ai discorsi e alle idee, concedendo agli allievi di esprimersi su temi a loro vicini, e comunque avvertiti come significativi. Se da un lato il docente di re- ligione ha dalla sua una maggior libertà di insegnamento, nel senso che non si vede costretto a seguire un programma strettamente disciplinare, cionondime- no c’è da chiedersi se davvero le altre “materie” non possano essere insegnate comunque in termini di aderenza e significatività rispetto agli allievi e alle loro attese/bisogni, anche esistenziali. Taluni lacerti indicano che è possibile attuare una didattica in grado di coinvolgere non solo da un punto di vista dell’acqui- sizione di conoscenze, bensì anche di percepiti guadagni di crescita personale:

“La mia professoressa di italiano delle scuole medie: se penso a lei mi tor- na alla mente tanta, tanta, tanta fatica e tante ore di studio. Compiti assurdi, strani, difficili, ma non può che salirmi dal petto un grande, immenso Grazie. La sua originalità e il suo lavorare fuori dagli schemi ha fatto fiorire in me la voglia di insegnare. Mi ha fatto scoprire la scrittura creativa, sperimenta- re mille ed un modo per esprimermi, utili non solo per scoprire le potenziali- tà espressive e comunicative della lingua, ma fondamentali per conoscere me stessa. La professoressa mi ha fatto capire che la scrittura, che la lingua è un elastico; più lo tiri, con fatica ed energia, più compi un duro lavoro di intro- spezione, di autoanalisi, di consapevolezza, e più, quando molli la presa, ti dà lo slancio per superare ogni ostacolo”. Il docente che lascia “esprimere” o che

invita espressamente gli allievi a farlo è quindi particolarmente apprezzato. Il motivo torna negli scritti una ventina di volte. Questo è un tratto dello stile do- cente che risulta fondamentale: “A scuola, nella mia classe, mi sentivo appar-

tenente, inclusa quando i professori, riferendosi ad un determinato argomento o ad un fatto accaduto nella realtà aprivano il dibattito in cui ognuno poteva esprimere le proprie idee, ma soprattutto ascoltare quelle degli altri. Il clima che si respirava era molto bello perché anche se c’erano pareri contrastanti potevi sapere che cosa pensava veramente l’altra persona con cui magari non avevi mai approfondito un rapporto”. “Il termine ‘appartenenza’, riferito alla scuola e all’ambiente classe, dal mio punto di vista, e in base alla mia espe- rienza personale, sta ad indicare quel sentimento di profondo raccoglimento emotivo e conoscitivo, condiviso da tutti gli alunni appartenenti ad un gruppo classe, all’interno del quale ognuno possa esprimersi ed esprimere a pieno le proprie emozioni, le proprie curiosità e le proprie opinioni circa gli argomenti affrontati. Un gruppo coeso, e nello stesso tempo connotato da un sentimento di complementarietà, che porta ognuno a valorizzare se stesso, ma a colmare le lacune del compagno”.

L’assenza di giudizio come garanzia di un clima in cui potersi esprimere e compromettere, nel senso positivo del termine, è invocata più o meno esplici-

tamente dagli allievi interpellati con una frequenza molto alta, una quindicina di volte, soprattutto laddove si trattava di pronunciarsi in modo sintetico at- torno all’idea di “appartenenza”, e i ricordi sono positivi, carichi di gratitudi- ne: “appartenenza, a mio parere, significa anche sapere di potersi esprimere

senza essere giudicati dal gruppo e sentirsi utili per il gruppo”; “appartenen- za era quando il professore di scienze sociali prevedeva spesso dei momen- ti di confronto sulle tematiche inerenti le dinamiche sociali e promuoveva il dialogo dandoci la sensazione non giudicante”. La realizzazione e la manu-

tenzione di un clima di classe in cui il giudizio, da parte di chicchessia, sia escluso o perlomeno ben controllato ed arginato, viene dunque messo in rela- zione più volte dagli allievi interpellati con il sentimento dell’appartenenza. La “custodia” del clima di classe potrebbe quindi vedere l’insegnante impe- gnato professionalmente anche, e forse soprattutto, su questo versante. Dagli scritti raccolti si rileva infatti che gli allievi amano essere interpellati, ma non amano ricevere giudizi, né dai docenti, né dai compagni, e soffrono in modo particolare quando fanno l’amara esperienza della mortificazione: “Un’inse-

gnante una mattina mi chiamò fuori, alla cattedra, per l’interrogazione di in- glese, materia in cui non sono mai stata brava. Quel giorno in particolare lo ricordo perché, agitata come sempre, non capii bene una domanda e quindi diedi una risposta sbagliata. Ero in piedi di fronte a tutta la classe che stava ridendo per la risposta che avevo dato e la professoressa con loro rise, e fece dell’ulteriore ironia sul fatto. Ricordo di essermi sentita molto mortificata”.

“Non sono mai stata una persona ordinata e precisa, per questo da bambi-

na avevo difficoltà a realizzare le cornicette. Mi piaceva il disegno libero, in quanto mi permetteva di esprimere la mia creatività, ma l’unica forma d’ar- te che la mia maestra di matematica concepiva erano proprio le cornicette. Ricordo che un giorno, alla scuola elementare, mi sono impegnata partico- larmente nel realizzarle, ma nonostante ciò il risultato era poco convincente. La maestra ha preso il mio quaderno e quello di un mio compagno, parago- nando i nostri lavori e sottolineando quanto il mio fosse fatto male, per poi strappare la pagina davanti a tutta la classe. Questo episodio mi è risultato particolarmente pesante in quanto mi sono sentita umiliata e non ho visto riconosciuto l’impegno che avevo impiegato nello svolgimento del compito, bensì soltanto il risultato finale. Mi sono sentita non compresa, non inqua- drata, come se la maestra non conoscesse i miei limiti e le mie difficoltà. Ho visto il mio lavoro venire strappato e buttato nel cestino, il tutto davanti agli altri compagni. Si tratta di un’esperienza che ho vissuto molti anni fa, ma la ricordo ancora perfettamente: mai più nella vita ho ricevuto un’umiliazione del genere”.

8. I dispositivi concreti dell’agire didattico efficace: