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Presidente dell’Associazione Walter Piludu, docente di Diritto privato all’Università di Cagliari

Suicidio medicalmente assistito e diritti fondamentali della persona

Mi inserisco subito in questo dibattito, anche col vantaggio delle numerose sollecitazioni che ho avuto da questa giornata di lavori, per cercare di proporvi qualche considerazione sulle questioni giuridiche che appunto nella mia prospettiva rappresentano i nodi cruciali del discorso sul rapporto tra suicidio medicalmente assistito e diritti fondamentali della persona ai quali si fa riferimento nel titolo del mio intervento. Perché appunto siamo partiti con un appello volto a ottenere il riconoscimento del diritto al suicidio medicalmente assistito: un diritto che sappiamo non esistere ancora come tale nell’ordinamento, che trova un ostacolo normativo nell’esistenza di una serie di discipline che proteggono un diritto altrettanto fondamentale, che è il diritto alla vita.

Tra queste norme, ci siamo concentrati sulle norme dell’articolo 580 del Codice penale, che allo stato attuale è oggetto di questa decisione della Corte costituzionale. Ebbene, quando si ragiona sulla possibilità di configurare un nuovo diritto – mi riferisco quindi adesso al diritto a ottenere l’assistenza medica alla morte, che sacrifica appunto il diritto alla vita – secondo me bisogna ragionare su due piani, che poi sono gli stessi sui quali bisognerebbe muoversi qualora si volesse estendere, come io credo si debba fare, il ragionamento ai trattamenti eutanasiaci in senso ampio.

Un primo discorso è quello che attiene alla verifica del rapporto che può sussistere tra i valori, che stanno alla base dei diritti fondamentali della persona, e questa richiesta di assistenza medica alla morte.

Tra questi valori – sono stati tutti ampiamente richiamati quest’oggi – naturalmente c’è prima tra tutti la dignità dell’uomo che, si è detto, è un valore al quale forse non è opportuno richiamarsi perché è un concetto sfuggente, inafferrabile. Devo però dire che giuridicamente è importante invece secondo me il richiamo alla dignità, perché sta alla base di tutti i diritti della persona e soprattutto perché consente un ampliamento della categoria dei diritti della persona. Quindi il riferimento alla dignità, insieme agli altri valori che stanno alla base dei diritti fondamentali della persona che sono chiamati appunto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (quindi i valori di libertà, uguaglianza, solidarietà, sui quali si è molto insistito oggi), è importante perché sono tali valori che consentono di giustificare giuridicamente, di dare un fondamento, alla richiesta di assistenza alla morte da parte di terzi.

Una volta che si riesce, argomentando su questo piano, a concludere che non c’è un’incompatibilità tra questi valori e la richiesta di aiuto alla morte – anzi che questi valori possono contribuire a fondare tale richiesta – si pone l’altro problema. Ossia come si arriva al risultato che noi oggi auspichiamo? Qual è l’iter che ci aspetta affinché l’assistenza medica alla morte possa diventare oggetto di un vero e proprio diritto della persona?

Ora io naturalmente adesso tralascio tutto l’approfondimento che bisognerebbe fare sui valori che ho richiamato, però sottolineo che la stessa Corte costituzionale nell’ordinanza 207 si è a lungo soffermata sulla libertà di autodeterminazione, sulla dignità, stabilendo un punto dal quale non

si tornerà indietro, io credo. Perché anche la Corte dovrà mantenere la sua credibilità senza – come è stato detto stamattina – arretrare rispetto a quanto già affermato, quindi questi valori ci consentono di dire che il diritto fondamentale alla vita, che naturalmente va protetto, non è d’ostacolo all’accoglimento di una richiesta del malato, che appunto in particolari situazioni chiede di essere aiutato a morire.

Tutto questo oltretutto, al di là di quello che si può ricavare dall’ordinanza della Corte, ci è stato insegnato da tutta la giurisprudenza precedente, a partire appunto dai casi di Eluana Englaro, Welby, anche leggendo – è evidente – il provvedimento che il tribunale di Cagliari ha adottato su richiesta di Walter Piludu. Perché in tutta questa giurisprudenza l’argomentare sulla dignità è cruciale? In quanto la dignità è un valore sì vago e inafferrabile ma ha il pregio di imporre all’interprete una speciale attenzione alla realtà dell’essere umano, delle sue condizioni materiali e spirituali, i suoi bisogni e interessi e quindi consente di arrivare a quella concretezza della persona, alla sua esistenza empirica, a quello che sta vivendo, che è un passaggio fondamentale come anche da questo punto di vista si è detto stamattina. Tutti questi valori, l’ha sottolineato prima la professoressa Borsellino, sono anche la cornice costituzionale nella quale si sta muovendo la Corte, che sta facendo appunto un delicatissimo – ha iniziato e secondo me concluderà adesso a fine mese – lavoro di bilanciamento tra diritti, che diventa sempre più complesso e più complicato. Credo che da quanto già si evince dall’attività interpretativa della Corte costituzionale si può senz’altro partire dal presupposto che il suicidio medicalmente assistito – perlomeno nelle particolari situazioni nelle quali si trovava Dj Fabo, per intenderci, e che quindi hanno costituito il riferimento dell’ordinanza della Corte – è sicuramente un’opzione compatibile con la Costituzione e con tutti i valori richiamati.

Devo però dire anche che la Corte giustamente è stata molto attenta nel circoscrivere i limiti e gli spazi entro i quali, attraverso questi valori, si può demolire – per così dire – in parte la norma che oggi punisce l’aiuto al suicidio. Ma resta ferma l’esigenza, anche questa già emersa, di una più generale riflessione sui presupposti per ammettere i trattamenti eutanasici in senso lato, perché ci sono dei bisogni meritevoli di tutela anche di persone che vivono senza trattamenti di sostegno vitale, a differenza appunto di quanto avveniva nel caso di Fabiano Antoniani.

Quindi la Corte sta facendo e farà secondo me una prima opera di bilanciamento, però poi in concreto per l’attuazione di questo diritto sono necessari – anche questo è messo bene poco fa – regole più precise e più specifiche. Quindi il problema è che queste regole più specifiche non possono che provenire dal legislatore. Cioè, la Corte deve stare dentro quelli che sono i parametri, i confini del giudizio incidentale, deve rispettare tutta una serie di principi tali per cui io mi aspetto una decisione che inciderà esclusivamente sul piano della liceità o illiceità di certe forme di aiuto al suicidio. Questo significa che cosa? Che è venuta meno – come io credo avverrà – la responsabilità penale per certe forme di aiuto al suicidio: si raggiungerà sicuramente un importante risultato perché ci sarà un via libera. Ma un via libera a cosa? Ad aiuti che vengono spontaneamente prestati dai medici che dovessero essere disponibili. Come però ha detto Mario Riccio stamattina, l’atteggiamento dei medici è abbastanza arroccato su vecchie posizioni. Per cui non basta eliminare la responsabilità penale e depenalizzare com’è stato detto: bisogna andare oltre per far diventare questo un diritto al

quale corrispondano precisi obblighi. Soprattutto se – e mi avvio davvero a chiudere – vogliamo, come abbiamo chiesto, che questo tipo di assistenza venga prestata nell’ambito del Servizio sanitario nazionale. Ci vuole il riconoscimento di una pretesa che abbia come contraltare un obbligo delle strutture sanitarie e questo non è secondo me realizzabile con la decisione della Corte costituzionale, ma richiede necessariamente un intervento del legislatore. Per cui io credo che questo sarà un primo passaggio importante ma poi bisognerà senz’altro continuare un percorso, che probabilmente sarà molto lungo e faticoso soprattutto per le persone che lo dovranno affrontare. Perché il passaggio successivo dell’attuazione di un diritto di cui la Corte può riconoscere astrattamente la meritevolezza sarà un passaggio che avverrà necessariamente o per via giudiziale o solo grazie all’intervento del legislatore. Quindi è per questo molto importante che il lavoro avviato nelle Commissioni Giustizia e Affari sociali prosegua, anche alla luce di quegli ulteriori stimoli e indicazioni che la Corte potrà dare adesso, a fine settembre.